La pratica della presenza al Reale che viene e che è

Proseguiamo l’argomentare iniziato con Le fondamenta della vita interiore e di quella spirituale.
La pratica della presenza al Reale che viene e che è costituisce la radice della vita spirituale: il cammino di conoscenza, consapevolezza e comprensione matura in una pratica che si dispiega nell’insieme del vissuto quotidiano ed esistenziale.
L’esperienza della presenza al Reale è il frutto dell’attitudine meditativa che prende la forma:
– dell’ascolto;
– dell’osservazione;
– dell’accoglienza;
– della fiducia.
Queste disposizioni aprono all’esperienza del sentire: dall’identificazione con il divenire e con le dinamiche dell’identità, si passa all’immersione nel sentire o, se si preferisce l’espressione, ad essere attraversati da questo in ciascuno dei propri corpi e nell’insieme della percezione e della consapevolezza.
La predominanza del sentire realizza l’esperienza della contemplazione: si veda il post che tratta di questa specifica esperienza.
Il reale ordinario viene ora colto come Reale, essendo la realtà tutta, niente altro che Realtà mai divenuta altro da se stessa.
L’attitudine meditativa si forma attraverso una pratica meditativa, o di consapevolezza.
Non siamo dei sostenitori a tutti i costi della meditazione: ciascuno trovi la propria pratica di consapevolezza, di presenza, di ascolto, di osservazione, di fiducia, di abbandono; ad essa rimanga fedele e la cambi quando il sentire chiede di affinarla e di renderla più aderente al suo mutare.
Una pratica ha, nella gran parte delle situazioni, anche un tempo definito ad essa dedicato e avviene sulla base di una scelta precisa: “Adesso mi fermo e mi dedico a questo.”
Oppure: “Ora rallento e quella cosa che ordinariamente faccio e che per me non è altro che una faccenda, adesso diviene una meditazione a tutti gli effetti.”
E’ richiesta una decisione e questa può venire solo quando il sentire che la sostiene è maturo: dalla pratica che si è adottata, sorgerà nel tempo lo specchio scarno e senza fronzoli di quel che si è nel non compreso, e di quel che si è nel consolidato, nel compreso.
Una pratica meditativa innanzitutto ci svela, non ci consola.
Poi ci fonda, sprofonda le radici del nostro vivere nel reale del non compreso e nel Reale del compreso.
Infine ci struttura, perché plasma la volontà e la capacità di tornare e ritornare all’essenziale, di aderire a quel che sorge e non a quel che desideriamo o ci attendiamo.
Ripeto un concetto per noi fondamentale: non intendiamo come necessaria la meditazione nelle sue forme codificate e trasmesse dalle tradizioni.
Riteniamo necessaria l’attitudine consapevole, fondata su di una scelta (necessaria per un lungo tratto di strada all’inizio, ma destinata a divenire poi un automatismo interiorizzato), coltivata per un tempo sufficiente a compiere un’immersione nella dimensione interiore, fino a giungere all’esperienza della sua banalizzazione ed anche ad un certo grado di logoramento, prima di tornare agli standard di consapevolezza abituali.
Questo fino a quando l’esperienza del Reale non sorge naturale nel corso della giornata, aiutata dalla pratica e soprattutto dalle comprensioni che nel frattempo si sono strutturate nel nostro sentire, permettendoci di uscire dalla gabbia della nostra centralità e aprendoci sulla realtà che non è noi, è solo Realtà.
A quel punto la nostra giornata sarà permeata di consapevolezza e di presenza e quella pratica specifica fondata sulla scelta e su di un tempo dedicato, potrà essere abbandonata perché, oramai, il suo insegnamento e la sua disposizione sono stati interiorizzati e sono divenuti abitudine, attitudine inscritta in ogni corpo e nell’insieme dell’essere.
Continua.

Il post precedente e quello successivo relativi alle fondamenta della vita interiore e spirituale.


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Sandra Pistocchi

“Una pratica meditativa innanzitutto ci svela, non ci consola.” Ritengo queste parole molto importanti, troppo spesso agganciamo ad una pratica il concetto dello star bene, ma non è così! Grazie roberto

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