La coerenza è la corrispondenza tra sentire/pensiero/azione.
Il compreso trova manifestazione in ciò che pensiamo, proviamo affettivamente ed emotivamente e in ciò che agiamo quotidianamente.
La questione della coerenza non si pone quando una comprensione è completamente acquisita e strutturata: si pone prima di allora, quando ancora mancano dei tasselli al suo pieno dispiegamento.
Quando un determinato aspetto del vivere e dell’essere è stato compreso, non c’è scelta: prima di allora c’è spazio per l’interferenza della cultura, dell’identità, della morale.
Il nostro vivere ordinario oscilla tra la possibilità di esprimere il compreso e il subire l’azione dei condizionamenti accennati: viviamo quella tensione senza sosta, essa è natura della nostra umanità e dura fino all’ultima incarnazione manifestandosi in vario grado.
L’autoindulgenza: là, dove le comprensioni in fase di ultimazione – e non parlo ovviamente di quelle ancora in strutturazione – lasciano spazio ad ambiguità e scelte, esiste una possibilità nostra di intervento e di un sano uso della volontà: possiamo usare un certo grado di disciplina per ricondurci al sentire già acquisito che ci chiama e ci attrae a sé, piuttosto che abbandonarci a quella sottile corrente ambigua che si alimenta del non compreso residuo.
Possiamo, di fronte a spinte contrastanti dove ciò che è giusto ci appare chiaramente in sottofondo, non indugiare e non perseverare nell’assecondare pensieri ed azioni oramai marginali.
E’ difficile per l’umano addivenire ad una chiara visione di sé: non di rado ci svalutiamo e, altrettanto frequentemente, ci ammantiamo di qualcosa che non ci appartiene, almeno non completamente.
Qui voglio porre l’accento sullo spacciarci per quello che non siamo e sulla necessità di vedere il gioco dell’identità, disconnetterlo e lasciare che il seme dell’umiltà possa germogliare in noi.
Molti di noi credono, o si illudono, di coltivare l’umiltà, ma mi permetto di dubitare, perché?
Perché se veramente coltivassimo quel seme, il nostro grado di aspettativa rispetto al prossimo sarebbe più basso: uno sguardo disincantato su di noi ci conduce ad una certa autoindulgenza, ma lo sguardo sull’altro rimane spesso carico di aspettativa e di giudizio.
Questo ci dice che la lezione dell’umiltà non è ancora stata interiorizzata a fondo: essa non solo cambia la percezione di noi, ma si rende chiaramente manifesta nel modo di guardare all’altro, di chiedergli e aspettarci qualcosa, di metterlo in una casella piuttosto che in un’altra del giudizio e della parametrazione che ci attraversano senza sosta.
Continua.
I post precedenti relativi alle fondamenta della vita interiore e spirituale:
1- Le fondamenta della vita interiore e di quella spirituale
2- La pratica della presenza al Reale che viene e che è
Il post successivo:
4- Sperimentare il non compreso alla luce del compreso
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Riconosco questo meccanismo che, con davvero poca umiltà, si aspetta dall’altro questo o quel comportamento.