Il pensiero non è la mente e riconosce “ciò che è”

[…] Il pensiero, libero dalla prigione della mente umana, ha una naturalità che è in sintonia con ciò che c’è e si mantiene fisso sul continuo apparire e scomparire che rende semplice ogni attimo. Mentre il pensiero, assoggettato alla vostra mente, sovrappone all’aprirsi e chiudersi della vita il tempo della continuità e del trascinamento che rende complesso il mondo intorno a voi.
Colui che non trascina con sé, nei pensieri, i fatti e gli esseri che si presentano, incontra una realtà di atti semplici. Quell’uomo diviene libero dal peso che il passato esercitava su di lui, e riconosce il suo essere disconnesso.

[…] La caratteristica del pensiero, vissuto nella sua natura, è quella di riconoscere ciò che c’è, mentre il pensiero assoggettato alla vostra mente costruisce etichette che non fanno che sottolineare quello che manca, che è la conseguenza dei continui paragoni fra ciò che è e quello che “dovrebbe essere”.
Ricordatevi che è solo nell’atto di riconoscere  (il cio che è, ndr)che l’uomo si placa: in lui muore il protagonismo e con esso la pretesa di aggiungere, modificare e migliorare. Dentro quella quiete si svela ai suoi occhi la radice che tutto racchiude in sé.
Il pensiero, vissuto nella sua natura, pur riconoscendo i limiti in ciò che si presenta, viene incantato dal disvelarsi di ciò che è piccolo e che, progressivamente, mostra aspetti sempre più piccoli, cioè sempre più nascosti.
Ma quando il pensiero viene assoggettato alla mente umana, l’uomo si colloca, da protagonista, al centro di un mondo modellato su di sé, alla ricerca di trarre profitto sia nelle relazioni con l’altro da sé, che nel suo cammino evolutivo. E persino quando l’uomo incontra la via della Conoscenza, spesso è desideroso di lasciarsi svuotare, convinto di arricchirsi pure di quello svuotamento, non capendone l’incompatibilità.
Nello stare in c’è una naturalezza che voi non cogliete perché volete arricchirvi anche dell’immagine che ve ne siete fatti, trasformandolo in uno “stare in, per…”.
Ed arrivate a dirvi: “Io ‘devo’ stare in, per scoprire la radice”. Sempre voi e sempre le vostre finalità!
Ma colui che vive la condizione di stare in, è semplicemente colto dalla profondità di ciò che si disvela – e che lo svuota – e quindi non si proietta in una finalità “per sé”, che serve unicamente a riempirlo.

Fonte: La Via della Conoscenza, Il fare nell’accadere (94) in pubblicazione entro il 10 gennaio, qui.

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Alberto

“Io ‘devo’ stare in, per scoprire la radice” . Eccolo mi vedo… 🙂

Nadia

Pare una strada lunga e il cammino appena iniziato. Grazie.

Amto

Mi sembra difficile vivere adesso questo pensiero libero dalla mente mi sento ancora molto nel divenire, attendo fiduciosa il passaggio “all’essere”.

NATASCIA BELACCHI

Giusto ciò che dici. Non sempre facile attuarlo, ma vivere il “ciò che c’è”, è l’unica possibile libertà!

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