Le menti vivono nell’opposizione e nella divisione e quindi dicono: “O bianco o nero, o divenire o essere!”
Considerano che l’essere sia la fine del divenire, si spaventano e tornano sul terreno che a loro pare più sicuro, quello che controllano, quello del divenire.
Dice Leonardo: “Allentata la presa, essere e divenire, immobilità ed operare sembrano non essere più alternative duali, piuttosto le due parti che formano un’onda: il divenire è l’emergere dell’onda, la cresta; l’essere è lo sprofondare dell’onda nella vastità, il ventre.
Continuo ed ininterrotto è il passaggio tra le due fasi.”
Così è e non poteva essere detto meglio.
Affinché le menti/identità non si spaventino più di tanto, è necessario che abbiano nozione di quanto avviene, che lo possano interpretare: sempre una mente ha bisogno di spiegarsi le cose, questo l’aiuta ad affinarsi e stabilizzarsi. È quello che stiamo facendo in queste settimane in cui il paradigma della contemplazione e dell’essere viene fondato e intrecciato con quello del divenire.
Il solo discutere di questi temi svela i meccanismi delle menti, le paure che sollevano, le levate di scudi, la confusione e il disorientamento perché le certezze vacillano: questo è uno spettacolo che non può non essere visto e che bisogna avere il coraggio di vivere e superare.
Il superamento delle dicotomia essere/divenire è il superamento della separazione stessa, della divisione interiore, della frattura che ci aliena dalla condizione unitaria d’essere: vedere con occhi chiari come il divenire scorra nell’immenso alveo dell’essere; sentire come l’essere contenga in sé tutte le connessioni, tutti gli stati, tutti i processi che in sé non divengono, ma semplicemente sono.
E’ una sfida grande? Non saprei, non per chi è pronto: è forse difficile comprendere che il mare è uno e indissolubile sia che si agiti o che sembri addormentato?
Sempre mare è, e sempre l’umano uno è, indipendentemente da come si interpreta: questo non lo vede quando è identificato nel divenire, ma è inequivocabile quando si sperimenta l’essere.
Allora la chiave è veramente solo una, alla fine: permettersi di sperimentare l’essere uscendo dal mare delle nebbie dell’identificazione.
Lì diverrà tutto molto chiaro e non sarà rilevante quanto e quanto a lungo saremo rimasti immersi in quella unità: conterà il seme di sentire che è germogliato e che, giorno dopo giorno, cambierà ogni cosa. OE, 18.1
Newsletter “Il Sentiero del mese” | Novità dal Sentiero contemplativo
Ricevi una notifica quando esce un nuovo post. Inserisci la tua mail:
E’ giusto paragonare il ventre dell’onda di cui parla Leonardo con lo sfondo neutro e quieto della meditazione e tutto ciò che da quello sfondo si stacca, pensieri, emozioni ecc., con la cresta?
Si, certamente..
Mentre leggo i post di questi ultimi giorni e la lettura proposta per la prossima O.E. non nego una certa difficoltà di comprensione. Non per i concetti, per lo meno non prioritariamente, ma perché cerco di ricondurre ciò che viene descritto ad esperienza vissuta. Allora penso: “ciò di cui si parla, farà riferimento a quella determinata esperienza? A ciò che ho provato in quel determinato momento dell’esistenza?” Quando Robi dice:” E’ un esperienza ben precisa”, ecco, io non so, a me sembra ancora un po’ confusa. Sul concetto della danza tra essere e divenire, non credo di avere pregiudizi, concettualmente sento che ha senso, ma non riesco a ricondurlo ad una esperienza precisa. Le parole per giunta, sembrano insufficienti a descrivere alcune esperienze, tanto, che a volte mi sorge il dubbio, che ciò che sento è frutto della mia immaginazione! Chiedo scusa se torno su questi miei dubbi, ma voglio procedere con coerenza con ciò che sento e parlarne mi aiuta a rimanere in contatto con esso.
Avremo modo di parlare diffusamente dell’esperienza dell’essere ma essa è, in effetti, inequivocabile.
Spesso riconosciamo le cose solo quando qualcun altro le chiama per nome: magari quell’esperienza ci appartiene, ma non abbiamo mai saputo nominarla finché il nome dato dall’altro non ce l’ha definita e resa nominabile.
È il caso dell’attraversamento sperimentato da tanti artisti..
Mi si osserverà che se anche una esperienza non la nominiamo, tale rimane: certo, ma l’associare un nome ad un fatto completa l’esperienza nella dimensione umana, nulla aggiunge a quella nel sentire, apparentemente.
Ma siccome ciò che accade in basso non è disgiunto da ciò che avviene in alto, perché alla fine alto e basso non sono che rappresentazioni di una unità, allora direi che chiamare per nome un’esperienza è condurla a pienezza su tutti i piani.
Parole fondamentali per tutte quelle menti che temono la loro “morte”… Essere e divenire sono Uno, l’identità è l’onda che dimentica di essere mare, capita a volte di dimenticare di essere mare, è nelle cose, ma è molto importante per la persona della via non dimenticare di essersi dimenticato!