Un genitore che va dai carabinieri e denuncia il proprio figlio tossico.
Un popolo, quello italiano, a cui va insegnata l’etica della responsabilità e della coerenza.
Due esempi che estraggono l’amore dal contesto astratto ed edulcorato in cui spesso lo confiniamo e lo fanno divenire piede di porco che scassina l’ordine mortifero di singoli e popoli.
Se affermo che un genitore deve sapere dire dei sì e dei no, tutti siamo d’accordo e comprendiamo anche che quei no sono atti d’amore quanto quei sì.
Se invece affermo che ha un senso la pressione dei popoli del nord sugli italiani e sui popoli mediterranei affinché gestiscano più responsabilmente i propri paesi, allora, probabilmente, il senso del mio ragionare si perde ed anche l’adesione ad esso.
Si vede la parziale malafede di chi ci bacchetta, si vede anche le responsabilità di una classe dirigente nazionale e continentale incerta e non adeguata, ma si fa difficoltà a guardare oltre, prima della distorsione che le menti introducono, là dove il messaggio sorge e viene affidato al messaggero che lo piega ai suoi interessi e alle sue parzialità.
Può l’amore operare attraverso la distorsione delle menti, individuali o collettive che siano? Certo.
L’amore opera tenendo conto dei processi che attiva e ne segue l’itinerario al fine di garantire il risultato che “si è prefissato”.
Se noi pensiamo che l’amore sia un moto del cuore, veramente non abbiamo capito niente.
L’amore è il programma di fondo dell’Assoluto che attraversa i singoli e l’universo creato, e dunque ha sue logiche e un ordine prestabilito e di questo intesse ciò che attraversa.
Ecco allora che per mezzo del più fallace degli insegnanti può giungerci il giusto insegnamento.
Ed ecco perché l’espressione “Da che pulpito viene la predica?” non ha senso sempre: se quelle parole, quei fatti, giungono a me, non conta da chi sono generati, conta l’uso che ne faccio, come li decodifico, come mi lascio interrogare.
L’amore ci giunge per le vie più diverse e sempre si occupa e preoccupa del nostro bene, ovvero della nostra capacità di condurre a dispiegamento la nostra vita: spesso un gesto d’amore giunge attraverso una persona chiaramente limitata nel proprio sentire e nei propri modi, ma questo nulla toglie al simbolo di cui è portatrice per noi.
Dovremmo dunque guardare al messaggio piuttosto che al messaggero: dovremmo saper leggere in profondità il messaggio – perché sicuramente anch’esso, come il portatore, non è chiaro e di sicuro è confuso e condizionato – bene attenti a decodificarne il centro, l’essenza, senza farci distogliere dalla forma.
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Un bell’invito a non prendere il messaggero come alibi per non guardarsi dentro.
Quante volte mettiamo sul piedistallo qualcuno e quante volte denigriamo, così facendo sono tanti i messaggi che perdiamo…
Quello che dici, comporta che ogni volta noi, si debba fare i conti con i nostri pregiudizi, luoghi comuni di riferimento. Ci costringe ad un’analisi profonda, senza poter trovare conforto nel già noto che tanto rassicura. Unico riferimento la nostra capacità di comprensione, consapevolezza e del sentire. Un incessante ricerca, tesa a togliere ogni pretesto che possa costituire un alibi al nostro agire. Un lavoro faticoso a volte, a volte scomodo, ma l’unica via possibile. Se riconosco il fine, che è il progetto d’amore che hai descritto, riesco meglio a sostenerne la fatica.