Di sentire e pensieri, di emozioni e sensazioni, di fiori, erbe, sterco, rami secchi, profumo di radici, foglie e forza di viole è intessuta la veste della Madre.
Ogni mattino, la notte cede senza rimpianto il posto al giorno, gli esseri della notte a quelli della luce, i pensieri confusi al dispiegarsi del reale e di un ordine almeno tentato.
Ed ogni sera, il giorno si ritrae avendo esaurito il suo compito: così, senza apparente fine, si dispiega il manto della Madre e assume i colori, le fattezze, le usure del tempo, l’illusorietà del divenire per noi umani così reale.
Non è lo sterco che deturpa la veste della Madre, è la rinuncia a sé, al proprio progetto esistenziale, alla propria autonomia di manifestazione, all’essere quel piccolo segno e cifra – così come a ciascuno è dato – nel tessuto del tempo e dell’essere.
È il creato che non conduce a vita piena ciò che la Creazione ha effuso in lui e, per ignoranza, insicurezza, pavidità è aggrappato alla veste della Madre, ma rinuncia a partecipare pienamente e consapevolmente a quello splendore.
Ciò che l’umano ha creato nel tempo, parla spesso di questa mancanza di creatività, di slancio, di coraggio, di forza, di fiducia e mette in evidenza la pesantezza del procedere prudente, più preoccupato di perdere che di vivere.
Da questo angolo visuale è possibile leggere ogni giorno della nostra storia presente, dove l’umiliazione di ciò che è più sacro nell’umano e nella sua vita, avviene sull’altare dei valori dalla maggior parte di noi condivisi, valori che di nulla parlano, se non delle nostre paure, muti più delle pietre: quante volte una pietra dovrà frantumarsi affinché pian piano si affini e si mescoli alle foglie e ai rami, agli escrementi degli animali ed infine divenga nutrimento per le piante giovani, per i germogli di ogni primavera ed estate.
Non c’è inverno che non prepari la terra, la natura e la veste della Madre; non c’è marzo che non dichiari la sua intenzione: cosa offriamo ai nostri figli? Il pane della paura, della passività, della resa? Pietre offriamo?
Quando qualcuno mi dice: “Tu ci proponi di andare oltre noi, ma ancora abbiamo tanto da risolvere!”
Quel qualcuno non sa, non può o non vuol vedere, che è proprio quel considerarsi “qualcuno che ha molto da risolvere” che costituisce le sbarre della propria prigione: la libertà inizia quando il lamento su di sé cessa e ci si assume fino in fondo la responsabilità e la leggerezza dell’impatto con l’adesso che viene che, a volte, parla di noi, altre, la gran parte, è solo il manto della Madre mosso dalla brezza del tempo.
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Come sempre,grazie!
Bello e vero
Parole di pura poesia. Grazie infinite per declinare in questo modo il Sentire.
Verità!
‘La libertà inizia quando il lamento su di sè cessa’. Grazie Roberto
Bellissimo.. grazie.
Cacchio che botta! Grazie