Un sentire, un tempo, un organismo generano una via

Il sentire in questione è quello che aggrega un certo numero di coscienze incarnate e, attraverso le connessioni reciproche, crea le condizioni per lo sviluppo degli scopi incarnativi dei partecipanti e per il beneficio di quanti a quel sentire condiviso possono connettersi.
Il tempo di cui parlo è relativo alle condizioni storiche, culturali, morali in cui quel sentire trova manifestazione.
L’organismo è un connessione sufficientemente stabile di sentire/individualità/persone.
Esistono vie dalle radici ramificate nei millenni che attraversano il tempo e i sentire e mantengono una continuità nella trasmissione del sapere, delle esperienze e della fede.
Esistono altre vie, come il Sentiero contemplativo, che sono prive di radici così diversificate e, per poter vivere, debbono senza fine attingere al presente del sentire.
La tradizione è la possibilità di far riferimento all’esperienza di altri, al loro insegnamento, al loro conforto, al loro richiamo, alla loro ispirazione di fondo: la tradizione è un archetipo, o una somma di archetipi, un centro di irradiazione vibratoria a cui si può attingere in presenza di adeguate condizioni interiori personali.
L’assenza di tradizione costringe ad una interrogazione continua della realtà e del sentire, ad una discesa senza fine nell’abisso della profondità per trovare là le risposte, lo stato ultimo delle cose, il necessario allineamento e riallineamento.
“Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”, Mt 8,20: non un’appiglio, non un conforto ma l’unica possibilità di indagare il sentire e la realtà; la realtà e il sentire.
Se sei in un bosco e segui il sentiero aperto da altri nel tempo e tenuto sgombro dalla fatica di molti, il tuo procedere avviene nel contesto di quello sforzo comune: l’altro ti accompagna, magari ti ostacola in alcuni momenti, ma entrambi procedete lungo un tracciato che ha un senso e una direzione, almeno fino a quando, magari, non si scopre che porta ai piedi di una roccia inespugnabile.
L’umano si conforta al pensiero del procedere assieme e crea nella propria mente l’immagine della meta e di quella si nutre mentre, passo dopo passo, si misura con se stesso.
Vivendo in società, viviamo anche in questa prossimità di procedere, in questa condivisione di intenzioni e di scopo: condividiamo molto e sosteniamo il condiviso anche quando siamo in competizione, anche quando ci detestiamo magari.
Vivendo e procedendo assieme condividiamo archetipi e forme pensiero e sono questi che ci strutturano, ci accompagnano, ci orientano: siamo la risultante dell’adesione a innumerevoli archetipi e sono questi che, vibratoriamente, ci tengono in connessione all’interno di una religione, o di una società.
Una comunanza vibratoria dunque fondata innanzitutto sugli archetipi condivisi: una rete di fili ci intesse gli uni agli altri e costituisce un tappeto con trama ed ordito variabili a seconda dei tempi e delle latitudini, ma mai messi radicalmente in discussione.
La persona che vive primariamente nel sentire, non ha questa base su cui appoggiare, è straniera e solo la compassione l’avvicina al mondo comune e al suo procedere: è estranea a parte rilevante degli archetipi transitori, ha visto e abbandonato le forme pensiero condivise, si sente accomunata attraverso l’esperienza dell’amore e della compassione al resto dell’umanità, ma avverte che il suo procedere è lontano ed è fuori da quel tappeto condiviso.
Accomunata a tutti gli esseri nel sentire, lontana dal tappeto condiviso, dalla comunione minuta che si realizza attraverso la condivisione delle archetipi transitori e delle forme pensiero comuni.
La persona che vive nel sentire non ha un sentiero da percorrere nel mondo: ogni giorno si affida alla sua capacità di ascoltare, osservare, discernere il sentire che la permea e la guida.
È salda questa guida, chiaro questo orientamento?
Si, ma impone una scrupolosa gestione delle interferenze da parte dell’identità/identificazione.
Chiara è la meta per lo stormo delle rondini, qualcosa le guida al di là della loro volontà: esse non si pongono il problema della fiducia, esse sanno dove andare, pur non avendo la minima idea di dove stiano andando.
Così è per la persona affidata integralmente al sentire: ogni riferimento sarebbe una interferenza; i mille segnali lasciati da altri e condizionati dai sentire e dalle culture, aiutano ma non sono risolutivi e comunque sempre qualcosa conduce ad andare più a fondo, oltre l’indicato: tutto può e deve essere messo in discussione perché ad ogni sentire corrisponde soluzione e possibilità diversa.
La persona osserva, ascolta e discerne ciò che dal sentire personale, e da quello dell’organismo in cui è integrata, sorge: ogni attimo, ogni ora, ogni giorno la via viene tracciata nella certezza, come per le rondini, che non è in dubbio la meta e che il solo singolo passo è in questione, il come appoggiare, la presenza necessaria, l’equilibrio, le forze utili a compierlo, non altro.
Se altri sono portati dalla corrente, la persona che risiede nel sentire ha solo la sua fede/fiducia, è un folle che tutto osa nulla avendo da perdere perché, ciò a cui forse più avrebbe tenuto, se stesso, l’ha già perduto, o lo sta perdendo.
Il Sentiero contemplativo è assimilabile a questa follia: un organismo che cerca, ora speditamente, ora incespicando la via nell’intrico del bosco.
In questo procedere solitario cosa ci aiuta?
L’essere neutrale dell’altro che con noi procede: nell’assenza di certezze, non abbiamo bisogno del rumore della mente e dell’ostracismo dell’altro, ma della sua sintonia di sentire.
È la prossimità di sentire che ci aiuta, ci rafforza, ci spinge in avanti, ed è la carenza di questa sintonia che fa emergere il rumore delle menti, fa nascere le discussioni, confonde e obnubila la visione.
Fugge le discussioni come la peste, la persona che risiede nel sentire: non c’è discussione nel sentire, non c’è nulla di cui discutere, la realtà è, non ha bisogno del discutere dell’umano.
Un organismo sintonizzato nel sentire genera ad ogni attimo la via, la direzione e svela l’orizzonte, lo chiarifica, lo rende eloquente, eclatante: il ciò che è davanti al quale non c’è cecità, né reticenza possibile.
Un organismo che vive nel sentire non ha nulla di cui discutere e su cui dividersi: lo spirito non si divide, l’umano sì, attraverso l’eccessivo spazio che lascia alla sua mente/identità.
Un organismo che vive e pulsa nel sentire, vive al di là del tempo delle culture e delle morali: cambia il sentire e cambiano i suoi strumenti senza fine, ma rimane quell’aderire all’essenziale, allo zero sempre uguale a se stesso, oltre ogni dimensione di tempo e ogni connotazione ambientale.
Chi c’era sabato all’ultimo OE, e aveva gli strumenti di consapevolezza per cogliere ciò che attraversava l’ambiente vibratorio, avrà visto e sperimentato quella comunione di sentire che si realizza ogni volta che le menti si azzerano, la paura e la resistenza scompaiono e avanza il semplice essere.
Chi verrà all’intensivo sperimenterà quello su tre giorni, e lo vedrà attraversare le sessioni, i pranzi e le cene, il camminare e il cantare.
La vita di un organismo spirituale è assimilabile all’esperienza di un gruppo di persone che attingono assieme l’acqua da una stessa sorgente e, assieme, si dissetano.
Attingono dalla stessa sorgente che non è concettuale, non è ideale, non è morale: è sentire, puro Essere accessibile a sentire liberi dal condizionamento delle identità.
Il sentire di uno vibrando crea un’atmosfera vibratoria: se l’altro, gli altri, sono sufficientemente liberi da sé, le vibrazioni si innescano per prossimità di frequenza e di sentire e si crea una atmosfera collettiva che permea l’ambiente intero generando un punto di irradiazione di varia e mutevole ampiezza.
Quando questa esperienza è ripetuta nel tempo e stabilizzata dalla presenza assidua delle persone e dalla loro dedizione, basta veramente poco perché quella comunione di sentire possa realizzarsi, anche in assenza di una presenza fisica condivisa.
Se quel sentire comune veste anche i panni di una filosofia, di una pedagogia e di una didattica che parlano alle persone nei giorni feriali della loro incarnazione, allora l’esperienza del sentire sta divenendo via, strumento, attrezzo, ausilio che illumina il quotidiano, lo spiega e lo orienta.
Se quella filosofia e quella pedagogia sono disposte a morire ogni giorno illuminate dal sentire che mai rimane uguale a se stesso, allora non si è creata una religione, ma si è, semplicemente, nel ventre della vita e del sentire e da essi si impara ed essi si contempla. OE,ID8.3


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maria

Grazie per avere tradotto in parole il cammino che stiamo facendo…, nel fermarsi ,nell’incespicare queste parole dovrebbero sempre essere li’ pronte a illuminare la strada.

NATASCIA BELACCHI

Si, grazie. Perché il procedere solitario, anche se ad un certo punto riconosci che non è una scelta, ma semplicemente atto di “obbedienza”, richiede grande fatica, dedizione e fiducia.
Ciò che si sperimenta negli intensivi è come lo descrivi. E’ stato più facile constatarlo, mettendo a confronto i primi intensivi a cui ho partecipato, con questi fatti nell’ultimo anno e mezzo/due. Le persone rimaste e quelle che si sono aggregate in questo ultimo periodo, hanno avuto una maggior intensità. Meno bisogno di parole, ognuno assolveva al proprio incarico con maggior fluidità. Questo, credo, sia da imputare proprio a quella comunione di sentire di cui parli. Ritengo importante come tu dici, non aver relegato il cammino del Sentiero ad una religione. Scevro da ogni orpello su cui poggiare i nostri bisogni identitari.

Catia Belacchi

Già, nel nostro procedere non seguiamo il sentiero tracciato nel bosco dalla tradizione, ma poggiamo sul sentire. Quanto discernimento, quanta profondità di sentire e quanta “fatica” sono richiesti, allora, a colui che apre la pista e mantiene l’orientamento di tutti.
Grazie per questo.

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