“Invece se pur restando nel mondo, nella famiglia,
pur lavorando, compirà le sue azioni anonime,
insignificanti, dedicandole a Te;
se amerà e servirà di più i suoi cari
donando a Te quella vita apparentemente inutile;
se cercherà di pulire, abbellire, facilitare
la vita degli altri per amore a Te, o Signore,
allora sì che Ti mostrerai.”
(L’intero testo alla fine del post)
La composizione riportata è del Cerchio Firenze 77: la trovo bella e condivisibile, toccante in alcuni passaggi.
Ci sono due espressioni che non amo e di questi voglio parlarvi: essi mi rammentano del non risolto che ho con il mondo cristiano, qualcosa che fin da ragazzo ha provocato in me rifiuto e repulsione e che ancora opera nonostante quel ragazzo, e anche l’uomo che ha generato, non ci siano più.
I linguaggi del CF77 riverberano sovente la cultura cristiana che impregnava la società italiana nel lungo periodo in cui hanno comunicato: considerate che hanno iniziato a metà degli anni ’50 e finito a metà degli ’80. Questo a dimostrazione che, sebbene i comunicanti operino da una dimensione atemporale, quella del sentire, il loro messaggio si incarna nel tempo ed usa, necessariamente, i codici espressivi propri degli ascoltatori al fine di essere da questi agevolmente compresi.
Le espressioni che mi suscitano disagio sono quelle evidenziate in neretto: “dedicandole a Te/per amore a Te”.
Posso dedicare delle azioni, delle intenzioni a Te?
Posso agire per amore di Te?
Aborro queste espressioni:
1- quando agisco, quando sono mosso da un’intenzione, sono spinto da una forza, sono condotto e orientato da un sentire, non sono io che faccio qualcosa per qualcuno, è l’essere che opera, è l’operare in atto, è attivo un accadere impersonale: attraverso i veicoli che chiamo comunemente con il mio nome accade l’espressione, la manifestazione di un sentire.
Quel sentire, relativo per sua natura, è aspetto del sentire assoluto: è dunque aspetto dell’Assoluto che conduce a manifestazione se stesso.
Se questo è il processo, quale senso ha che io mi intrometta in esso e lo dedichi all’Assoluto che ne è l’origine e il fine?
E’, appunto, una intromissione e un gesto egoico e non altro, quel “dedicarlo a Te”.
2- Quando agisco, non lo faccio per amore a Te, di Te, non mi passa nemmeno per la mente: se avessi in mente Te, se dedicassi qualcosa a Te, vorrebbe dire che esiste un io e un Tu, ma così non è.
Quando agisco è l’amore Tuo che agisce, come posso dedicarlo a Te, semmai lo dedico a tutti coloro che da esso vengono benedetti.
Posso dedicarmi agli altri per amore Tuo? È un obbrobrio questa concezione.
Se mi dedico agli altri è perché nel mio intimo l’essere Tuo opera e rende l’apparente mio, Tuo: è la natura Tua che intesse questi veicoli e questo sentire, che genera il dedicarsi agli altri, Tu sei l’alfa e l’omega, l’origine di ogni causa e il suo fine, cosa centro io? Io chi?
Per poter dedicare qualcosa a Te, per poter operare in nome dell’amore per Te, io dovrei considerarmi reale, e dovrei considerare Te altro da me: considerazioni molto lontane dall’orizzonte di chi scrive.
Certo, nella gran parte delle situazioni, il mio dedicarmi a qualcuno o qualcosa, il mio amare è condizionato e limitato – e qualche volta è anche e miseramente solo la caricatura dell’amore Tuo – ma ciò non toglie che, nonostante tutti i condizionamenti, i velamenti e le distorsioni che il mio limite (il limite della mia percezione/interpretazione) può introdurre, ciò che attraverso questi veicoli e questo sentire si esprime, è Te.
Il mio limite esiste solo dal mio punto di vista, in sostanza non è altro che una mia interpretazione: in realtà, non esiste alcun limite e alcun essere o sentire limitato: esiste ciò che è, ciò che si manifesta, ciò che accade e questo non è né limitato, né non limitato.
Tutto ciò che esiste è Te e non ci sono gradi evolutivi di quell’essere Te: quel Te è indivisibile e solo nella illusorietà del divenire si frantuma e diviene molteplicità di esseri, di gradi, di stati, di sentire. Nella illusorietà del divenire.
Premesso questo, neppure quando sono ammantato e oscurato dal limite, mi viene da dedicare il mio operato a Te: e perché dovrei farlo? Quale spaventosa distorsione mi dovrebbe indurre a dedicarTi le mele bacate del mio cesto?
E quale altrettanta distorsione mi dovrebbe portare ad inserirmi nel processo di gratuità e di pienezza che si manifesta quando il mio limite non è di intralcio?
Nella realtà dei fatti so che tutto ciò che è, è Te: consapevole di questo non ho alcun bisogno di tirarti in campo, di mettermi nel mezzo, di nominarti e, infine, non ho proprio nessuna necessità nemmeno di credere in Te.
Il testo completo
Oh Padre, fa che io Ti veda attraverso alle creature,
ch’io non mi fermi al lato tristemente umano,
agli inevitabili limiti,
ai difetti più o meno scontanti;
fa ch’io non consideri la loro abilità,
la loro sicurezza,
la loro bellezza come a qualcosa che appartiene loro,
ma li consideri Tuoi doni, quali in effetti sono.
Fa che al di là di ogni apparenza veda Te,
Essere per essenza,
di cui noi siamo riflessi tanto più somiglianti,
quanto meno siamo limitati.
Ciò che Tu vuoi che l’uomo faccia,
o come vuoi che l’uomo sia,
non è un mistero, solo che l’uomo lo voglia, se lo domandi.
E non si può neanche dire che fare la Tua volontà sia faticoso,
costi sforzo: lo è quando l’uomo non vuole.
Ma quando ci si abbandona a Te,
quando si dimentica se stessi, il proprio guadagno,
il volere apparire,
allora la Tua via porta innanzi con sicurezza,
con la gioia nel cuore e una forza che tutto fa superare.
Se si fissano in Te i nostri propositi,
Tu non ci abbandoni,
ricolmi di consolazione la nostra vita.
Capisco, oh Signore, che è a Te
che dobbiamo consapevolmente e volontariamente venire.
Dicci dove dobbiamo guardare per vederTi
e non vedere altro.
Se, come dice S.Agostino, quelli che si rifugiano in Te,
è con la fede che Ti trovano,
dacci, oh Signore, la fede.
Se e con la virtù, dacci la virtù.
Se è con la scienza, dacci la scienza.
Ma forse per trovarTi o Signore,
dobbiamo lasciare il mondo, gli affetti,
la famiglia, il lavoro?
E’ proprio indispensabile che rinunciamo a tutto, ci isoliamo?
No, Tu non lo vuoi necessariamente,
tanto più perché se l’uomo non supera dentro di sé
l’attaccamento smisurato alle cose sensibili,
è inutile che fugga il mondo;
lontano che vada, con sé recherà sempre nel suo cuore
le sue innumerevoli brame.
Invece se pur restando nel mondo, nella famiglia,
pur lavorando, compirà le sue azioni anonime,
insignificanti, dedicandole a Te;
se amerà e servirà di più i suoi cari
donando a Te quella vita apparentemente inutile;
se cercherà di pulire, abbellire, facilitare
la vita degli altri per amore a Te, o Signore,
allora sì che Ti mostrerai.
Teresa OE,11.4
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Le parole di Teresa, pur dolci e poetiche, non trovano piena rispondenza in me… qualcosa mi “stona”. Mi sembra che Teresa percorra la via della Devozione e che io sia su una diversa strada…una strada in cui non si nomina neanche Dio o il Signore… Mi è venuta il mente la conclusione della poesia di Moti, alla quale mi sento vicina: ” …La tua vita avrà un senso, figlio mio, quando non avrai più bisogno di un Dio per dare credibilità e senso alla tua via.” Mi chiedo, anche, da dove nasce in me e in ognuno di noi questo diverso SENTIRE…
Colgo in Teresa un passo intermedio da una identità pienamente governante e un passo verso un agire abbandonandosi a un Te, per amore di…
Quello che dici tu Robi è il passo successivo a quello di Teresa.
‘Posso dedicarmi agli altri per amore Tuo? … Io chi?
‘ e, infine, non ho proprio nessuna necessità nemmeno di credere in Te.’
Perchè la fede in un Te, necessaria dapprima per fare un passo di distanza da un Io, cede posto alla comprensione che non c’è nessun Io e come può quel Te essere qualcos’altro?
Si,dopo attenta riflessione,condivido pienamente
Basta fare anche per brevi istanti esperienza della condizione unitaria che la contrapposizione io/Tu diviene quasi insopportabile solo nominarla, perché la avverti non corrispondente al sentire. Sembra di ascoltare un violino in mano ad un principiante.
E che dire di quella ancora diffusa nel mondo cristiano: “L’amore in nome di Dio ha un’altra valenza rispetto a quello puramente umano”? Fin da ragazzo l’ho trovata inascoltabile, una voce profonda che non sapevo spiegare mi gridava NO. Una voce che non corrispondeva a tesi lette o ascoltate e che per tanti anni ho messo progressivamente a tacere su tante questioni.
San Paolo, riferendosi al cibo spirituale per una sua comunità, dice che ha potuto offrire solo latte, perché i membri non avevano ancora i denti. Probabilmente chi è ancora immerso nel l’identificazione ha bisogno di un incessante riferimento ad un Tu altro da sé, mentre chi ha superato questa fase e sta lavorando altri limiti lo trova fuorviante.