Di cosa parla la morte di Gesù figlio di Giuseppe?
Di una vita realizzata ed offerta.
Non è stato il primo, né l’ultimo tra i tanti che hanno offerto agli altri non solo la propria esistenza, ma anche la propria morte.
Quanti sono morti in virtù del compreso e delle loro azioni e quel loro morire è stato un condursi fino in fondo mettendo vita e morte nelle mani del loro prossimo affinché il messaggio fosse completo?
Chi vive comprendendo consapevolmente, non vive mai per sé.
Chi comprende non distingue tra vita e morte, non li considera opposti: un solo respiro lega i due, si muore come si è vissuti.
A mio parere, se cerchiamo risposte e significati esclusivi e particolari nella morte di Gesù figlio di Giuseppe non ne troviamo: è morto come è vissuto. Come altri, conosciuti e sconosciuti.
Certo, la teologia cristiana ha costruito castelli di carte sulla sua morte, ma questa è faccenda dei cristiani.
La cifra distintiva della sua esistenza va cercata nella sua vita: in quello che ha compreso, in come l’ha incarnato, in come l’ha proposto.
Comprensioni e prassi di vita, quella è la cifra che colloca il figlio del falegname divenuto Maestro di vita al di là del tempo e che oggi, dopo due millenni, ci fa ancora parlare di lui e ci interroga.
Ciò che ha compreso parla alle nostre menti e alle nostre coscienze perché è ciò che anche noi andiamo realizzando, ciò che è già nostro bagaglio nel sentire e ciò verso cui tendiamo faticando, cadendo, rialzandoci e perseverando.
Il suo messaggio è universale perché è inscritto nel sentire di ogni vivente: scritto da sempre, natura del vivente.
Lui è li, uno che ci ha preceduti nel sentire e ci indica la via: lo fa con i suoi linguaggi, con i suoi modi che filtrano attraverso la mitologia che i suoi discepoli gli hanno costruito addosso. Non è un problema, sappiamo discernere e distinguere il grano dalla pula.
Siamo adulti nel sentire, non abbiamo bisogno di favole, né di miti che ci evochino l’essenziale sebbene ne riconosciamo la funzione per altri.
Due millenni fa, un segno irradiato nel tempo: una nota, la frequenza di una trasmittente, di un ponte trasmittente che ha ricevuto una frequenza, l’ha ritrasmessa venendo colta da altri che, a loro volta, la trasmettono ancora.
Un’unica frequenza attraversa il cosmo e bisogna stare attenti al mito del trasmittente rimanendo chiari nella visione del trasmesso, poiché è quello il centro, quello l’essenziale.
E di cosa ci parla l’evento/segno della resurrezione?
Di una esperienza interiore accaduta nei discepoli del Maestro.
I racconti dei testimoni dicono chiaramente che nel loro intimo viene a manifestarsi la natura più profonda di ciò che il Maestro vi aveva riposto: il suo insegnamento, la sua prassi di vita, le sue comprensioni riverberano nel sentire di chi si era speso con lui, di chi gli aveva aperto mente e cuore.
A posteriori, morto il figlio del falegname divenuto Maestro per alcuni, rinasce l’impronta del suo sentire nel loro sentire, oramai campo fertile e pronto a manifestarsi, a divenire gesto e prassi.
L’esperienza vissuta con il Maestro e aldilà del Maestro, li ha condotti a comprendere quello che Yēshūa bar Yôsēf aveva portato nelle loro vite: l’insegnamento è fiorito in possibilità, da potenza è divenuto atto.
La cifra della resurrezione è questa: c’è un seme che esiste in te aldilà del tempo, da sempre e per sempre, quando germoglierà ti farà vedere e vivere la vita in modo radicalmente altro. Quando le foglie e i tralci di quel seme invaderanno il tuo interiore, tu sarai una persona nuova in una vita nuova, sarai rinato da morte, essendo questa niente altro che l’oscuramento della propria reale natura.
Il Maestro “risorge” nel sentire e parla al nostro sentire: è il Maestro che risorge, o siamo noi a risorgere dalla morte della non conoscenza?
Il Maestro quella conoscenza l’aveva già portata ad evidenza, condotta a manifestazione in vita e dunque non poteva perderla, non c’era morte che potesse oscurarla; in lui, il seme presente da sempre era germogliato e aveva dato frutto abbondante: la sua vita è stata un dichiarare l’Assoluto senza fine rendendolo sentire, pensiero, affetto, azione, dono per chiunque avesse orecchie per intendere.
Noi non avevamo compreso e non vedevamo, ma le esperienze hanno fatto maturare le comprensioni e allora anche noi abbiamo compreso, e abbiamo sentito ciò che lui sentiva, abbiamo compreso ciò che lui comprendeva e visto e ascoltato come lui vedeva e ascoltava; ciascuno di noi a modo proprio, perché non esiste sentire eguale ad un altro, eppure, quando siamo rinati, la sua rinascita abbiamo compreso e lì lo abbiamo conosciuto.
Noi siamo risorti dal buio dell’ignoranza alla luce della comprensione, non il Maestro dopo la sua morte fisica: semmai lui è risorto quando i tasselli della comprensione si sono uniti ed evidente è sorta la consapevolezza che il figlio del falegname divenuto Maestro per alcuni era morto e altro viveva senza nome, narrazione vivente dell’Assoluto.
Pasqua 2017 OE13.4
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Grazie mille !
“l’insegnamento è fiorito in possibilità, da potenza è divenuto atto ”
Così sia per ciascuno di noi, passo dopo passo, respiro dopo respiro.
Buona Pasqua !