Percezione soggettiva del reale e solitudine

Uno dei concetti più difficili da comprendere intellettualmente da parte di colui che segue i nostri insegnamenti è il concetto della soggettività del percepire, che ha – come conseguenza logica – l’illusorietà della realtà nella quale quell’individuo vive.
Infatti un ragionamento susseguente a questa enunciazione del concetto che quell’individuo potrebbe fare, è il ritenere d’essere completamente solo: completamente staccato e diverso dagli altri individui; non solo, ma addirittura potrebbe apparire che gli altri individui non esistano contemporaneamente a lui; egli riceve degli altri una immagine tutta particolare, soggettivizzata naturalmente, e non avrà mai la certezza che quanto egli percepisce possa essere la realtà.
Questo abbiamo cercato di insegnarvi, in quanto questo corrisponde al vero: la realtà non è quella che voi percepite, ma i vostri bisogni egoistici vi spingono a percepire questa realtà nel modo a voi più «conveniente» in quel momento evolutivo.
Però è necessario tenere conto di un presupposto molto importante, a mio avviso, in quanto l’individuo che accetta i nostri concetti – e quindi è convinto dell’illusorietà del suo percepire – può correre il grave rischio di sentirsi veramente solo e completamente distaccato dagli altri e, quindi, essere portato ancora –  come ulteriore conseguenza – a non agire.
Invece, se noi ci allontaniamo un attimo dall’insegnamento filosofico che vi prospetta questa fredda realtà e ci avviciniamo all’insegnamento etico, vi ricorderete che uno dei concetti principali su cui noi spesso battiamo, è il cercare di fare qualcosa per gli altri. Ma se questi altri sono illusione, sarebbe completamente assurdo agire per essi, agire per qualcosa che, in realtà, non esiste o, quantomeno, non esiste così come viene percepito.
Questa è una contraddizione nella quale si tende facilmente a cadere quando ci si avvicina a questi insegnamenti ed allora, ancora una volta, vogliamo ribadire un concetto che già abbiamo enunciato in altre occasioni, in altri tempi, sperando che, a forza di ripetere queste cose, voi riusciate a farle veramente vostre.
Prendete voi stessi come individui, come uomini, come corpo fisico e guardate come è composto il vostro corpo: voi sapete che siete un organismo – come direbbe un biologo – pluricellulare, composto cioè da più cellule che lavorano, che non sono in competizione tra loro ma che cooperano affinché l’organismo funzioni nel migliore dei modi.
Allora se voi – quando vi trovate di fronte al concetto che ciò che voi percepite è soggettivo – tenete presente il fatto che siete soltanto una cellula di quell’organismo pluricellulare che è il Tutto, molto più facilmente, e più credibilmente, il vostro sentirvi uniti agli altri esseri potrà fare veramente parte di voi.
Non è necessario che la cellula che voi percepite sia reale in quel momento, sia effettivamente fatta in quel determinato modo: l’importante è che voi sappiate che questa cellula esiste, che fa parte come voi di quel Tutto che, prima o poi, vi si parerà innanzi, e che sentiate – gradualmente, lentamente, così come deve essere – l’esigenza ed il bisogno di collaborare strettamente, fianco a fianco, con essa affinché il quadro possa essere vissuto da tutti nel modo migliore.
Vito, Cerchio Ifior Dall’Uno all’Uno, pagg.90-91 OE24.4


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Nadia

Grazie

Maria b

Bella l’immagine della cellula unitaria mi rimanda al passo ,credo di Paolo , quando parla della membra del Cristo, che cooperano alla edificazione del corpo mistico.

Sandra Pistocchi

Grazie roberto perchè queste parole indicano chiaramente il processo e non soltanto il punto di arrivo…

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