Il mattino di venerdì, mentre noi arrivavamo all’Eremo di Fonte Avellana, un gruppo di persone di varie nazionalità terminava l’intensivo di Vipassana durato dieci giorni: ci lasciavano un ambiente vibratorio ideale.
Una coincidenza interessante: usciva un modo di vivere la via spirituale profondamente ancorato al silenzio e alla pratica meditativa, ed entrava un mondo senza-forma che non è incernierato né sul silenzio, né sulla pratica meditativa e che supera la nozione stessa di via spirituale.
Dieci giorni di meditazione Vipassana sono una esperienza indubbiamente straordinaria, una prova. Certo, quello straordinario apparente poi precipita nella routine dell’ordinario e di ora in ora la consapevolezza viene assorbita dai semplici fatti, ma rimane in filigrana la consapevolezza del praticante che quello sperimentare è un tempo della vita, non la vita intera che ha, per sua natura, un altro ritmo ed un altro respiro.
Anche gli intensivi del Sentiero non sono apparentemente la vita ordinaria, sono tre giorni di immersione nel vivere fluido e consapevole liberi dal condizionamento del lavoro e delle responsabilità familiari.
Qual’è la differenza tra un intensivo Vipassana e uno del Sentiero?
La sostanziale non-forma perseguita nel Sentiero.
Cosa intendo per non-forma? Il prevalere dell’immediatezza. Cos’è?
L’intenzione, il pensiero, la parola, l’emozione, il gesto che sorgono dall’allineamento interiore e che fluiscono nell’immediatezza dei fatti, degli accadere.
Il ritmo della giornata di un intensivo è tale da facilitare l’allineamento interiore tra il sentire e la sua manifestazione: l’ambiente vibratorio che si crea è generato dall’intenzione dei partecipanti di vivere consapevolmente e pienamente l’ordinario di quei tre giorni.
Nessuno dei partecipanti ad un intensivo del Sentiero si dispone ad un’opera eroica, od epica: ciascuno scende nel ventre del proprio essere e sa che l’unica cosa che gli compete è vivere con il minor tasso di identificazione possibile.
Il ritmo delle giornate, le discussioni, lo zazen, il canto, la liturgia con i monaci preparano e facilitano questo: ogni fatto coopera affinché la persona segua il ritmo delle scene che si alternano e che producono un sostanziale svuotamento della centralità di sé e mettono in risalto il fatto che è.
Alla fine ciò che rimane è il vivere.
Portati dai fatti e dal loro ritmo, abbandoniamo noi stessi e lasciamo che la vita ci attraversi con dei semplici accadere.
La vita comunitaria diviene l’officina del lasciar fluire: dell’esserci e dello scomparire. Del proporsi e del tacere. Dell’irrompere e dello sprofondare.
Le giornate di un intensivo del Sentiero mostrano come si può vivere: nella presenza senza pretesa. Nella consapevolezza senza controllo. Nello spendersi sorretto dalla compassione.
Un intensivo mostra l’ordinario di ciascuno: il tempo della convivenza, soprattutto se ripetuto ad ogni stagione, mostra la semplicità del nostro essere, l’ordinarietà di ciascuno di noi.
Nelle lunghe discussioni non c’è nessuno che sia straordinario. In tutte le pratiche non è richiesta alcuna disposizione straordinaria.
Dall’alba al tramonto non ci è richiesto di mostrarci, ma di essere quei piccoli esseri che siamo, privi di ogni straordinarietà, assolutamente originali nella nostra ordinarietà.
Un buon osservatore vede il volto originale dei fatti, non ha bisogno delle eclatanze: nei fluire della routine vede i mille volti, i mille gesti, le mille disposizioni e, nell’intimo suo, si meraviglia.
Quando le persone si immergono nel clima feriale di un intensivo privo di ogni pretesa ed aspettativa, si liberano da ogni dover essere e finalmente fluiscono per quel che sono: fatti.
Le persone sono fatti che accadono, che scorrono, che fluiscono, che spariscono: se questa è la comprensione, lo sguardo sarà conseguente e la meraviglia lo suggellerà.
Abbiamo distrutto la via spirituale e i suoi riti: essa è morta perché era solo il dito che indicava la luna ed è sorta la vita dei fatti che, se osservati e contemplati, sono la quintessenza del vivere senza scopo, senza finalità, senza straordinario/ordinario: pura gratuità.
Così abbiamo distrutto la via spirituale e i suoi riti e abbiamo abitato la luna, per quel che è dato a ciascuno, ed è dato in modi molto diversi, molto originali.
Ho usato l’espressione “distrutto la via spirituale” non a caso. Potevo dire “superato la via spirituale” ma questa espressione non avrebbe reso la sostanza dell’intenzione: la via spirituale altro non è che una interpretazione, una lettura di comodo di un certo tratto di strada, è un paradigma che ad un certo punto deve morire.
Distruggere la via spirituale è uscire dall’influenza di ogni archetipo, è essere sottoposti ad un terremoto, scossi nelle fondamenta, demoliti nelle sovrastrutture: muore ogni adesione al conosciuto e allora emerge quello che ogni interpretazione nasconde, la vita.
Distruggere è un verbo che rimanda ad una radicalità ed è un moto che attraversa la persona invasa dalla libertà che sente fin nelle midolla il gusto del suo affrancamento dal condizionamento e respira a pieni polmoni l’aria senza-forma. OE20.6
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“Distruggere la via spirituale è uscire dall’influenza di ogni archetipo, è essere sottoposti ad un terremoto, scossi nelle fondamenta, demoliti nelle sovrastrutture: muore ogni adesione al conosciuto e allora emerge quello che ogni interpretazione nasconde, la vita.
Distruggere è un verbo che rimanda ad una radicalità ed è un moto che attraversa la persona invasa dalla libertà che sente fin nelle midolla il gusto del suo affrancamento dal condizionamento e respira a pieni polmoni l’aria senza-forma….”
Mi è sembrato di sentire, proprio qualche giorno fa, il gusto dell’affrancamento da sovrastrutture (religiose, nel mio caso) ed ho respirato a pieni polmoni sentendomi libera…e …fortunata!
In me è come se fossi a bordo di una barca che la lasciato la sua isoletta conosciuta spinta dal vento della Vita verso altri approdi ….. la terra nuova è laggiù all’orizzonte
Analisi chiarissima e coinvolgente sopratutto la parte finale che parla della distruzione della via spirituale. Riguardo a ordinarietà e straordinarietà ho ben evidente che lo straordinario, nella via, diventa ordinario ma questa consapevolezza, appunto, non l’avrei acquisita fuori dal sentiero, per questo grazie davvero.
Grazie.
Mentre leggevo
una zanzara mi ronza attorno
SPLACH
ho continuato a leggere
Visto che, credo, anche il libero fluire delle persone può essere considerato un atto creativo, ne approfitto per porre una domanda che mi è rimasta sospesa all’intensivo. Potresti delineare l’anello di congiunzione tra creatività e spiritualità? Certamente nell’atto creativo la mente è semplice strumento o è del tutto assente, e questo già credo comporti una sintonizzazione con piani più alti…
Grazie Marco, ti risponderò con un post..
Tutto molto chiaro
Dopo la distruzione della via spirituale, dopo un periodo di assestamento, ci sarà una nuova struttura da demolire, più sottile di quella precedente ma sempre un velo che copre la vita
È così.
Namaste’