Obbedire: latino oboedire, composto di ob e audire «ascoltare».
Il processo dell’aderire all’ascolto senza da esso volersi e potersi affrancare, senza volerlo e poterlo negare, volendo e dovendo per intima natura propria assecondarlo e perseguirlo.
Assecondare l’ascolto perché altro non è dato e non si cerca: quella è la vita di alcuni di noi, obbedire.
Per estensione, ascoltare è anche osservare, come pure recepire, ovvero tutto ciò che ha a che fare con il processo della vita che ci impatta e che registriamo e proteggiamo nel nostro interiore, nella coscienza innanzitutto.
Ci sono persone che possono solo obbedire al loro interiore: ci sono persone che non sono persone, non più, sono il processo dell’obbedire che si dispiega.
Non un processo lineare perché mai la persona cessa completamente di essere soggetto e dunque mai finisce una volta per tutte quella sottile resistenza all’ineluttabile.
Quasi l’umano non accettaste mai fino in fondo di non esser altro che Quello, la Sorgente.
Il processo è governato da un codice e tutti conduce alla Sorgente, non c’è in questo alcuna libertà, il vivere è una finzione tanto più dolorosa quanto più rivendica una libertà da Quello inesistente e irreale.
Il monaco è colui che ha accettato fino in fondo questa condizione, obbedisce e si fa processo andando oltre la personale pretesa di esserci che non gli basta e, ad un certo punto, non lo riguarda nemmeno.
Il processo di unificazione viene riassunto nel termine monaco: il processo anelato e senza scampo, l’incedere nella dedizione all’ascolto, all’osservazione, al farsi concavità.
Nell’obbedire si realizza ogni libertà, perché?
Perché solo quando non sei più e solo l’ascoltare è, viene superata la frammentazione e la separazione interiore e si svela la condizione d’esistere autentica, quella che non prevede condizionamento e dunque afferma l’unica e definitiva libertà, quella dal condizionamento.
Senza condizionamento c’è la partecipazione alla vita dell’Assoluto: il condizionamento ci occlude l’ascolto, l’osservazione, l’accoglienza profonda di Quel-che-è e ci confina nel regno della libertà effimera che ha al centro il nostro bisogno.
Non c’è qualcuno che obbedisce, c’è l’obbedire, c’è il seguire, c’è l’arrendersi, c’è il non porre condizioni, c’è il non-resistere sempre tentato e mai condotto a splendore.
Non ha importanza, conta il processo e la fedeltà a quel richiamo sempre rinnovato e sempre obbedito.
Il monaco non ha altra occupazione che l’obbedire, il monaco è l’obbedire.
Così come può, ad ogni ora del giorno, di tutti i giorni.
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La protesta intellettiva cade di fronte alla constatazione che qui non si parla di obbedire ad altri, ad autorità esterne o a terzi in genere. L’obbedienza è “solo” al proprio sentire.
La questione si complica enormemente quando dal piano intellettivo si passa a quello fattuale, dove, per seguire il proprio sentire si può arrivare ad accettare consapevolmente di essere torturato ed ucciso appeso ad una croce.
Qui ogni cellula del mio essere, quantomeno dei corpi fisico ed astrale, è in piena protesta se non sgomenta.
Forse l’obbedire è in relazione con l’autorevolezza.
Quando c’è autorevolezza interiore, legittimazione verso se stessi a sentirsi autorizzati ad esprimere una posizione, quando si sente questa forza, allora piegare la testa e obbedire ha il suo sapore autentico.
L’obbedire per convenienza o per mancanza di forze porta poi una sete di rivincita.
Penso sia davvero così Mariella, obbedire come processo di allineamento con la Coscienza che porta alla libertà.
Nell’atto di affidarsi, ci si sgrava della presunzione di gestire gli avvenimenti della Vita. Non perchè non si vogliano assumere le responsabilità, tutt’altro, ma non essendoci più l’ansia da prestazione, le cose fluiscono meno pesantemente, anche quando il carico è gravoso.
Credo di essere una persona che ubbidisce perciò aderisce al proprio sentire interiore ma la persona, appunto non è scomparsa, non c’è solo ubbidienza. la strada è ancora lunga.
Mi sono riconciliato negli ultimi anni con la parola “obbedienza”. In ambito cattolico temo che con “obbedienza ed umilta” venga talvolta spacciato ben altro, per cui giustamente si ribella l’identità ma anche la coscienza. Ora il titolo del post mi risuona ed evoca un’armonia ed una nota dell’abbandonarsi fiducioso. Questo nonostante l’esperienza della libertà dai condizionamenti sia saltuaria.
C’è una fase della vita, l’infanzia, in cui si ha un estremo bisogno di avere delle regole, lì si sperimenta la libertà. Poi viene una fase, l’adolescenza in cui si ha bisogno di infrangerle, credendo che la libertà sia oltre le regole e i comandi e forse si fa un poco di confusione tra le due. Questa fase può durare a lungo, almeno nel mio caso.
Quindi si sperimenta che la libertà è uno stato interiore che non dipende dall’esterno da se, ma si nutre di ascolto, osservazione, obbedienza alla spinta creativa interiore, obbedienza all’altro da se, docilità e abbandono.
La parola obbedire, nonostante non sia più una ragazzina…. a breve suoneranno i 50, mi fa ancora rabbrividire. Quando la sento rivolta a me un fastidio mi assale. Mi chiedo se vada a rimestare in mie arcane paure, oppure se sia la naturale reazione di tutti ad un “innaturale processo. Quindi il nostro cammino nel Sentiero mi conduce proprio là dove io non vorrei andare. Proverò a ripetermi: “Nell’obbedire si realizza ogni libertà”
Mariella cara, dividi le tue resistenze con diversi altri di questo Sentiero ma questo, ahimè, non ti consoli, significa purtroppo che tu, come altri, non siete ancora giunti a comprendere la sostanza dell’esperienza ultima del vivere..