Sapevo che il post Chi sei? Sono il processo dell’obbedire avrebbe provocato qualche mal di pancia, d’altra parte non stiamo qui a “pettinare le bambole”.
Non metto in dubbio che ci siano molte motivazioni valide per quei mal di pancia che affondano le radici nella storia di ciascuno di noi, ciononostante ribadisco un principio: quando si è conosciuta la realtà dell’esistere autentico, l’obbedienza è un’evidenza; se ancora evidenza non è, questo è dovuto al permanere di elementi di identificazione e dunque di condizionamento.
Ogni volta che scrivo dei temi ultimi dell’esistere, mi coglie un timore e il dubbio di parlare di qualcosa che non tocca chi legge o, se lo tocca, lo sfiora ma non lo impatta.
Non saprò mai dove giungono queste parole, né, in fondo, mi interessa: parlo di ciò che conosco per esperienza diretta, di ciò che per me è vivo e vitale e lo consegno al vento perché ne faccia l’uso che vuole.
È utile alla persona di questo tempo conoscere il senso del divenire, del vivere?
È interessata la persona alla conoscenza dell’orizzonte ultimo, di quel che diveniamo oltre il limitato orizzonte del nostro sguardo miope?
Non lo so, sto varcando la soglia della vecchiaia e il mio sguardo è sull’orizzonte largo e vasto, e sebbene ami interessarmi del piccolo orizzonte mio e dei miei simili, il respiro esistenziale non ne diviene mai prigioniero.
Se ora io affermo: “Ciò che conta è il processo, non il fine” voi tutti siete certamente d’accordo, ma temo non abbiate chiaro un principio: è il fine che determina il processo.
È ciò che va conseguito nel sentire che attiva le scene dello sperimentare quotidiano.
Mille volte abbiamo detto: l’umano va da ego ad amore. Questo è l’orizzonte ultimo e vasto e questo impronta di sé ogni fatto ed ogni processo: non c’è processo che non obbedisca a quel fine, vedete come è limitata l’espressione prima riportata?
È importante conoscere il fine, l’orizzonte vasto? Non si può procedere per tentativi stando sul piccolo orizzonte? Certo che si può.
Ma vi auguro di non ammalarvi mai di una malattia che metta in pericolo la vostra sopravvivenza; vi auguro di non assistere mai a certi percorsi dolorosi dei figli; vi auguro di non perdere mai chi amate.
Sono auguri vani, come sapete: tutti perdiamo qualcosa e qualcuno, tutti veniamo mutilati nei legami e siamo indotti a temere per il nostro futuro, ma, forse, non ci piace allungare lo sguardo oltre il conosciuto quasi tentassimo così di esorcizzare l’ignoto.
Alcuni di noi si sentono portati ad allargare e approfondire lo sguardo, si chiedono che ne sarà di loro e dei loro cari dopo la morte, si chiedono il perché della sofferenza, del perdere, del lasciarsi, del farsi male.
È sempre esistito qualcuno che ha allargato lo sguardo oltre il limite della siepe: serve nei momenti bui, serve quando si cade, serve per nutrire la fiducia.
Ecco perché parlo dell’obbedienza, di un tema ultimo e ostico, della vita che diviene niente altro che un obbedire, l’obbedire.
Se leggete attentamente, se non vi fermate ai pruriti che il concetto vi solleva, potete scoprire l’orizzonte vasto che ogni parola ha cercato di figurare:
c’è un mondo sconfinato oltre il piccolo e meschino ribellarsi, lo vedete? Questo volevo dirvi.
E voi volete rimanere nel piccolo mondo, o potete aprire le vostre vite su quell’orizzonte vasto? Anche questo volevo dirvi.
Se avete compreso la natura dell’obbedire di cui parlo, allora sapete anche che essa matura con il sentire e nel sentire, e se il frutto è ancora acerbo non si possono forzare i tempi.
Ma si può coltivare la pianticella: la si può illuminare della luce degli astri del vasto orizzonte, come con la piccola luce al neon dei propri condizionamenti, entrambe le luci servono e sono indispensabili.
La pianta cresce tra terra e cielo: non puoi togliere la terra, e non puoi cancellare il cielo.
Quando l’umano non vede più l’orizzonte vasto diviene un essere fatto solo di terra e, se piove troppo, solo di fango.
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Grazie!
Grazie Roberto, niente da aggiungere….
Grazie!
Credo di aver colto il senso di quello che dici….o almeno spero
… o se dal cielo non piove affatto la pianticella sperimenta l’aridita’
Grazie per la ulteriore sferzata. Insomma, per paura di perdere il sassolino rischiamo di non vedere il diamante!
Seppure ancora carica di strati di identità, non ho mai colto autorità nell’obbedire piuttosto forme di rispetto. Da ragazzina questo rispetto era dettato da condizionamenti di tipo educativo, oggi il senso dell’assecondare è decisamente più ampio e sincero.
Namaste’.
Molto efficace la metafora della pianticella che si nutre di terra e di cielo. Ciò che esiste esiste in tutte le cose. Grazie