Per ciò che pensiamo, proviamo, agiamo c’è sempre un cosa, un come, un perché.
Qui voglio sostenere una comprensione: non è tanto il cosa e il come pensiamo, proviamo, agiamo, ma il perché che ci mantiene connessi al sentire, a noi stessi, all’Assoluto, o ci aliena da esso.
Il perché riguarda l’intenzione: cosi muove quel pensiero, quell’emozione, quell’azione?
Qui parliamo di una persona consapevole, che sa osservarsi, non parliamo di chi vive e impara sperimentando e sbattendo.
La persona consapevole vede l’intenzione che la muove e, deliberatamente, decide se assecondare la spinta, se disconnetterla, se lasciare che la natura iniziale della spinta possa trasformarsi in altro.
La persona consapevole opera innanzitutto sul piano dell’intenzione, del monitoraggio delle molte sfumature che la compongono: nel mentre monitora e discerne vede quanto quell’intenzione separa, divide, oppone; oppure unisce, pacifica; oppure è ininfluente.
Qualunque sia il cosa e il come la persona pensa, prova, agisce, l’osservazione profonda dell’intenzione le svela il livello di connessione con sé e con l’Assoluto.
Cos’è la connessione con sé? L’esperire con l’interezza del proprio essere, dei suoi corpi: l’esperienza che coinvolge consapevolmente il sentire, il pensare, il provare, l’agire simultaneamente.
Quella connessione profonda di tutto l’essere è esperienza unitaria, la persona non è né frammentata nella sua percezione, né divisa da ciò che la origina e la determina, il sentire/Assoluto.
Cosa rende possibile la connessione con sé? La natura dell’intenzione.
Come deve essere un’intenzione perché faciliti quella connessione?
Non condizionata dall’egoismo e dal bisogno personale.
L’inserirsi di una finalità egoica, di uno scopo personale a cui si riconduce la relazione con l’altro, di un fine personale a cui lo si piega, di una strumentalità, di un doppio fine, di un guadagno, di una ipocrisia, di una finzione, di una seduzione ci allontana simultaneamente da noi stessi e dalla connessione profonda con Ciò-che-è.
Ci sono dei cosa e dei come che muovono dai nostri bisogni egoici, ma ci sono anche dei cosa e dei come che hanno come unica motivazione il perseguimento di un equilibrio, di una ecologia interiore: ci sono dei no che si dicono per egoismo e altri per salvaguardia.
Ci sono gesti privati che non riguardano l’altro, che hanno all’origine una spinta narcisista, e altri che sono semplici espressioni di uno stato d’essere e d’esistere senza tante colorazioni.
Cosa mi muove? Il bisogno di esserci, di riconoscimento, di gratificazione, o il semplice sorgere di un impulso vitale?
Mangio per riempirmi di qualcosa, per gratificazione, per desiderio, o mangio perché sorge il mangiare?
E cos’è il mangiare? L’essere mossi dall’esigenza propria dei corpi che si sposa con la celebrazione dell’offerta, del dono che la vita ci propone attraverso il cibo.
Mi relaziono perché ho bisogno, o perché mi viene naturale celebrare l’incontro con l’altro?
Quante delle nostre relazioni sono mosse dal bisogno nostro e quante accadono nella pura gratuità e senza scopo?
Cerco una pratica sessuale mosso da cosa? Bisogno o celebrazione? Molti risponderanno celebrazione, ma non è vero. Bisogno e gratificazione è la risposta più comune.
È sbagliata la ricerca della gratificazione? Niente è sbagliato ma, ad un certo punto del cammino, in una data stagione, la gratificazione viene vista e disconnessa e si lascia che al suo posto sorga la celebrazione.
Spesso la celebrazione non ha bisogno che un determinato atto accada, che un certa azione si compia: basta l’intenzione e la celebrazione si compie senza che alcuna scena debba svolgersi.
Ciò che ci separa è la nostra centralità, il ricondurre il mondo a noi, l’esserne il centro.
Ciò che ci allinea è il decentraci, il dimenticarci, il farci da parte sapendoci irrilevanti, il porre al centro la vita che accade, non noi, non il nostro scopo, non il nostro esserci.
Ciò che ci disallinea è anche ciò che ci espunge nella consapevolezza dell’Assoluto: l’umano consapevole della propria integrità e connessione unitaria è naturalmente uno con l’Assoluto; se ne separa, viene scaraventato fuori da quella consapevolezza nel momento stesso in cui dice «io» intendendolo come privilegiato su un «tu».
Se quell’«io» è solo un gioco nella relazione con un «tu», non c’è conseguenza separativa, è appunto un gioco delle parti, una danza, una celebrazione del divenire e niente altro.
Ma se nel pronunciare quell’«io» c’è una increspatura egoica colorata nei mille modi del possibile, allora, in un battito di ciglia, siamo soli e separati dal Tutto perché separandoci dall’altro-da-noi per necessità egoica, abbiamo rotto lo stato primario dell’Essere ed esistere unitario.
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Dopo aver letto questo post non posso fare altro che rimanere in un grato silenzio.
Mi inchino di fronte a queste parole.
Concordo con Roberta nell’auspicare un approfondimento di questo tema ad un intensivo o un’OE. Questo post risponde a grandi linee a quella domanda che, prima di leggerlo, avrei voluto porre come tema di riflessione: con quali criteri effettuare le scelte di vita, sia di limitata che elevata portata esistenziale?
Grazie. Ho letto questo post solo oggi, ma guarda “caso” è il giorno giusto per calarlo nella pratica del quotidiano. Oggi vedo la spinta egoica che mi muove: ho tutta la giornata per lasciarla andare. Cercherò d’impegnarmi per lasciare andare la bambina che scalpita in certe occasioni e che guarda il mondo a partire da sè!!! Celebrare ciò che sorge e si presenta.
Grazie!
Mi accorgo di come, anche quando una azione è fatta in totale spontaneità, senza intenzione egoica, l’ego si presenti subdolo subito dopo perchè si insinua la soddisfazione o il suo contrario rispetto al gesto compiuto. Automaticamente, però, scatta il lasciar andare. Vero è che spesso si cerca l’altro per bisogno di sostegno, di compagnia, ma se si fa con consapevolezza, essendo disposti a ricambiare, credo questa sia una cosa sana.
Grazie Robi.
Il messaggio arriva forte e chiaro leggendo la seconda parte del tuo post, ma all’inizio, quando parli di intenzione, la mente si ingarbuglia: credevo che l’intenzione derivasse direttamente dalla coscienza, ad essa necessaria per acquisire dati, e, al tempo stesso, “condizionata” o resa meno chiara ed evidente dai corpi e dalle spinte identitarie…
Capisco quando dici che la persona consapevole vede l’intenzione e ne monitora le sfumature, ma non mi è chiara la dualità tra intenzione che unisce all’assoluto ed intenzione che divide, dualismo che sembrerebbe riconducibile quindi alla coscienza stessa anziché al condizionamento successivo (in senso logico, non cronologico) dell’umano.
C’è anche un’intenzione più relativa che, ad esempio, sorge nell’identità e quindi è più condizionata.
D’altra parte ciò che proviene dalla coscienza in evoluzione come intenzione, può non essere chiaro e compiuto e di conseguenza determinare ampi errori di decodifica da parte dei corpi transitori e dell’identità stessa.
“CELEBRAZIONE”. Altra profonda parola il cui vero significato lo realizzo solo ora.
Grazie Robi.
Ritengo che ciò che dici in questo post sia di fondamentale importanza. Non so se è perché mi tocca particolarmente in questo periodo, ma per me meriterebbe un approfondimento con un essenziale o un intensivo.
Grazie.
Sei sempre parte dell Uno, Samuele, ma quella che si perde è la consapevolezza dell unità. Teoricamente me la cavo bene! (sempre ammesso che abbia interpretato bene!)
Il bisogno si può insidiare, sotto mentite spoglie, in ogni nostra azione. Non è facile riconoscere quale sia la spinta. Parlo per me, naturalmente. Cerco di mantenere alto il livello di attenzione, ma non nascondo che a volte taluni avvenimenti per me sono di difficile comprensione e il procedere in piena consapevolezza non mi è possibile. L’unica cosa che mi riesce di fare allora, è prendere consapevolezza del mio limite, nella speranza di poter andare oltre.
Grazie Roberto…
Tema difficilissimo.
La domanda sorge spontanea: ma è possibile separarsi dall’Uno? E dove sei quando sei separato? Non sei sempre un grado di sentire dell’Assoluto?
Bo, sono andato un po’ in confusione; dovrò rileggere il post è ruminarlo un po’.
Rileggi, caro..
Mi inchino…