“Ciò che il monaco cerca quando legge, non è la scienza, ma il sapore. La Scrittura è il pozzo di Giacobbe da cui si attingono le acque che poi si spandono nell’orazione”. (J. Leclercq, Ecrits monastiques sur la Bible, in Medieval Studies, 1953)
Ciò che vale per i cristiani, vale per tutti noi indipendentemente da quale sia la lettura, o la situazione nella quale ci troviamo immersi.
La mente cerca la scienza, la ragione, la logica, il senso: il sentire è attento a cogliere la sostanza, il sapore come dice il Leclercq.
Cos’è la sostanza/sapore? Uno stato d’essere.
L’approccio emozionale e cognitivo ci separa dall’osservato: l’ascolto, l’osservazione, la contemplazione del sentire annulla il soggetto distinto e separato, il percettore è attraversato dalla percezione e questa pervade la sensazione che diviene lo specchio tangibile del sentire.
Il sentire viene percepito come sensazione sottile ed unitaria: sottile perché nulla ha di grossolano e non si porta appresso nessuna qualificazione emozionale particolare; unitaria perché indistinta, indivisa e indivisibile.
Una frase letta, una parola ascoltata, una scena vissuta risuonano nel sentire essendo innanzitutto sentire.
Del reale che accade in quel momento non viene colto il processo, il divenire, ma l’essere, il nucleo di sentire.
Viene colto da chi? Dal sentire.
C’è una risonanza tra sentire e sentire, come un diapason, che attraversa tutti i veicoli dell’umano ma, in particolare, si impressiona come sensazione.
La mente è vuota, totalmente vuota, inesistente e trasparente.
L’emozione è libera, solo la sensazione vibra sottilmente.
Perché questa esperienza accada, è necessario che la persona dedita al processo di unificazione, il monaco, si sia data tempo, spazio, libertà dal condizionamento del fare e del dover raggiungere: nel non tempo dello stare, lascia che pian piano la realtà giunga a sé fino a quando in quell’osservazione, in quell’ascolto, in quella contemplazione non avviene il suo divenire irrilevante, inconsistente, vuoto; allora il reale affiora e si impone, e di esso si coglie nella sensazione il sentire che lo genera e lo costituisce, il sapore, appunto.
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“Il sentire accade”, dice Sandra. Credo che sia proprio così, quel che posso invece fare è stare costantemente in guardia affinché non prevalga l’identificazione, mettermi nella condizione di osservatore e rifuggire dal giudizio, proprio o di altri. Un lavoro costante, non scontato. Grazie Robi che ci richiami sempre a tornare allo zero, allo svuotamento della mente, al non seguire le emozioni. Per quante volte abbia sentito questi concetti e cercato di metterli in pratica, mi accorgo che l’identificazione è sempre lì che tenta di prendere il sopravvento. Grazie.
Grazie Roberto.
Leggendo, affiora una sensazione di delicatezza
Resto nell’ascolto, grazie.
Riferendomi a ciò che ha scritto Sandra: “E’ chiaro che il processo del sentire non si ottiene ma accade se e quando ci sono le condizioni.” Sento di dover chiedere: le condizioni e tutto il processo dell’accadere non trovano difficile svolgimento nella nostra quotidianità fatta di orari, corse convulse quindi stress? E ancora, l’atteggiamento e la disposizione all’ascolto e all’osservazione possono esplicarsi in questa convulsa quotidianità? O è tutto un mio limite.
Appena commentato un post accennando al sentire … per quel che mi è dato comprendere oggi, risulta chiaro Roberto, grazie.
E’ chiaro che il processo del sentire non si ottiene ma accade se e quando ci sono le condizioni.
Grazie Roberto. Oltre che chiarificatore, il tuo post è “stranamente” commovente in alcune parole.