Abitare il deserto interiore come la migliore delle case

Proseguo il ragionare iniziato nel post Un nuovo monachesimo per i senza religione.
Esiste un monaco senza casa, senza appartenenza, senza adesione, senza riti, senza miti, senza santi, senza consolazioni, senza ricerca, senza ascesi.
Esiste un monaco che risiede nella vita come la rena sulla battigia e come questa si fa lavorare dal ritmo del mare, dallo scorrere della vita tra divenire ed eternità.
Esiste un monaco che intenzionalmente non vuole andare da nessuna parte, che non ha alcun regno da realizzare, alcuna illuminazione da conseguire.
Esiste un monaco piegato al quotidiano che è apprendimento ineluttabile e contemplazione scelta, coltivata, facilitata, lasciata accadere, accolta.
Esiste un monaco che abita uno spazio sconfinato, libero dalle cianfrusaglie, che non ha scopo se non il vivere in quella duplice disposizione
di apprendimento/contemplazione senza sforzo, ma solo in virtù del compreso, di una obbedienza ad un sentire, ad un archetipo permanente che lo guida.
Esiste un monaco che quella guida interiore, quella sorgente ha scoperto in sé e ad essa si piega senza fine, impara a piegarsi, è il piegarsi fino a scomparire.
Esiste un monaco che abita volentieri quel deserto, la migliore delle case possibili; ama la sabbia senza forma e il vento che la modella, l’orizzonte sconfinato, lo spazio immenso, il luogo perfetto per l’incontro con sé, per l’ascolto, l’osservazione, l’accoglienza dell’altro da sé.
Dove la mente vede il deserto, l’esperienza contemplativa svela il seme della vita: questo è il motto di questo sito, e del Sentiero tutto.
Per vedere, bisogna che l’intimo sia intessuto di sabbia e di vento, di non forma, di mutevolezza, di deserto.
Per ascoltare, non deve esserci il rumore di fondo di sé.
Per stare, è necessario essere attraversati da una leggerezza, una ferialità, una quiete che sorgono perché non si è preoccupati per sé, né per l’altro da sé.
L’umano ha necessariamente una casa, un luogo privilegiato del risiedere, uno spazio nel quale di preferenza torna: esistono umani che scelgono il deserto per abitare, per vivere, per imparare, per contemplare, per incontrare, per realizzare la comunione dei sentire.
Esistono umani stranieri a sé e alle brame del mondo: essi semplicemente stanno là dove la vita attimo dove attimo li colloca, ma il loro interiore, la loro consapevolezza, la loro dedizione è sempre a quella vastità senza nome. Appena possono, tornano a casa, in quella casa, e il mondo poco può su di loro.
Del mondo colgono il dettaglio e l’insieme: il dettaglio quando è osservato da molto vicino, perde la forma e libera la struttura, ciò che lo crea e lo sostiene.
La contemplazione del dettaglio svela l’infinità profondità di questo, il suo essere Assoluto.
L’insieme, quando è contemplato, svela il senso esistenziale, il mirabile disegno e, oltre a questo, l’illusorietà della rappresentazione, la sostanziale e irriducibile unità dell’insieme.
C’è un luogo dove andare? No, ciascuno è già nel suo luogo, là dove è bene che sia, nella migliore delle case/condizione d’esistere.
Il deserto/casa è un luogo dell’interiore, uno spazio dell’esistere e nell’esistere.
Compreso questo, ogni vagare, ogni itinerare, ogni cercare ha fine.
Compreso questo rimane solo da vivere e il vivere è di natura tale che toglie ad ogni respiro un appiglio, l’illusione di un possedere, il miraggio di una definizione di sé: rimane solo da vivere il deserto libero dall’ingombro di sé.

Dove la mente vede il deserto, l’esperienza contemplativa svela il seme della vita.

Abitare il deserto della mente, spazzata dai venti e corrosa dalle sabbie, senza difesa, senza volerla edificare, senza avvertire il bisogno del suo esserci.
Abitare il deserto degli archetipi transitori, delle adesioni, delle appartenenze.
Abitare il deserto delle affermazioni, delle dichiarazioni, delle pretese di esserci.
Abitare il deserto delle ricerche, delle ansie di capire e di comprendere.
Abitare il deserto della ricerca dell’Assoluto.
Abitare il deserto del piccolo e dell’insignificante.
Abitare il deserto del niente che rivela il Tutto.


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13 commenti su “Abitare il deserto interiore come la migliore delle case”

  1. Nel leggere questi ultimi 2 post mi sovviene la definizione che tempo fa, da autodidatta, davo di me stessa dicendo ” Mi sono innamorata della vita”.
    È un vero piacere ascoltare le tue parole che sanno descrivere in modo così completo, anche se a volte difficile per me, il mio sentire infinitamente piccolo rispetto a quello dello scrivente.
    Grazie Roberto

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  2. Ho letto questo un paio di giorni fa, ripromettendomi di commentare successivamente. Complicato aggiungere parole alla delicatezza e dolcezza che trapela dalle tue profonde comprensioni. Posso solo ringraziare, e non è una novità!

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  3. Sono ancora lontano dalla condizione descritta nel post, tuttavia le metafore, chiare ed efficaci, in qualche modo risuonano dentro. Segno che qualche breccia si è ormai aperta?

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  4. Le frasi che mi hanno colpito di più:
    “…Compreso questo, ogni vagare, ogni itinerare, ogni cercare ha fine.
    Compreso questo rimane solo da vivere e il vivere è di natura tale che toglie ad ogni respiro un appiglio, l’illusione di un possedere, il miraggio di una definizione di sé: rimane solo da vivere il deserto libero dall’ingombro di sé..”
    Io sono ancora aggrappata all’illusione di possedere, al mio “caro” ingombro…

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  5. Un post veramente illuminante e denso di esperienza. Mi accorgo di vedere l’ingresso di quel deserto ma di rimanere sulla soglia.

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