Chiede Antonella commentando il post Il sapore del reale, la contemplazione del sentire: Riferendomi a ciò che ha scritto Sandra: “E’ chiaro che il processo del sentire non si ottiene ma accade se e quando ci sono le condizioni.” Sento di dover chiedere: le condizioni e tutto il processo dell’accadere non trovano difficile svolgimento nella nostra quotidianità fatta di orari, corse convulse e quindi stress? E ancora: l’atteggiamento e la disposizione all’ascolto e all’osservazione possono esplicarsi in questa convulsa quotidianità?
La persona immersa nel mondo ha tre pilastri su cui appoggiare:
– la consapevolezza di quel che accade e di cosa produce in sé e nell’altro;
– l’analisi subitanea del perché, dell’origine, delle conseguenze;
– la disconnessione e disidentificazione con il conseguente ritorno a zero.
Non ripeterò qui le cose dette più di mille volte, ma cercherò di mettere a fuoco alcune cose e di sfatare qualche luogo comune delle identità.
Siccome ciò che dirò non sarà carezzevole, preciso a priori che non parlo ad Antonella, né di lei, parlo alla generalità di coloro che hanno la pazienza di leggermi e, di certo, a coloro che frequentano il Sentiero.
La consapevolezza
Se voi affermate che, nel mentre lavorate, o siete coinvolti in una discussione in famiglia, o vi state adoperando per qualcosa e/o per qualcuno, la consapevolezza di quel che accade, di come reagite, di quel che provocate vi rimane difficile in virtù dell’immersione nelle scene, ebbene, se affermate questo, dite una cosa non vera.
Una cosa non vera che è la vostra foglia di fico, la scusante dietro la quale nascondete il frutto della vostra pigrizia e, a volte, della scarsa comprensione conseguita.
Pigrizia nel perseguire con determinazione e costanza una pratica meditativa che in sommo grado sviluppa la consapevolezza; deficit di comprensione, perché se aveste compreso fino in fondo, non utilizzereste quell’argomento.
La persona che vuole essere consapevole, si attiva per divenirlo. Se non lo fa, non è un problema, ma non deve cercare scusanti.
Il mondo è il luogo dove la consapevolezza viene esercitata ed essa è come un muscolo, più la usate, più è reattiva ed attiva.
Se avvertite in voi un deficit di consapevolezza, questo è figlio del vostro deficit di volontà, della vostra indolenza, del vostro rimandare senza fine il momento in cui, fino in fondo, prenderete le redini del vostro vivere.
Chi vi parla ha lavorato come voi, in un settore dove l’impegno era massimo, ma anche la sua consapevolezza è stata massima e dunque, chi scrive, non è incline a sentirsi raccontare storie.
Se non siete sufficientemente consapevoli è perché ancora non avete deciso di esserlo, e può darsi che non l’abbiate deciso perché non siete ancora supportati dalle comprensioni necessarie e dunque non ne avete di certo la colpa, pur avendone la responsabilità.
Volete essere consapevoli e osservarvi mentre accadete, e vedere e sentire la vita che accade attorno a voi? Bene, datevi una pratica meditativa quotidiana specifica e coltivate senza fine l’atteggiamento meditativo: questo basterà a sviluppare in sommo grado il muscolo della consapevolezza.
Non avete tempo? Fate meno cose, sottraete mezz’ora al sonno, approfittate del viaggio in treno, della pausa pranzo, della seduta al gabinetto, della pausa sigaretta, del salire e scendere le scale, del cucinare, del ritmo del respirare.
Non c’è persona che non possa dedicarsi alla pratica meditativa e al suo livello più basale, la coltivazione della consapevolezza: non è necessario un luogo, né una postura, né il silenzio. È necessaria la determinazione a vivere, ad essere, a vedere, ad ascoltare e allora ogni momento del vivere diviene pratica di meditazione e di consapevolezza, atteggiamento meditativo.
L’analisi subitanea e quella a posteriori
Se si è parte attiva di una via interiore, si sa cosa sia l’analisi subitanea, immediata delle cause di un certo comportamento, di un certo stato interiore; lo si è già visto sorgere mille volte e mille volte lo si è analizzato. In un battito di ciglia l’analisi è richiamata, il quadro d’insieme squadernato, le conseguenze possibili viste, la procedura da seguire evidenziata.
Questo se siete persone di una via interiore efficace; se non lo siete, allora trovate la vostra via e iniziate a seguirla fin dai primi, fondamentali, passi.
Se ciò che emerge e vi condiziona è nuovo, o ha sfumature nuove, allora l’analisi richiederà più tempo e di certo non vi basterà un battito di ciglia: non avete tempo in quel momento di approfondire? Bene, lo farete la sera mentre rientrate a casa, mentre state in bagno, prima di dormire, nei sogni..
Non riuscite a trovare il bandolo della matassa? Bene, cercate aiuto.
La disconnessione/disidentificazione e il ritorno a zero.
Se vi siete visti, se vi siete analizzati, allora non resta altro da fare che disconnettere, abbandonare l’identificazione con il fatto, con lo stato che si è creato e lasciar andare l’oggetto che con cura la vostra mente cerca di trattenere.
Dite che non è facile disconnettere? Può darsi, dipende da alcune cause:
– da quanto il trastullo momentaneo vi fa sentire vivi e vi conferisce senso: vi ricordo che anche un dolore sordo può essere un trastullo;
– da quanto vi piace sentirvi vittime;
– da quanto siete avvezzi a trattenere perché temete che la vita perdendo pezzi conduca ad uno svuotamento inaccettabile;
– infine, ma non per importanza, da quanto dovete imparare da quella identificazione, ovvero da quanti dati servono ancora alla vostra coscienza che prova e riprova perché può estrarli da quella coazione a ripetere, da quell’insistere, da quell’essere cozza sullo scoglio dell’identificazione.
A volte l’identificazione non è altro che cristallizzazione, uno sprofondare in uno stato, in un comportamento e un girare in tondo senza fine: lì, la coscienza acquisisce ben pochi dati e da quello stato dovremmo uscirne al più presto, non solo per non buttare il tempo che la vita ci offre, ma per non vedere la cristallizzazione farsi sintomo e magari malattia e finire per imparare dopo essersi fatti un discreto male.
Ribadisco: è difficile disconnettere e disidentificarsi? Dipende da vari fattori:
– da quanto si è consapevoli;
– da quanto l’analisi ha colto il nucleo della questione;
– da quanto abbiamo bisogno di eccitazione mentale ed emotiva;
– da quanto la chiamata della coscienza è forte;
– da quanto la cristallizzazione è attiva.
Il mondo nel quale viviamo non è di impedimento, non sempre, non comunque: più spesso rappresenta una opportunità ed anche una facilitazione perché porta a galla quanto è sommerso nel nostro interiore e lo fa attraverso la relazione con l’altro da noi, quella relazione che accade nel mondo e in famiglia.
Poi spetta a ciascuno, non mi stancherò mai di ripeterlo, trovare i propri ritmi affinché ci sia un equilibrio tra il tempo dell’imparare sotto la pressione degli eventi, e il tempo dello stare in cui i processi e le acquisizioni sedimentano.
Se volessi blandirvi, adesso affermerei che non è facile costruire un buon equilibrio tra il fare e lo stare, ma non affermerei il vero.
Non è facile, né difficile, dipende da quanto siete stanchi di voi stessi, del vostro correre incontro al baratro del niente.
Non ho compassione/comprensione di voi? Ma è proprio perché ho comprensione e compassione che vi ripeto ancora: ciascuno costruisce la propria personale realtà e non è vittima di alcuno. OE27.8
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Intanto grazie, il richiamo alla meditazione non è mai scontato. La pratica meditativa cerco di coltivarla nel mio quotidiano, pur avendo giornate molto piene del “fare”. Svegliarmi presto il mattino, mi aiuta. il silenzio del giorno che deve ancora iniziare mi è utile a rimanere in contatto con il mio interiore. Quando la giornata prende forma e mi immergo nei suoi ritmi cerco di non farmi travolgere. Una parte di me è nella quiete e posso contattarla ogni volta che ne ho necessità. Ci sono momenti in cui questo non mi è possibile, troppo forti sono le scene e l’identità affiora con tutte le sue emozioni. Per quanto possa allontanarmi dal sentire, con l’aiuto vostro, delle letture o delle preghiere posso tornare a ricontattare quella quiete. In un alternarsi di momenti di maggior identificazione e momenti di vuoto la Vita continua a scorrere nella necessità di farmi apprendere. Colgo spesso il mio limite di comprensione, ho imparato a non castigarmi per questo, fiduciosa che nel tempo potrò apprendere la consapevolezza che ancora non acquisito.
Non posso dire altro che è così; grazie per continuare a sostenerci.
Molto chiaro e ben schematizzato per la mia mente…, e’ di ciascuno di noi la responsabilità che si esplica attraverso l’esercizio continuo e sistematico della volontà,ma quando parli di una “chiamata della coscienza” che può essere di grado differente in ognuno… intendi quell’input che precede tutti questi processi e che prescinde dalla volontà del soggetto?
Se la coscienza ha necessità di quei dati e vuole ottenerli in quel modo, la disidentificazione e disconnessione sarà ardua..
grazie, lucida analisi. Credo che il prendere in mano la propria vita richieda molta energia interiore e questa vada continuamente alimentata.
Grazie Roberto.
Interessante l’immagine dell’identità come una cozza attaccata allo scoglio. A volte sono cozza: è chiara la scena, il quadro d’insieme e l’analisi ma nonostante tutto, non riesco immediatamente a lasciare andare, a disidentificarmi…generalmente ciò avviene nel rapporto con (mia) figlia adolescente. Diciamo che il ruolo di madre lo interpreto “credendoci” molto!
Grazie per questo post.
Grazie. Non è del tutto chiaro il ruolo della cristallizzazione. A un certo punto dici che da questa la coscienza può estrarre ben pochi dati, ma appena prima mi sembra anche che tu dica si impari anche dall’identificazione e dalla coazione a ripetere…
L’identificazione non necessariamente è una cristallizzazione..
Analisi chiarissima, grazie Roberto.
Grazie!
Che non dobbiamo raccontarcelo è chiaro ormai da tempo, almeno per me. Ma come è scritto nel post a cui fai riferimento; “il monaco, dedito alla ricerca di unificazione si adopera nel darsi tempo, spazio, libertà dal condizionamento del fare e del dover raggiungere”.
Ecco, come ho già precedentemente scritto, sarà un mio limite, ma questo tempo, spazio alla meditazione, probabilmente condizionata dal fare quotidiano, non riesco a trovarlo. Sento che questo spazio mi manca ciò nonostante per quanto da tempo coltivo l’azione dell’osservare, ho spesso consapevolezza di ciò che accade, mi adopero per la disconnessione e l’analisi dei fatti, mi manca lo spazio meditativo giusto perché il processo del sentire accada. Non dico di non aver mai colto il senso di unità ma è avvenuto solamente quando ho avuto del tempo per “immergermi” in me, nel mio profondo.
Ho sicuramente dei tratti cristallizzati (vedi rapporto con mia sorella) ma mi sto convincendo (forse sbaglio) che quando andrò in pensione avrò più tempo per “darmi tempo”
E’ evidente che non c’è spazio per raccontarsela, la responsabilità è solo nostra.
Questa mattina in spiaggia mi sono seduta sulla riva e ho iniziato a contemplare l’increspatura delle onde, la luce del mattino, i bagnanti immersi nell’acqua. Mi sentivo spettatrice di una scena di svago della nostra vita di popolo occidentale. Sono rimasta una trentina di minuti, poi sono tornata al mio ombrellone e rientrata in quella medesima scena. Cresce in me l’esigenza di stare ad osservare.
Questo post arriva proprio al momento giusto
Grazie
Grazie Roberto.
Mi inchino di fronte a queste parole.
Post molto chiaro che riassume bene il lavoro quotidiano. Grazie Robi.