Quante volte è accaduto in questi anni che le interiorità vibrassero all’unisono come braccia di un diapason!
È accaduto nelle sedute di accompagnamento, nei gruppi, nelle sessioni degli intensivi, mentre si sedeva assieme a tavola, nei silenzi come nelle risa.
Il Sentiero è innanzitutto una condivisione di sentire che, a volte, diviene comunione dei sentire.
È la comunione dei sentire che tiene assieme due partner in un legame esistenziale; ed è sempre la comunione dei sentire che lega nel tempo i fratelli e le sorelle di un cammino, che li porta a perseverare nell’officina comune.
Come esistono diapason tarati per emettere note diverse, così esistono comunioni di sentire differenti, più o meno ampie, più o meno profonde: se si possiede un sentire di grado dieci, si può vibrare all’unisono con tutti i gradi dall’uno al dieci. Non si può vibrare con il grado undici, che non si conosce.
Esistono situazioni in cui la risonanza e la comunione coinvolgono certi piani, ed altre in cui l’intero essere è scosso dalla risonanza, fin nella radice fisica e sensoriale.
Esistono situazioni in cui quel vibrare assieme nel sentire è colto nella sua impermanenza, esperienza fugace di sentire che non sono destinati a processi comuni; ed esistono altre situazioni in cui si avverte chiaramente che quella comunione è un dato costitutivo che attraversa il tempo e le sue vicissitudini.
È il caso di Ryokan, monaco dello zen: vissuto a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, la sua esperienza vibra nelle corde della mia interiorità senza soluzione di continuità.
In un commento ad un post, un caro fratello di questo Sentiero ha pubblicato l’haiku di Ryokan che ora pubblico in home: quel testo descrive perfettamente la mia condizione esistenziale e contiene in sé l’intero processo che l’ha determinata. In poche parole Ryokan conduce a sintesi la sua e la mia vita.
La comunione dei sentire, quando vibra, realizza una sintesi perfetta di ampi strati di sentire conseguiti dai soggetti per vie diverse, in epoche diverse, a partire da personalità anche molto diverse: la comunione dei sentire risalta i processi esistenziali, non le forme che questi hanno preso.
Quando si afferma che il sentire vibra all’unisono attraverso le epoche in tutti coloro che ne condividono l’ampiezza, si vuole dire questo: il tempo riguarda le menti e sono esse che separano le vite e i processi; il sentire accomuna tutti quelli che una determinata nota hanno sperimentato nella comprensione.
In tutta la mia vita sono stato attraversato dalla risonanza del sentire del Cristo: il servizio per amore, come la sua solitudine mi hanno attraversato senza sosta e hanno riverberato nei miei giorni e nelle mie ore; luce vivida, abbagliante in molti casi.
Vedendo le vite degli altri, specchiamo in parte le nostre e cogliamo anche le differenze, a volte macroscopiche: possiamo porre l’accento sulle differenze, dunque sul limite nostro che ci rende irrimediabilmente altri e differenti; oppure possiamo lasciaci pervadere dal sentire comune e considerare il limite, che pure vediamo, come una peculiarità transitoria.
Il limite è destinato ad estinguersi, il compreso no, permane in eterno: la comunione dei sentire celebra quella eternità.
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Grazie!
Grazie.
“possiamo porre l’accento sulle differenze, dunque sul limite nostro che ci rende irrimediabilmente altri e differenti; oppure possiamo lasciaci pervadere dal sentire comune e considerare il limite, che pure vediamo, come una peculiarità transitoria”
Grazie, da tenere ben presente, soprattutto per me in questo periodo, in cui pur sapendo che il presunto limite dell’altro è una peculiarità transitoria, faccio una grande fatica a sintonizzarmi con il sentire comune. E’ come se in certi momenti, nei rapporti di importante portata esistenziale, la distanza che si crea, focalizzandosi sul limite dell’altro, fosse necessaria ad innescare e portare avanti dei processi che comunque condurranno a comprensione. Solo dopo aver raggiunto la comprensione necessaria, è possibile ritrovare l’altro in quella comunione così chiara e intensa agli inizi della relazione, quando si è ancora ignari del lavoro che aspetta nell’officina che si sta per inaugurare.
In effetti, abbiamo bisogno di passare attraverso la differenziazione provocata dall’identificazione prima di poter di nuovo vedere l’altro.
Come a dire che non c’è comprensione senza identificazione. Non c’è unità senza la porta stretta del limite. Almeno nell’umano..
Grazie, nel sentire la nostra lingua comune. Ho molto apprezzato inoltre l’ ultimo messaggio del cerchio Ifior e la figura di Ryokan. Shanti
Credo che troppo spesso con la scusa del limite ci sbarriamo i sentieri del sentire.
Buon giorno Robi, Grazie Mille!