Sabato scorso eravamo a Fonte Avellana per l’intensivo: nell’attesa di entrare per la sessione del pomeriggio, seduti al sole, discutevamo del futuro del Sentiero.
Una sorella diceva. “Tu ci chiedi di dare di più, ma se io non ne fossi capace, se non fossi all’altezza?” Parlavamo di piccole cose, di piccoli impegni e le ho risposto. “Tu vuoi vivere prigioniera delle tue impotenze? Con uno sguardo e un giudizio negativo su di te?”
Riporto questa discussione perché sintetizza bene una parte della funzione del Sentiero: condurci alla piena espressione della nostra umanità.
Sii quel che sei, qualunque cosa tu sia portala a splendore e poi dimenticala: questa la sostanza di tutto il nostro procedere.
Chi di noi non è incompleto nell’espressione della propria umanità? E chi non soffre, in vario grado, per questa coartazione della propria potenzialità?
Chi non desidera fluire liberamente e fluidamente per quel che è, evoluto o inevoluto che sia?
Personalmente, negli ultimi decenni, non ho avvertito più di tanto il peso del mio limite, delle mie non comprensioni: ho invece patito, a volte, la difficoltà ad esprimerlo con leggerezza, senza farmi tarpare dal senso di colpa, o dal senso di inadeguatezza.
Sono un umano, vivo l’illusione del divenire e so che essa altro non è che la rappresentazione dei limiti del sentire che mi crea e mi guida: consapevole di questo, ho deciso di vivere senza reticenze, osando esserci e accettando che questo sia limitato, parziale, a volte pateticamente inadeguato o inappropriato.
Ma inadeguato rispetto a cosa?
Osservando le trappole della mente e disinnescandole, ho potuto superarne il condizionamento e questo cerco di insegnare: che ciascuno di noi salti il fosso delle sue paure e dei giudizi che lo castrano e si esponga per quel che è, sapendo che tra un respiro sarà diverso.
Questo è il primo passo, questo il Sentiero insegna e crea le condizioni relazionali che ne permettono l’affioramento.
Inseme si vede questo e si impara ad andare oltre: insieme, non da soli.
Una volta che l’espressione di sé è divenuta sufficientemente fluida – non ho detto completamente fluida, sufficientemente basta – allora la persona può permettesi il più grande dei lussi: dimenticarsi di sé.
Chi ha paura di sé e dell’altro da sé, non conoscerà nessuna leggerezza e neppure nessuna vera libertà: oltre la paura e il condizionamento sta’ la libertà, oltre il fosso.
Di qua dal fosso ci sono solo vite a metà: vivetele pure, ma se entrate in relazione con il Sentiero non vi lasceremo a crogiolarvi nella vostra mediocrità.
La persona che conosce la fluida espressione di sé, può dunque dimenticarsi di sé: proprio perché non ha più paura, ha conosciuto la fiducia, l’abbandono, l’affidarsi, il darsi, il donarsi vive non ricordando nemmeno più il fosso che la separava dal reale essere.
Ora, questo cammino, il Sentiero, è minuscolo e insignificante per il mondo, ma è ciò che le persone che l’hanno impattato posseggono: esse possono usarlo come grimaldello per scassinare la propria umanità, scardinando le saracinesche, aprendo le tapparelle, rivelando l’esistente, e possono approfittarne per farne la palestra privilegiate del vivere senza paura, nella leggerezza incomparabile di sé.
Questa leggerezza che sorge da quella libertà, genera una umanità pienamente matura e capace di assumersi le responsabilità che le competono.
Persone monche nella manifestazione della propria umanità, non conoscono la bellezza della libertà della responsabilità, la bellezza del servire.
La leggerezza/libertà genera cittadini coscienziosi e fratelli e sorelle nel cammino che sanno prendersi cura, che sanno provvedere, che sanno prevedere in tempo e attivarsi affinché l’altro da sé abbia il necessario su tutti i piani, in tutte le situazioni.
La persona che conosce la leggerezza/libertà di cui parliamo, non è una persona ideale, è una persona vera e ogni giorno, in ogni relazione rinnova il suo esserlo: non riusciamo nemmeno a pensare, osservata da questa ottica, cosa sia la vita a metà, l’essere a mezzadria con la paura e la svalutazione di sé come padroni.
E non riusciamo neppure ad immaginare cosa sia la vita senza la capacita di dimenticarsi di sé, di considerarsi irrilevanti, di sentirsi niente di importante e di significativo: veramente non immaginiamo cosa possa essere il vivere in quella pienezza farlocca tanto esibita nel mondo.
Abbiamo conosciuto ogni libertà nel momento in cui il Niente ci ha attraversati trasmutando l’intero nostro essere e vivere.
Novità dal Sentiero contemplativo: se vuoi, iscriviti alla community
…un altro tema su cui sento il bisogno di lavorare.
Grazie Robi!
Grazie Robi!
Mi capita di leggere un post e di commentare in un secondo momento…in questa pagina non so che dire…ci si lavora Robi, ci sono!
Grazie Robi, si procede con lo svelamento……
Quella libertà…. so di cosa parli….la scorgo oltre la montagna.
Sono partito da li ed è li che vado.
Grazie
Si può. Osare…ci si può provare..
Responsabilità e leggerezza sono i capisaldi del nostro incedere. I nodi identitari sono la materia del nostro lavoro personale che si svelano nello specchio offerto dall’altro. Vivere pienamente la nostra umanità è l’obbiettivo, il lasciarla andare fluendo in essa , la vocazione. Questo mi sembra di aver capito, la comprensione lentamente avanza, come l’aurora. Grazie
Osservare le trappole della mente e disinnescarle, superare i condizionamenti, saltare il fosso delle paure e dei giudizi che ci castrano, questo e’ il nodo…ma quando tutto e’ talmente radicato e inconscio che non lo vedi? Certo, fiducia, abbandono…ma non sono certa che tutti siano in grado di saltare il fosso autonomamente….
La relazione con l’altro consapevole, che vede i meccanismi e, con pazienza, aiuta a vederli, è risolutiva..
Scusa Roberto ma la spunta in fondo quando ho aperto il post c’era non deve stare così?
Ho attivato la spunta di default altrimenti, spesso, non seguite le risposte..
Grazie è molto chiaro il percorso.
Molto chiaro e stimolante verso l’osare…!
Dopo aver letto e riletto gli ultimi post , arriva la risposta ai miei dubbi ” sono all’altezza” . grazie!
mi sa che ci possiamo provare e che ne valga ben la pena!
Va bene lo stesso anche se uno è già vicino alla perfezione? 🙂 😉
Il vero ostacolo alla libera espressione di sé, è la paura di venir meno all’immagine che ci siamo costruiti: se non mi espongo, non rischio più di tanto. Questo mette in evidenza quanto sia difficile rinunciare alla propria identificazione. Per rinunciare ad essa, dovremmo, come dici tu Robi, dimenticarci di noi, considerarci irrilevanti. Consapevoli del nostro limite, imprescindibile condizione umana, dovremmo essere in grado di non lasciarci condizionare dalla paura di mettere in scacco l’identità. Grazie alle opportunità che all’interno della Comunità mi sono state offerte ho potuto in parte vincere i miei timori, la fraternità e il livello di conoscenza tra noi, facilita questo processo di acquisizione di responsabilità. Non è semplice superare il proprio senso di inadeguatezza, se questo poi ti ha accompagnato per un lungo tratto della tua vita, ma aver scoperto che posso mettere al servizio di altri, alcune mie peculiarità e nel contempo usufruire di quelle di altri, rende la nostra comunità una grande e ricca officina.