Per cambiare bisogna sempre tendere al gradino superiore del proprio sentire, e per raggiungere questo gradino occorrono piccole violenze al proprio sentire.
Riporto questa frase del Cerchio Ifior perché ben risponde all’argomento sostenuto da molti che affermano di non poter cambiare perché quello è il loro sentire.
Persone che hanno comportamenti e intenzioni ritenute da altri discutibili, che in sé soffrono un disagio esistenziale della cui natura non sanno chiaramente capacitarsi, che si vedono e avvertono anche che potrebbero cambiare sebbene senza sapere chiara la direzione, e che infine si siedono sull’affermazione che quello permette loro il sentire che hanno conseguito, e dunque lì stanno.
Comparendo la frase chiave: “Questo è il mio sentire!” sembra che ogni obbiezione debba cadere. Non è invece così.
Certo, se non avverti necessità alcuna di cambiare, chi può indurti a farlo?
Ma se sei consapevole che c’è qualcosa che non va, e che quel qualcosa ti è insistentemente segnalato da chi vive con te, e tu avverti un disagio perché sai che potresti andare oltre, ma ti sembra di non potere, allora quella frase è la foglia di fico dietro cui ti nascondi.
1- Avere chiara consapevolezza di sé.
A volte proprio non vogliamo vedere: l’altro, gli altri ci segnalano l’inciampo, ma noi diciamo che si sbagliano e continuiamo a perseverare.
Non riusciamo a vederci e non teniamo in conto come l’altro ci vede. Certo, l’altro potrebbe anche sbagliare ma, se è uno che vive con noi e ci vede nelle mille volti che abbiamo e ripetutamente ci segnala qualcosa, per lo meno dobbiamo ammettere che un fondo di verità sicuramente c’è in quel che ci mostra con tanta insistenza.
“Ma se non manifesto quell’aspetto di me, mi sento frustrato!” Questa è l’altra frase chiave, tipica di un’identità accerchiata che non ha la minima intenzione di cedere e che sostanzialmente dice all’altro: “Mica mi vorrai condannare alla frustrazione e all’alienazione?”
È un piccolo gioco dell’Io che, se non è smascherato, ha conseguenze nefaste perché introduce un ricatto, un condizionamento sottile rivolto all’altro.
Il primo passo da compiere è dunque quello di avere una chiara consapevolezza di sé, dei giochi della propria identità, dei nascondimenti e delle ipocrisie.
2- L’ascolto profondo di sé.
La foglia di fico del “Questo è il mio sentire” regge solo ad un ascolto non approfondito: se la persona si concede un tempo di silenzio profondo e ripetuto di sé, può accedere a ben altro e può verificare che ha altre risorse di sentire che si è impedito di attivare, perché il farlo l’avrebbe costretta a cambiare, a perdere quelle abitudini, quei sollazzi, quelle consolazioni così importanti per la sua identità.
Non volendo portare il conflitto tra identità e coscienza oltre un certo limite, la persona silenzia ciò che proviene dal sentire e afferma che più di quello non ha da fornire.
Naturalmente non dice che non vuole, no, afferma che non ha un sentire maggiore da mettere in campo: non è vero, si sta solo nascondendo. Questo molte volte, non sempre, naturalmente.
Con l’espressione “un tempo di silenzio profondo e ripetuto di sé” intendo lo sviluppo di una capacità di incursione profonda nell’intimo di sé, sufficientemente sgombra dal rumore delle proprie convinzioni, convenzioni e comodità egoiche.
Immersioni che a volte durano un battito di ciglia, altre volte si prolungano nel tempo e permettono di vedere in profondità, di sentire quanto orizzonte abbiamo nel profondo.
È evidente che è un’operazione che richiede tempo, che a volte può essere frequentata in solitudine, molto più spesso è produttiva se avviene all’interno di un accompagnamento dove chi ci segue collabora allo smascheramento dei veli che la nostra identità frappone.
Si scoprirà qualcosa di molto semplice: che se anche oggi quello è il nostro sentire, e dunque certi nostri comportamenti hanno una base reale sulla quale appoggiare, in realtà quel sentire è già in cammino, già si sta avviando oltre le sue attuali possibilità, sta già lavorando per il suo ampliamento: lo dimostra il conflitto nel quale siamo, l’indicazione che l’altro ci fornisce, gli attriti che riscontriamo nel realizzare i nostri desideri.
Qui va osservato che il sentire attuale, quello di cui a malapena, e quasi mai, riusciamo ad essere consapevoli, non è il sentire complessivo raggiunto dalla coscienza che ci genera, è solo il sentire che portiamo a manifestazione in questa incarnazione: più vasto è il sentire che la coscienza possiede e che ha realizzato nelle innumerevoli esistenze che ha generato, dunque esiste un serbatoio molto vasto dal quale attingere.
Non va inoltre dimenticato che il corpo della coscienza, sede del sentire, non è che il quarto di sette corpi: più in profondità di esso esistono altre dimensioni che lo ispirano, guidano, performano e che dunque, anche qualora un dato sentire di più non potesse esprimere, esso può seguire l’impulso che dai piani più profondi gli giunge.
3- Uso della volontà di cambiamento.
Nell’indolenza di molti, sembra che nella via interiore non debba esistere sforzo e che la volontà per migliorarsi sia qualcosa da lasciare a coloro che seguono un’ascesi: “Noi no, noi ci affidiamo all’armonioso affluire delle forze e delle volontà che risiedono nell’intimo nostro senza mai forzare alcun processo..”
Un’altra foglia di fico. La persona che è in una relazione profonda con sé e con le forze del sentire che lo costituisce, sa che possiede forze e strumenti di volontà su cui può contare: quando è consapevole che può cambiare, quando la realtà gli mostra che deve cambiare, nel suo intimo sono a disposizione tutte le forze e le condizioni per farlo.
Questo quadro interiore d’insieme diviene la volontà, l’uso possibile di quella forza/determinazione/condizione che chiamiamo volontà.
Quindi la volontà non è una forza dell’identità, è l’affiorare di una condizione profonda, di una sinergia di disposizioni e di condizioni che si manifesta come possibilità-in-atto.
L’esercizio della volontà viene attivato sul piano dell’identità consapevole, è l’Io che attiva il gesto, ma attinge a forze ben più profonde e vaste di quelle in suo possesso: l’Io è l’interruttore che attiva un processo che ha la sua intima origine nei piani più profondi del sentire, da esso è motivato e sostenuto.
Concludo riassumendo: quando il nostro prossimo ci indica la necessità di un cambiamento; quando in noi esiste un disagio esistenziale cerchiamo di sviluppare una lucida consapevolezza del nostro stato, creiamo tempo e spazio per un ascolto profondo e attiviamo in noi le forze del cambiamento: non nascondiamoci dietro un dito.
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Per quella che è stata ed è la mia esperienza posso dire che è vero, l’atto di volontà che produce il cambiamento non proviene dall’io ma dalla coscienza. Quando ho avuto necessità di vedermi e di apporre cambiamenti al mio modo di essere e di fare, la volontà si è affermata nell’affidarmi perchè con le forze dell’io non ne sarei stata capace. Un po’ alla volta qualcosa ha lavorato dentro di me, come la pasta madre che dice Sandra, finchè mi sono accorta di aver lasciato alle spalle certe convinzioni e atteggiamenti. So comunque che c’è ancora abbastanza materiale da lavorare.
Chiara Belacchi…. a Pecorina non urli, Belacchi?!
Un richiamo all’ordine! Quanta pigrizia nell’azionare quella volontà! Grazie per avermi dato la possibilità di guardarla ancora una volta.
Interessante. Mi ha colpito tra le altre cose la possibilità di attingere in qualche modo anche alla parte di sentire che non si manifesta in questa incarnazione. Pensavo che non fosse possibile…
Grazie!
Grazie.
“L’esercizio della volontà viene attivato sul piano dell’ identità’ consapevole, e’ l’io che attiva il gesto ma attinge a forze ben più’ profonde e vaste di quelle in suo possesso :l’io e’ l’ interruttore che attiva un processo che ha la sua intima origine nei piani più’ profondi del sentire ,da esso e’ motivato e sostenuto”..
Ho riportato la parte che mi ha risuonato maggiormente…ancora la grande luce di un faro a rischiarare il buio mare…..
“Con l’espressione ‘un tempo di silenzio profondo e ripetuto di sé’ intendo lo sviluppo di una capacità di incursione profonda nell’intimo di sé, sufficientemente sgombra dal rumore delle proprie convinzioni, convenzioni e comodità egoiche”
La volontà è come un lievito, una sorta di “pasta madre” una volta esercitato lo sforzo per attivarla e darle nutrimento, in qualche modo si autoalimenta e non si esaurisce con il tempo anzi forse aumenta!
Grazie
Interessante spunto di riflessione come d’altra parte tutti gli scritti che proponi…..vivo il cambiamento cosi continuo che a volte non so piu definirmi e allora ascolto l’altro per potermi vedere.
Grazie