Generalmente non ascoltiamo; quando lo facciamo, il nostro è, molto spesso, un ascolto cognitivo.
Esiste un altro modo, molto diverso, di ascoltare: con l’apparato sensoriale, con quello emozionale, con la disposizione affettiva, con il pensiero, con il sentire.
È cioè possibile ascoltare con l’insieme dell’essere, sintonizzandolo come fosse un ricevitore radio, cogliendo l’intera banda delle frequenze che giungono e lasciandole risuonare in sé.
Per fare questo, è necessario disporre di un apparecchio ricevente: noi siamo l’apparecchio ricevente, la consapevolezza che abbiamo nel momento presente dei vari piani che ci costituiscono e che interagiscono con tutto ciò che è noi ed altro da noi.
L’apparecchio ricevente nella sua complessità ed unitarietà viene attivato dalle frequenze che gli giungono, ma non entrerà in nessuna risonanza, quindi in nessun reale, vero e autentico ascolto, se la consapevolezza di cui è pervaso copre un solo piano, ad esempio quello cognitivo.
Il ricevente vibra su tutti i piani se la consapevolezza abbraccia simultaneamente tutti i piani, dal piano più denso – le sensazioni – a quello più sottile, il sentire.
Ciò che dall’esterno giunge ha una complessità vibratoria che nell’ascolto unitario può trovare piena accoglienza, piena capacità reattiva se la persona non è chiusa nel proprio bozzolo, se non è sintonizzata su altre frequenze/stazioni.
Una frase, un gesto, un fatto hanno valenza sensoriale, emotiva, affettiva, cognitiva, di sentire: cosa sto ascoltando, a quale livello?
E se sono incentrato sul mio pensiero, o sulla mia emozione, o sul mio bisogno, e dunque la consapevolezza quelli essenzialmente monitora, cosa posso cogliere della vasta gamma di frequenze che mi giunge? Poco o niente. Questo, ahimè, non è raro nell’umano.
Le persone della via interiore coltivano la consapevolezza e la presenza; il loro allenamento è rivolto alla vigilanza, alla ricettività, al discernimento continui.
Una persona che non coltiva queste disposizioni interiori è in balia della vita, dei fatti, degli impulsi, dei bisogni: la persona della via è consapevole di creare la propria vita e dunque presta grande attenzione ad ogni aspetto di quello che sorge, perché sa che è dal suo sentire che è stato generato e dunque ne valuta senza fine la portata simbolica.
Quella persona ascolta ciò che sorge nel suo interiore e ciò che proviene dal suo esteriore:
– ciò che proviene dall’esteriore è la scena che la coscienza ha disposto affinché essa, la persona, la fruisse e imparasse;
– ciò che accade nell’interiore è lo scorrere dell’intimità dei processi che divengono una specie di rumore di fondo fatto di sensazioni, emozioni, pensieri, sentire;
– il fuori e il dentro si uniscono nel gesto dell’ascoltare: i dati interiori e quelli esteriori affluiscono, in vario modo producono reazioni che modificano sia lo stato interiore che la relazione esteriore, e vengono archiviati in vista della comprensione che verrà.
Se l’ascolto interiore è alto e vigile, senza che la persona sia incistata in qualche tormento, i dati che giungono dalla relazione sono enfatizzati da quella vigilanza lucida: se la persona è persa dietro a qualche aspetto di sé, i dati esterni non passano, non impattano, né possono portare il simbolo che per natura appartiene loro.
Una persona troppo incentrata sul proprio piccolo e nevrotico mondo, non solo vive male, ma, per lunghe frazioni di tempo, non vive.
Vivere è infatti la capacità di stare in relazione: nello specifico della persona della via interiore, in relazione con i simboli che sorgono nell’interiore e nell’esteriore.
Fondamentale è dunque la capacità di disconnettere dal proprio piccolo e ottuso mondo interiore basato sul rimuginio, sulla colpevolizzazione di sé, sul senso di inadeguatezza o di illusoria potenza: ci sono momenti in cui l’analisi introspettiva deve essere centrale, ma essa è molto diversa dal perdersi nei grovigli, e comunque, non appena un dato, un fatto, una reazione, un senso di colpa è stato analizzato ed elaborato, è necessario riaprire gli occhi e l’insieme dell’essere alla realtà dei simboli che senza fine affluiscono.
Quindi è un muovere senza fine la consapevolezza dall’interiore all’esteriore, e viceversa, ma, soprattutto e innanzitutto, un acquisire la capacità di monitorare simultaneamente il dentro e il fuori, scannerizzando i vari livelli dell’interiore come quelli dell’esteriore.
La cosa non è difficile:
– si osservano le sensazioni che sorgono per moto proprio dall’interiore e quelle che sono provocate dall’ambiente esterno;
– allo stesso modo si osservano le emozioni, i pensieri e il sentire: quelli interni e quelli che provengono dall’esterno;
– si evita accuratamente di aggiungere giudizio, confronto e parametrazione ed aspettativa.
Voi direte: ma è un sacco di roba! In effetti. Ecco la necessità della via interiore, ecco la natura dell’archetipo del monaco, ecco l’allenamento senza fine alla conoscenza, alla consapevolezza, alla presenza, al discernimento tipici di chi dedica la vita al processo di unificazione, il monaco.
Questo ascolto lo si possiede per comprensione conseguita, oppure lo si coltiva. Quando lo si coltiva?
Quando si è stanchi di parlarsi addosso, di ascoltare solo sé, di riempirsi del vacuo di sé e si sente che è ora di aprire le finestre e le porte della propria casa.
Per ascoltare unitariamente il reale è necessario possedere un moto interiore che ci porta ad affermare:
Dimmi chi sei, dichiarati, mostrati.
Non basto a me stesso, non basto a niente.
Fammi vedere dove vai e capirò dove vado.
Mostrati per quel che sei e imparerò a dismettere le mie maschere.
Ascoltando ho scoperto l’infinito altro e mi sono reso conto che quella forza che mi spingeva ad aprirmi nell’ascolto, altro non era che forza d’amore, motivazione d’amore, disponibilità d’amore.
Ogni possibilità d’agire e di creare la propria soggettiva realtà, può e dovrebbe sorgere innanzitutto da una disposizione all’ascolto unitario dell’essere proprio e di ogni fatto che ad esso giunge: se lo strumento è accordato, la musica che proporrà, oltre ad essere armoniosa, avrà un senso.
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L’avevo letto giá nel 2018. Mi è capitato di nuovo “per caso” tra le mani. Leggerlo è una carezza. Di nuovo grazie.
Leggo, rileggo…….. e leggo ancora!
Grazie
Per me credo proprio sia arrivato il momento.
Da leggere e meditare più volte ancora . per avvicinarmi a quella condizione cerco la solitudine. grazie
Ho letto questo post appena è stato pubblicato, poi riletto e oggi di nuovo. Avrei voluto commentare ma pur capendo e comprendendo per quel che mi è dato fin qui, non sorge nulla…solo gratitudine…
Grazie. Ho letto il post con attenzione. Come del resto faccio di solito. Mi chiedo quanto ho fatto esperienza di quanto da te esposto. Mi sembra di capire, di averne in qualche modo fatto esperienza, anche se sicuramente ho molto ancora da fare perché l’ascolto così come lo descrivi possa diventare un attitudine, una disposizione prolungata, e non limitata a brevi momenti. Ma come essere sicuro che quello che sperimento pur nel mio piccolo corrisponde a quanto descrivi? Non può essere che mi accontento di qualcosa di vagamente simile?
Marco, non ha importanza in che grado voi sperimentate quanto io descrivo: ciò che conta è che questa esperienza vi interroghi e vi sproni a guardarvi più a fondo e a sviluppare disposizioni e atteggiamenti che in quella direzione si muovono. Il problema non è mai “quanto”, ma se si è compresa la direzione..
Leggendo il post ho avuto la sensazione che, pur essendo lontana dal riuscire a percepire con pienezza ciò che arriva, lo sforzo, la direzione in cui mi muovo è proprio questa, e la percezione della mancanza di una visione unitaria, di una lettura più completa di ciò che accade, e di qui la sua ricerca, ne sia una conferma.
…”Quando si è stanchi di parlarsi addosso, di ascoltare solo sé, di riempirsi del vacuo di sé e si sente che è ora di aprire le finestre e le porte della propria casa.”…
Forse ci siamo…..
“ciò che accade nell’interiore è lo scorrere dell’intimità dei processi che divengono una specie di rumore di fondo fatto di sensazioni, emozioni, pensieri, sentire”. In questi giorni c’è molto rumore di fondo in me ma anche una consapevolezza di ciò e un provare ad affidarsi.
Riuscire a far si’ che l’ascolto sia unitario, essere un’apparecchio ricevente in grado di cogliere la totalità’ delle frequenze che giungono..,questa e’ la base del lavoro quotidiano… la disconnessione abc della nostra officina e’ ovviamente propedeutica a tutto ciò’…spero che l’intenzione sostenga la mia volontà’!
GRAZIE!
Letto e riletto, perché mentre leggevo, mi accorgevo di non essere totalmente lì, disposta all’ascolto su tutti i piani. E ancora dovrò rileggerlo, perché la mente la fa da padrona in questi giorni. Colgo il senso e l’importanza di quanto è stato scritto, ma manca la connessione profonda. Sarà la stanchezza di questi giorni, sarà il cibo abbondante, ma davvero per coltivare la via del monaco è necessario perseguire costantemente la via con attenzione e discernimento altrimenti è facile perdersi o disperdere la propria centratura. Grande richiamo all’ascolto e all’attenzione.
Questo è il lavoro del monaco, il suo “ora et labora” per il quale non esistono ferie o giorni di riposo. Nonostante sperimenti i suoi limiti in questa capacità di ascolto sente una forza “magnetica” che lo attira in questa direzione. Nei momenti di buio, in cui non si sente monaco, potrebbe avvertirlo come una “condanna” ma la spinta della coscienza non si può arrestare, il processo di uscita dal bozzolo della centralità di sé e dei suoi limiti e bisogni non può che lasciarlo fluire
Proprio oggi ho dovuto constatare quanto fosse limitato il mio ascolto. In un confronto con un fratello di vita, ho praticato la disconnessione da sensazioni, emozioni, pensieri per cercare di essere il più possibile neutrale, ma, sebbene la disconnessione mi avesse aiutato a disidentificarmi dal ruolo di vittima e a non entrare in reazione e in atteggiamento di difesa, mi rendevo conto che questo non bastava a farmi cogliere il reale, forse perché la disidentificazione era relativa, non so. Solo a tratti avvertivo un senso di pace e di silenzio che proveniva dall’interiore e la sensazione netta che mi servivano altri occhi per guardare e altre orecchie per ascoltare.
Si, la disidentificazione era relativa, dunque permaneva una coloritura emotiva e cognitiva che impediva il semplice e neutro stare davanti alla scena..
Lo voglio leggere bene, stampato…! Grazie!
Molto rilevante, grazie
In questo periodo, utilizzando tanto il piano mentale al lavoro, faccio tanta fatica a volte a comprendere i post, mi richiedono più letture e a volte devo rimandare, questo, appena letto in ambulanza in attesa di un paziente, si è rivelato rapidamente e con estrema chiarezza! Dici Roby che il lavoro da fare sembra “tanta roba!”, ma credo che sia l’unico vero lavoro che possiamo e dobbiamo fare.
“…ci sono momenti in cui l’analisi introspettiva deve essere centrale, ma essa è molto diversa dal perdersi nei grovigli, e comunque, non appena un dato, un fatto, una reazione, un senso di colpa e stato analizzato ed elaborato, è necessario riaprire gli occhi e l’insieme dell’essere alla realtà dei simboli che senza fine affluiscono…”
continua meravigliosa officina
Chiarissimo, grazie.
Letto ora e lo rileggo stasera a casa. Grazie.