Senza identificazione, agire e fare nella presenza

Dice Roberta G. commentando il post La vita e la via della conoscenza oltre l’interesse e il non-interesse: “La scorsa estate ho vissuto un periodo di accettazione serena di ciò che c’era: nella fiducia, le mie ansie/insoddisfazioni erano assenti. Adesso mi sento poco incline ad osservare/tacere/risiedere in me stessa e l’ansia di vivere “di più” è tornata. Ho deciso di assecondarla per un po’ e vedere dove mi porta: devo ammettere che ne sento già la stanchezza, vorrei vivere con maggiore pace, ma cercherò di andare avanti nel mio progetto.
E’ veramente solo una “droga” questo fare, un qualcosa di cui non si è mai sazi, la madre di tutte le identificazioni? Oppure la mia è una vera esigenza di sperimentare?
Noi partiamo sempre dal presupposto che le persone fanno ciò che è loro possibile nella contingenza esistenziale nella quale si trovano: dunque, generalmente, non c’è persona che sbaglia, c’è agire relativo compatibile con il sentire acquisito e con quello in elaborazione nel momento presente.
Premesso questo, ciascuno cerca di vivere quel che può, ascoltando ed obbedendo il proprio essere e relativizzando il giudizio morale che proviene dall’esterno, o dal proprio intimo.
L’unico momento in cui l’umano “sbaglia”, e si assume le conseguenze karmiche del suo sbagliare, è quando può vivere nel modo A o nel modo B, e sceglie coscientemente il più egoistico dei due modi: se può vivere, in virtù delle comprensioni acquisite e di altre in elaborazione, solo il modo A, o il modo B senza poter scegliere tra i due, l’umano non sbaglia, sta semplicemente vivendo ed obbedendo alla sua natura del momento.
Come poter sapere se si ha una possibilità di scelta? Credo non sia difficile: scegliere tra A e B comporta una decisione, e dunque un atto di volontà che è alla portata della persona, sostenibile e attuabile da essa senza percepirsi lacerata e costretta, e questo proprio perché il sentire acquisito è tale da sostenere ciascuna delle varianti possibili.
Quando il sentire non supporta la scelta, allora si può vivere solo A, o solo B, una delle possibilità in campo, quella supportata dal sentire, e il costringersi a vivere l’altra variante è molto faticoso e lacerante, e quindi impraticabile, oltre che innaturale.
Nel caso della nostra sorella nel cammino, essa è portata, in questa stagione della vita a fare con intensità, mentre qualcosa nell’interiore le suggerisce anche che potrebbe rallentare, darsi più tempo, con ritmi più dilatati.
La sorella ha provato a rallentare, ma poi è tornata all’urgenza di un certo procedere: questo ci dice che la stagione del ritmo più dilatato probabilmente non è ancora matura, dunque non è supportata dal sentire necessario, e allora altro non resta da fare che vivere il ritmo possibile oggi, sapendo che dalle esperienze che conseguiranno maturerà il sentire per un ritmo diverso domani.
Nel mentre questo sperimentare ha luogo, è però possibile sviluppare un atteggiamento nuovo che, partendo dal fare ai ritmi scelti, lo illumina di consapevolezza e di presenza.
Chi ostacola la consapevolezza e la presenza? Il tasso di identificazione presente, non il ritmo dell’azione.
Se l’identificazione cala, la consapevolezza si acuisce, la presenza si impone e, sebbene il ritmo alto possa continuamente farci slittare verso l’identificazione, possiamo vedere di mantenere un equilibrio accettabile.
Al centro c’è dunque l’identificazione: da cosa è determinata?
Dal bisogno di senso, alla fine, e dunque dalla proiezione di una propria necessità egoica.
Se questa necessità è vista e disconnessa, l’agire può divenire gratuito e dunque il rischio di identificazione diminuire, seppure il ritmo permanga alto.
Ma se la necessità egoica è preminente? Allora bisogna chiedesi perché lo è e vedere se, indagando, è superabile, o se invece deve essere esperita fino a quando non sarà esaurita e superata.
Possiamo rinunciare a noi stessi solo quando siamo passati attraverso il crederci e sentirci noi stessi: in realtà non esiste alcun “noi stessi”, ma questo lo si comprende dopo aver vissuto l’illusione di esserlo.


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11 commenti su “Senza identificazione, agire e fare nella presenza”

  1. Ho un sacco di cosa da fare, impegni che si accavallano prima che si riesca a smaltire quelli precedenti. Riesco però anche a fermarmi, a non farmi travolgere. Affronto una cosa alla volta, rimango calmo, so che più di una cosa alla volta non posso fare e anche se il pensiero di ciò che non ho ancora fatto fa capolino o è presente sullo sfondo, convive comunque con una certa quiete. So che è ambivalente, ma è sicuramente meglio dell’identificazione totale.
    Grazie

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  2. “….. non c’è persona che sbaglia, c’è agire relativo compatibile con il sentire acquisito e con quello in elaborazione nel momento presente”.
    L’onestà nelle scelte mi porta grande serenità.
    Grazie

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  3. “Possiamo rinunciare a noi stessi solo quando siamo passati attraverso il crederci e sentirci noi stessi: in realtà non esiste alcun “noi stessi”, ma questo lo si comprende dopo aver vissuto l’illusione di esserlo.”
    gia’ ripreso da Luca nella chat.. questo concetto e’ per me un grande pilastro, in realtà’ contiene la partenza e l’arrivo, grande sintesi del processo da ego ad amore.
    Grazie!

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  4. Chi ostacola la consapevolezza e la presenza? Il tasso di identificazione presente, non il ritmo dell’azione.
    Importante precisazione, da tenere sempre presente. Grazie

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  5. “Come poter sapere se si ha una possibilità di scelta? Credo non sia difficile: scegliere tra A e B comporta una decisione, e dunque un atto di volontà che è alla portata della persona, sostenibile e attuabile da essa senza percepirsi lacerata e costretta, e questo proprio perché il sentire acquisito è tale da sostenere ciascuna delle varianti possibili.”
    Concordo. Quando hai un minimo di dimestichezza con l’autoanalisi fai presto ad andare oltre la mente che se la racconta, vedendoti nudo, distinguendo le cadute dai percorsi obbligati.

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  6. Lo stamperò per leggerlo bene. Sto osservandomi, comunque, nel mio fare. Ed osservo le mie identificazioni, il ruolo che sorge e, soprattutto, il mio temporaneo perdermi nel ruolo. Grazie!

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