L’illusione, la centralità e la dimenticanza di sé

Un’amica mi ha chiesto qualche settimana fa di parlare dell’illusione: ho appuntato allora delle idee e poi ho aspettato per trattare il tema, volevo che parlasse anche ad altre persone allora disorientate da alcuni eventi, oggi forse più orientate.

L’illusione nasce nell’eccesso di centralità di sé
La centralità di sé è centralità del proprio punto di vista, della propria interpretazione, del proprio bisogno.
L’identificazione con il vissuto presente, con i suoi simboli genera la nostra personale narrazione: quella narrazione diciamo essere noi stessi.
Io sono questo”. “Io voglio questo”. Io posso questo”. Esiste, naturalmente, anche una identificazione con queste affermazioni declinate negativamente.
La centralità di sé produce sempre un eccesso, dunque non esiste una sana ed equilibrata centralità di sé.
Esiste un porsi tra le cose e gli eventi, tra gli esseri, ma è un porsi tra, non ha che fare con una centralità, un porsi a parte diversi, distinti, separati, altri.
La centralità di sé non permette la visione del reale: ciò che viene vissuto, osservato, proposto è sempre il reale personale, soggettivo, esistente come proiezione di sé.
Un film che proiettiamo solo noi, e vediamo solo noi.
Pura illusione.

Il reale sorge nella dimenticanza di sé
Quando il soggetto impara a dimenticarsi di sé – per comprensione conseguita, non per sforzo o per disciplina – allora sorge la complessità del reale:
– non la sommatoria di innumerevoli film personali,
– il complesso intreccio di fatti e processi esistenziali che accadono ciascuno secondo necessità esistenziali comuni a tutti gli esseri.
Tutti gli esseri, in epoche e latitudini diverse, affrontano le stesse esperienze esistenziali;
l’intero pianeta altro non è che un’immensa officina esistenziale, e vede ogni essere brigare il proprio e, nello stesso tempo, condividerlo con ogni altra creatura.
Questo vede la persona non immersa nell’illusione, dunque non identificata con i propri personali processi, seppure in essi impegnata.

La Realtà si configura nel sentire della contemplazione
Il reale del divenire, dei processi, è solo un aspetto della Realtà, l’aspetto comunque soggetto alla percezione illusoria del trascorrere, del tempo.
La forma che appare ai sensi dell’Essere, del Ciò-che-è.
Il contemplante, colui-che-è-libero-da-sé-e-non-persegue-scopo, sperimenta nel proprio interiore, nel proprio sentire il non-tempo dei fatti che si presentano e che hanno la natura del Ciò-che-è.
Ho parlato recentemente, in diversi post, del Ciò-che-è: i fatti non divengono, essi sono, testimoniano l’unità mai infranta di tutto l’esistente.
Il contemplante è lo specchio in cui l’Essere si riflette, il livello più profondo di Realtà accessibile all’incarnato.
Quella Realtà non conosce illusione, non diviene, non ha matrice soggettiva.


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Catia Belacchi

Grazie

Alberto c.

Il mio eccesso di identificazione è declinato negativamente. L’unica via è riconoscere il trucco della mente e disconnettere, imparare a mettersi con i pop-corn in mano ed osservare, contemplare. Ogni tanto anche il solo ripetersi questa frase, mi aiuta a disconnettere, a togliermi dalla centralità (negativa perché sminuisce la persona, e positiva perché poi l’IO esige essere riconosciuto e ricomincia il tran-tran).

natascia

Dimenticanza di sé! È ciò che tento di fare nel quotidiano, dovendo gestire una persona con problemi di demenza. A volte viene più facile, a volte meno. Mi chiedo quanto autentico sia il mio atteggiamento. Non sempre lo è, ma credo che l’allenamento lavori comunque!

Sandra

Questo periodo mi attraversano sentimenti negativi che rivolgo verso me stessa: non sono degna, potrei fare molto meglio, sono ipocrita (?), egoista… qualcuno potrebbe dire che ho una bassa autostima, in realtà è dolorosamente evidente che sto osservando troppo il mio ombelico.

Marco Dellisanti

Forse si può dire che ci sono solo i fatti e non un soggetto che a quei fatti assiste. Mi chiedo però, visto che normalmente sono lontano dalla dimensione del contemplante, perché quanto asserisco mi sembra una cosa concreta e non il frutto di un ragionamento astratto. In qualche modo devo averla vissuta. Perché allora si risveglia così raramente?

Samuele Deias

“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Simbolo della massima dimenticanza di sé pur in una condizione di sofferenza fisica e morale che urlano l’opposto. Archetipo del cammino umano. Grazie

Mariella

Riconosco in me un eccesso di centralità. La disidentificazione dal mentale mi riesce meglio, ma quando è coinvolto il corpo emotivo tutto si fa estremamente difficile. Le emozioni sovrastano la capacità di riflessione. La comprensione stenta e la scena si ripete continuamente. Tengo alto lo sguardo verso il contemplante….così lontano da me.

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