Avvio questa riflessione stimolato dalla domanda di Paolo in commento al post L’identità, l’opposizione, il pane duro, il non voler vedere: “Come distinguere il pane duro – da masticare pazientemente – con un sasso, che non è il caso di provare a mangiare?”
La questione è rilevante: esiste per l’umano il sasso, l’indigeribile, l’inaffrontabile?
I giorni scorsi ho incontrato una coppia di genitori che ha perduto una figlia in giovane età: esiste sasso più grande?
No, non esiste; chiunque sia genitore questo lo sa.
Eppure accade che alcuni di noi, e verosimilmente tutti in qualcuna delle vite che la coscienza genera, affrontiamo quell’esperienza devastante: perché?
Perché, evidentemente, è un’esperienza funzionale ad alcune non comprensioni che dobbiamo superare, ad alcune comprensioni che è tempo che acquisiamo.
Allora la risposta a Paolo è: no, non esiste la nozione di sasso, di indigeribile, di inaffrontabile.
Tutto ciò che si presenta sulla scena del nostro quotidiano è per noi e da noi generato, e dunque nulla può essere contro di noi, o non alla nostra portata.
Ciò che accade può invece richiedere un lungo processo, un intenso lavoro, un ciclo di rifiuti e tentativi di accettazione ripetuti: questo è naturale.
La coscienza richiede determinati dati, che può acquisire solo attraverso l’esperienza diretta quando in sé esistono le basi di comprensione necessarie, e quando la non comprensione che si sente spinta ad affrontare diviene un passaggio obbligato per proseguire il cammino di ampliamento del sentire.
Esiste invece, Paolo, la possibilità che la raccolta di quei dati non sia fruttuosa perché l’opposizione dell’identità e un complesso di altri fattori non la permette nel momento presente: ecco allora che la coscienza sospenderà la ricerca per riattivarla in un altro momento della presente incarnazione o, nei casi di maggiore resistenza, in una incarnazione successiva.
In quest’ottica, potremmo definire sasso indigeribile ciò verso cui ci opponiamo con così tante forze perché, non sorretti da sufficienti comprensioni, e legandosi questo deficit con alcune cristallizzazioni, veniamo a trovarci confinati in uno stallo insolubile.
Il sasso indigeribile è dunque la risultante di un primo tentativo della coscienza di acquisire i dati che le necessitano per conseguire una certa comprensione: l’insuccesso del primo tentativo darà luogo ad una stasi più o meno lunga e poi a nuovi tentativi; nel mentre, è probabile che la coscienza affronti il tema disaggregandolo in una serie di sotto temi e provando a ricavare dati da questi.
Non affrontare la questione posta da Paolo in questi termini, significa entrare nella logica che l’umano può dover affrontare qualcosa più grande di lui, situazione che lo renderebbe vittima impotente: considerando che la vita che ciascuno di noi vive è generata dalla propria coscienza, non si comprende per quale ragione essa debba generare ciò che non è alla sua portata.
Ecco allora che la conclusione logica di questo ragionare è che non esiste disgrazia, non esiste catastrofe, non esiste sciagura, non esiste sasso sulla via dell’umano: esistono situazioni di apprendimento e di trasformazione di varia natura e portata, ma tutte sempre e comunque adeguate al nostro procedere esistenziale.
La morte di un figlio, compresa.
Auschwitz, anche.
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Caro Roberto allora, secondo me non perdiamo neanche un momento sul termine “reincarnazione” che non trova collocazione nella “vita eterna” dove si nasce una volta sola e la morte fisica e’ “solo” un momento di passaggio , non serve rinascere se siamo già “eterni” . Possiamo parlare di “reincarnazione” (ma non va bene il termine) solo nella “vita fisica” in quanto il nostro crescere ci fa diversi ed e’ di questo che dobbiamo essere coscienti, se poi questa coscienza ci fa’ essere in sintonia a quello che e’ lo “spirito esistenziale/cosmico/ manitu/divino/Dio quando “moriremo” saremo solo più preparati……un abbraccio
avevo letto da qualche parte che quello che muore và nella vita…..se ci reincarniamo qualcuno ci stà prendendo in giro….ed è contrario al principio che “ci arriva ” solo quello che riusciamo a capire in quello o nei momenti successivi , e della vita che non è mai contro di noi…..no polemico solo dialogo un abbraccio bruno
L’approccio al tema della reincarnazione presuppone una visione antropologica altra e definita:
non si può tentare nessun avvicinamento a questo tema rimanendo nello schema che riduce l’umano ad una forma casuale di mente-emozione-corpo.
Se non si contempla a priori l’esistenza e la funzione della coscienza, non si può parlare di reincarnazione:
non c’è nessuno che si reincarna, nessuna identità si reincarna.
Ha invece un senso affermare che una coscienza non soggetta alle leggi del divenire, possa generare una molteplicità di rappresentazioni che chiamiamo vite.
Il tema non è isolabile, non si può parlare di reincarnazione e basta, non significa niente.
Invece si può cercare di sviluppare una visione più vasta, una visione antropologica più complessa.
……Aggiungo che anche il dibattito che ne sta scaturendo è veramente interessante.
Grazie.
“Inno alla fiducia” come dice Nadia.
Sento però un certo fastidio nel capire che non potrei digerire un certo sasso in questa vita. È certamente l’identità, coperta di orgoglio, che non accetta un limite anche se si tratta di un limite di comprensione. Un paradosso.
Grazie.
Porterò il tema se ti va bene e se c’è posto all’intensivo, vorrei approfondire questa sensazione di scollamento e la cornice dell’intensivo mi sembra più adatta. Provo a prenotare lo spazio qui dallo smartphone.
Grazie!
Questa è la chiave del paradigma che riappacifica col Tutto, è l’inno alla Fiducia…profonda gratitudine.
“Ciò che accade può invece richiedere un lungo processo, un intenso lavoro, un ciclo di rifiuti e tentativi di accettazione ripetuti: questo è naturale.”
Non ci sono mappe predefinite nel processo di comprensione che mi consentano di sapere dove volgere lo sguardo, dove prendere la tuta e porre il pezzo sulla morsa per iniziare a lavorare, o masticare il pane duro se vogliamo usare le stesse parole.
Ci sono però degli indicatori che mi aiutano, una sorta di intuito, di bussola interiore che in me segna il punto dove la lancetta inizia a tremare: timore.
E’ lì, proprio in quel punto che non mi è chiaro dove temo il non conosciuto che si innesca quel cercare di comprendere e che attiva l’intero processo di rifiuti e tentativi.
Poi ci sarebbero tutte le proteste è ovvio, il pezzo è troppo grosso, pesante, difficile da lavorare, non ho gli attrezzi adatti ecc, ma allo stesso tempo so che quello mi toccherà.
Se una persona, un fatto della vita, il Sentiero mi invitano a guardare in un’area in cui c’è quel timore che fa tremare la lancetta allora vuol dire che lì c’è del lavoro da fare, altrimenti per me quello rimane un banco di prova inesistente.
Per me non c’è neanche il pezzo da mettere sulla morsa.
Da qui lo scollamento che ne deriva, quando tutti vanno in quella direzione, a lavorare il loro pezzo sulla morsa, a confrontarsi con i temi della tradizione, io che cazzo ci sto a fare qui?
Alessandro: alcuni passaggi non sono chiari.
Chi si va a confrontare con i temi della tradizione?
Leggi, per favore se puoi, di nuovo questo post: https://www.contemplazione.it/2018/05/16/lidentita-lopposizione-il-pane-duro-il-non-voler-vedere/,
non parla di quello che tu dici..
Cito dal post: “Il salmo, amico per alcuni, pane duro per altri, è come la nostra vita, dobbiamo entrare nel suo ventre per comprenderla”.
So che ti risulta estraneo il simbolismo dei salmi, la cultura altra e lontana, ma, ti chiedo: non è la vita altro che una moltitudine di simboli?
E siamo sicuri che certe nostre reazioni derivano solo dal fatto che certi simboli non ci interessano, non attivano la lancetta come tu dici, e non sia invece, quel non interesse, altro che un volto di una repulsione, di una opposizione che ha sicuramente le sue ragioni, ma che non ci rende lo sguardo chiaro?
Se fosse autentico non interesse, perché tornarci ancora in un post che non ha attinenza con quel tema?
Credo sia un tema da affrontare a voce, magari al prossimo OE (ti avrei già iscritto..)
Nella fiducia che i sassi capitano quando si è pronti alla comprensione che generano, e non quando l’identità ancora si oppone con tutte le sue forze.
Robi hai affrontato questo tema delicato con la consueta chiarezza. Non faccio difficoltà a ritrovarmi nella tua analisi e nelle conclusioni. L’esperienza di vita come scuola, come momento di apprendimento con le sue difficoltà dovute alle resistenze proprie. Quello che mi incuriosisce è il processo che porta una coscienza ( o meglio un umano) a costruirsi una personalità cosi forte con le difficoltà che comporterà poi, nelle vite successive, il superarla. D’accordo il libero arbitrio, ma come mai qualcuno più di altri si trova ad affrontare situazioni “limite”? O forse il processo riguarda tutti prima o poi?
Luciana: le difficoltà non creano una personalità forte, generano possibilità di comprensione, dunque, alla lunga, un Io debole.
La personalità con la quale viviamo è lo specchio del nostro progetto esistenziale, del compreso e del non compreso: è qualcosa di improntato fin dalla nascita e che, in seguito, trova articolazione e compimento nelle relazioni, nel vivere e da esso, naturalmente, viene modulato.
La definizione di CI: Personalità, in apparenza è un termine molto più semplice da definire , perché tutti voi, più o meno avete un’idea della definizione psicologica. Comunque io la definirei in questo modo: la personalità è la risultante degli impulsi, degli influssi del corpo mentale, del corpo astrale, del corpo fisico, all’interno del piano fisico; è quello che si manifesta dell’individuo, cioè della sua parte spirituale. Boris
L’io da superare, domani, è il frutto delle non comprensioni: tanto più comprendiamo, tanto meno è presente la centralità egoica.
In merito ai processi limite, considera che tutti affrontiamo, nelle innumerevoli vite, praticamente le stesse sfide: la loro concentrazione in particolari vite dipende dai disegni personali, dal karma, dal ritmo delle vite che vede alternarsi una incarnazione impegnativa ad una meno.
Secondo me “per l’umano” il sasso indigeribile esiste. Sono tutte quelle esperienze che ti portano alla morte: la croce di Gesù per intenderci.
Se invece parliamo di “individuo” inteso come soggetto coscienziale che si manifesta lungo numerose vite, allora, in chiave di molte vite, non esiste sasso. Nel senso che esaminando una singola vita “umana” esistono esperienze “sasso” che ti portano all’annientamento di quella singola incarnazione (vedi croce Gesù, vedi Auschwitz, vedi guerre, ecc. ecc. ecc.) mentre se guardiamo “l’individuo” quelle medesime esperienze sasso diventano pane duro da masticare.
Debbo però ritenere che Roberto usi il termine “umano” con la stessa valenza di “individuo” e non come uomo considerato in una singola incarnazione.
È così? Grazie
Caro Samuele, intendo l’umano nella sua interezza di coscienza e identità indissolubili.
La morte è indigeribile? Non di certo per l’umano con un buon grado di evoluzione.
E per gli altri?
Per gli altri, a loro sentire, molte cose sono indigeribili, ma è veramente così?
Aldilà delle proteste delle menti, non siamo tutti pronti agli eventi che si presentano? Morte compresa?
Tuttalpiù potremmo dire che esiste il sasso indigeribile nelle menti degli umani, non nel reale del loro procedere.
Ti ricordo, Samuele, che la morte di un figlio è peggio della propria morte, eppure l’umano può digerirla.
Riflettici..
Buongiorno Roberto,prima di leggere questo post riflettevo sul significato di SINCRONICITA’ ,ad un possibile utilizzo di questo termine per meglio comprendere il rapporto che intercorre tra identità e coscienza in uno stesso individuo o tra più individui contemporaneamente,poi ho deciso di sospendere le mie riflessioni e ho aperto la connessione con il Sentiero. Mi sono trovata a leggere queste righe rivolte a Paolo e la SINCRONICITA’ mi si e’ riversata addosso con maggior forza. Sono reduce da una settimana in cui l’argomento di genitori messi di fronte alla eventualità della perdita di un figlio in seguito ad una diagnosi medica, ha risuonato in me con una violenza imprevista, ho urlato il mio rifiuto ed incolpato chi cercava di portare aiuto nei limiti della propria disponibilità, mi sono ritrovata con difficoltà alle prese con il Discernimento che occorre per accettare che “siamo noi a fare tutto” e che la coscienza ha in se gli strumenti necessari a permetterci di superare lo stallo della pietra; non so quanto tempo occorrerà per trasformare la pietra in Pane di Vita, ma voglio credere che l’uscita dal carcere di qualche settimana fa passi attraverso la conclusione logica che tu ci indichi come l’ unica possibile …..grazie per l’accoglienza e la disponibilità, un abbraccio Gloria
Gloria: è senza fine il lavoro di interrogazione e di discernimento su quello che la vita ci presenta, ma quest’opera è vana se non avviene nel contesto di una fiducia di fondo ad ogni respiro rinnovata.
Ora la fiducia è qualcosa che ogni umano conosce, e la frequenta maggiormente l’umano evoluto nel sentire: essa si alimenta anche con il pensiero logico, con il sapersi spiegare le situazioni alla luce di un paradigma appropriato.
Ecco che quando diciamo che ognuno ha il necessario a sé, se siamo sorretti da un comprensione del funzionamento intimo della vita, il nostro sì sarà detto con tutto l’essere e sarà dunque vero ed efficace.