Essere disposti a togliere (La disposizione interiore unitaria 4)

4- Essere disposti a togliere

Ho compreso il limite del mio operare, del mio tentativo di controllare, di espandere la mia presenza, di riaffermare la mia centralità?
Se sì, allora cosa posso togliere dalla mia mente e cosa dalle mie giornate?
Ma, soprattutto, qual è l’ingombro maggiore che mi ottunde la visione del reale e che produce in me quel sottile stato di insoddisfazione e di inquietudine?
Sono io, la mia centralità è l’ingombro maggiore, il macigno in mezzo al cammino: se non mi libero dalla mia centralità non vedrò mai me, né la vita che mi impatta, né gli altri: vedrò solo il sogno egocentrico di me.
Ma non posso distogliermi da me se non vedo cosa mi forma, cosa mi costituisce.
I pensieri mi costituiscono; le intenzioni, le emozioni, le azioni che compio, tutto questo lo chiamo me e lo posiziono al centro del mio universo: così, attraverso questa presunzione di centralità, edifico la mia prigione, ad ogni attimo, ad ogni ora.
Togliere significa dunque rinunciare innanzitutto a questa centralità, a questa visione egocentrica, a questo sentirsi il fulcro di un microcosmo.
Poi significa osservare le proprie intenzioni e vedere di cosa sono affollate, riducendo i propositi all’essenziale.
Osservare le proprie menti e vederne i contenuti sovrabbondanti, focalizzandosi sul poco necessario ed essenziale.
Allo stesso modo osservare le emozioni e vedere come ci scaldiamo al loro fuoco nel tentativo di dare un significato al nostro vivere: anche qui, liberarsi del superfluo, del gioco a scaldarsi.
Infine osservare le innumerevoli azioni, il fare che a volte ci travolge e chiederci: “Ma è davvero necessario?”
Siamo disposti a perdere, a togliere? O c’è qualcosa che ci induce ad aggiungere senza fine e ancora non abbiamo visto abbastanza quel gioco improduttivo e malefico?
Togliere è naturale ad un certo punto del cammino, quando dell’aggiungere si è compresa la vacuità: siamo disposti ad abitare lo spazio dell’essenziale?


1- Non apporre etichette sui fatti
2- Sviluppare la consapevolezza del presente attraverso il ritorno a zero e alla presenza delle sensazioni
3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo 
4- Essere disposti a togliere
5- Sapere che la vita provvede il necessario a ciascuno: la fiducia
6- Sviluppare lo sguardo del genitore che osserva la processione dei fatti, sa intervenire e sa astenersi
7- Salire sul monte, contemplare l’accadere come Ciò-che-è


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Natascia

Rileggendo il testo, mi si sta nochiarendoalcu ipassaggidi questo ultimo.o periodo.
Davvero l’ingombro di sé, essere al centro, comporta un fatica, una prigione.
Credo che il sovraccarico di questi ultimi mesi abbiano creato una inco irruenza con il bisogno di stare.
Ne co segue un certo logoramento e fragilità emotiva. Capisco perché questo tempo che passo fuori casa, mi permetta di riacquistare un certo equilibrio.
Non devo espormi, non coltivo identificazione, è come se mi adeguarsi all’onda, assecondandone la spinta.
Il togliere è diventato indispensabile nella mia vita.
Ora dovrò capire come i.postare i miei impegni futuri, senza farmi travolgere.

Roberta I.

Ho bisogno di tornare sulle domande poste, di dedicarci del tempo, perché sono domande importanti, domande che vanno al centro ed inducono a ricercare al di là della mente, nel profondo di sé. Grazie.

nadia

Penso ad azioni fatte per compiacere un genitore ad esempio. Nel momento in cui ci si rende conto dell’ ingombro di Se, ecco che non si andrà più nella direzione di ricerca del riconoscimento, ma, eventualmente, la stessa azione nascerà da un sentire fluido e sincero; non so se è comprensibile ciò che ho scritto. Cade il velo dell’obbligo perché c’è consapevolezza e ciò che sorge è un libero fluire del Se più profondo.

Catia Belacchi

L’ingombro dei pensieri può esserci anche nel giusto equilibrio delle azioni. Quando semplicemente sto, vedo i pensieri che corrono in avanti o indietro.

Anna

Sull’ingombro di me sto lavorando, e’ difficile valutare non sapendo mai fino a che punto me la racconto.
Dopo aver passato un periodo della vita che mi permetteva ritmi piu lenti ora e’ tornato il sovraffollamento ma quando lo analizzo la risposta e’ che devo stare li, e’ il senso di responsabilita’ che non mi lascia altre opzioni e qui sorge il dubbio del raccontarselo ….

natascia

Se il fare non implica la centralità di sé, ma un mettersi al servizio, devo considerarlo ingombro?

Alberto

Altro caposaldo a cui ancorarsi.
La sensazione di prigione l’ho descritta chiaramente in altre sedi.
Occorre che tolga, smonti, abbandoni e lasci fluire libere le energie che ancora sento in parte bloccate e vanno ad irrigidire il fisico.

Lo rileggo e prego che si fissi bene tra i neuroni.

Un altro grande grazie.

Maria b

Si la mia centralità egoica frutto di reiterate difese mi impedisce di vedere spesso il reale. Eppure in questo tempo torno spesso a quel terzo occhio che mi permette di vedermi da fuori e di alleggerire il carico. Grazie

Mariella

Subito questa mattina, appena entrata nel mondo, mi si è offerta la possibilità di osservare come l’ingombro della mente e delle emozioni produca in me insoddisfazione. Ho dubitato e continuo a dubitare che il mio sia il punto di vista giusto, assumo quello dell’atro e così, piano piano torno a zero e mi placo e rido di me.

Alessandro

Per alcune zone non sono pronto. Per altre si sono staccate da me senza sforzo e da tempo..

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