L’amore liberato dalla bontà

Per sua natura, l’amore gratuito non chiede, semplicemente accade.
Molte volte mi interrogo sull’amore che mi attraversa e mi conduce a compiere un gesto piuttosto che un altro: sempre la questione della gratuità è per me centrale, ma ho compreso che essa va declinata nel contesto della relazione e del gioco delle parti.
L’educatore, che sia un genitore o un insegnante, deve amare senza condizione? Certamente si; dunque deve dare senza limite? Certamente no.
Amare non è dunque dare, anzi, come tante volte abbiamo sottolineato, è anche la capacità di negare.
Amare è occuparsi del bene dell’altro, così come a noi sembra sia giusto e possibile, avendo ben chiaro che mai sapremo veramente quale è il vero bene per l’altro.
Sapendo che l’intenzione d’amore è ciò che conta, la verificheremo e moduleremo nella pratica, tenendo conto del mondo interiore dell’altro, delle sue reazioni, dei simboli che esso conduce a noi.
A volte l’amore che proviamo per qualcuno richiederà un sì, altre un no; a volte ci impone di attivarci, altre di astenerci; alcune volte di essere delicati e attenti, altre di essere decisi e magari anche duri: l’amore non è dunque nel come, ma nel perché.
Come insegnante, non c’è giorno che io non mi chieda se sia necessario un passo avanti, o uno indietro, quale dei due sia più produttivo per l’altro.
Occupandomi della dimensione interiore, per me produttivo è ciò che aiuta a condurre a consapevolezza, a conoscenza, a comprensione il prossimo che a me guarda per una parola, o per una indicazione.
Da tempo attraverso una transizione da una modalità attiva ad una più di testimonianza e di semplice presenza, e mi chiedo: la sorgente d’amore che opera in me e che diviene il mio contributo all’altro, è tempo che non ponga più interrogativi, che si dia senza condizione, senza innervarsi in una pedagogia e in una didattica?
È questo il bene dell’altro introdotto anche attraverso me alla via spirituale? O è bene che io, da questa condizione più defilata, comunque continui a disturbare l’altro e la sua inclinazione a sedersi sul ricevuto, soprattutto quando questo nulla implica?
Ancora mi chiedo: desidero che il mio prossimo dia qualcosa in cambio di quello che io do? È questa la questione?
No, non è questa, se lo fosse sarei un mercante.
È lecito che il mio offrirmi sia tale da provocare processi nell’altro? Questa è la questione.
Ecco allora che l’amare diviene questione complessa: il semplice dare potrebbe essere quantomai diseducativo e indurre passività, pigrizia, subalternità.
Essere il fantasma dell’amore. Una tossicità.
L’offrire una relazione, uno stimolo all’interno di una relazione, un dare che chiede un rispondere, implica un divenire artefice dell’altro: nessuna comodità, essere scardinato dal ruolo passivo di fruitore e dover pronunciare il proprio nome; forse questo amore non è buono, ma è vero, creativo, attivante processi.
L’amore deve essere associato al concetto di bontà? Non direi.
L’amore non è buono, è il principio che fa incontrare gli esseri e li conduce alla consapevole unione con l’Assoluto: questo non ha a che fare con la bontà, ma con la verità.
Vero è ciò che svela e rivela il Reale.
Ecco allora che l’amore è forza attiva che rompe equilibri così come placa tormenti: è forza che guarisce e che sferza; che crea e che distrugge.
L’amore liberato dalla bontà, diviene pedagogia e didattica della relazione, del darsi e del ricevere, del costruire officina esistenziale assieme a tutti gli esseri.
Il mio amore per te è forza che mi attraversa e ti compenetra e non lascia né me, né te identici a prima: se questo è, e questo a me sembra che sia, allora la questione della gratuità, sempre centrale, riguarda il piano dell’intenzione che mi muove e solo quello.
Il processo dell’amore attivo a volte appare duro e l’altro può dire: tu non conosci la gratuità, tu chiedi, tu ferisci.
La pedagogia e la didattica possono assumere forme che giustificano queste affermazioni, il bambino a cui si nega qualcosa trova il genitore ingiusto e punitivo.
Così il discepolo. L’educatore sa cosa lo muove, l’intenzione che lo sorregge e sa anche che, per quanto faccia, la pedagogia che attiva è sempre imperfetta, sempre frammista a cascami di intenzione non chiara, sempre condizionata dall’egoità e dalle situazioni ambientali, sempre relativa dunque.
Proprio perché non esiste l’intenzione d’amore pura e inequivocabile, rinunciamo allora a vivere a questo livello di intensità e di condizionamento l’amore che ci attraversa? O lo viviamo sapendo che mentre ci attraversa si condiziona inevitabilmente essendo noi niente altro che umani?
L’ultimo passaggio, l’amore non può che indossare la veste dell’umiltà: non è buono, ma ha bisogno di essere umile, attraversato dal dubbio che mette all’angolo ogni pretesa.


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Roberta I.

Ci pensavo proprio oggi, prima di leggere questo post. Pensavo che è giunto il momento di imparare a dire di no da uno spazio d’amore. Finora il rifiuto è stato spesso accompagnato da irritazione e senso di colpa, come se in qualche modo fossi tenuta a rispondere positivamente alle pretese dell’altro. Un piccolo tassello di comprensione, chiarito ulteriormente da questo illuminante post. Grazie, Roberto.

natascia

Ho riletto 2 volte il post è sicuramente necessità x me di essere letto ancora. Amore e bontà, quanta confusione. Leggendo mi ha colpito l’analisi attenta e volta a mettere in luce ogni possibile fraintendimento. Il tentativo costante ed onesto di non lasciare parti non viste o sottovalutate. Mi spingono a non adagiarmi, a fare attenzione. Mi svelano quanto a volte mi adagio sul già conosciuto e non mi sforzo ad andare oltre. Anche di questo ti sono grata ed anche se l’amore è pura gratuità, necessita, credo, di vedere i suoi frutti.

Marco

Mi è venuto in mente un celebre libro: I no che aiutano a crescere.
Non abbiamo bisogno di qualcuno che sia buono con noi, ma semmai che favorisca i nostri processi interiori, che ci snidi e magari ci metta anche con le spalle al muro se necessario. Del resto se di lì dobbiamo passare ci sarebbe comunque qualcuno o qualcosa a metterci con le spalle al muro prima o poi…
Grazie

Catia Belacchi

Come dice il post nelle prime righe, l’amore è puro accadere gratuito; l’amore che accade avviene sempre per il bene dell’altro, anche quando sembra il contrario; in quest’ottica, possiamo considerarlo anche buono pur se questo concetto, nell’ottica del divenire, attiene alla morale mentre l’amore gratuito no. Riguardo al modo come tu, Roberto, devi declinare l’amore che ti pervade è una scelta complessa perchè, a mio modo di vedere, deve rispettare il tuo sentire ma anche i bisogni di coloro che la vita ti ha posto accanto come viandanti.

Alberto

Sono il tipo che va disturbato perché continuamente mi perdo e mi siedo. Di processi Robi me ne hai attivati tanti, con i relativi dubbi che ne sono affiorati …. Non ultimo proprio dopo aver letto questo post sull’Amare. Grazie tante.

Roberto Picchi

“Il bambino a cui si nega …” ecco, il bene e il male sono relativi al soggetto, che é sempre piccolo, imperfetto, perché vive nella dvaita (dualità). Non possono riguardare l’Amore, che é sempre trascendente, in quanto semplice riflesso dell’amore divino. Quanto viene inteso col termine “amore”, se legato alla materia, é in realtà solo concupiscenza. Certo la gratuità e l’umiltà, cui aggiungersi il sacrificio, l’atto sacro, inevitabile conseguenza dei primi, sono le fedeli ancelle dell’amore. Grazie Roberto di quanto hai donato e continui sempre a donare.

Samuele Deias

Mi domandavo proprio recentemente quand’è che abbiamo iniziato ad associare l’amore alla bontà. Quale sia il nesso tra le due dimensioni. Forse l’inno alla carità di Paolo e certa tradizione cristiana hanno creato la discutibile associazione. Mi trovo pienamente condizionato da tale fallace interpretazione dell’amore come quasi sinonimo di bontà, non senza implicazioni inibitorie.
L’approccio iconoclasta mi persuade assai di più.

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