Fratelli nel cammino si interrogano sul senso e sul non senso del vivere, dei minuti atti del quotidiano, come dei processi.
1- La domanda sul senso è ontologica;
2- essa si palesa più chiaramente nell’interiore di una persona della via;
3- rappresenta la cruna dell’ago del monaco.
La cruna dell’ago del monaco
«E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,24)
Ricco di cosa? Ricco di sé.
La domanda di senso è domanda dell’identità, e solo di essa, e diviene chiara ed evidente quando il lavoro interiore si fa sufficientemente consapevole ed avanzato per porsela.
È domanda per tutte le stagioni, ma assume una pregnanza particolare solo ad un certo punto, quando il monaco avverte la spinta conscia ed inconscia ad andare oltre sé.
Allora la domanda significa: sono stato per molte vite il centro di tutto l’agire e lo sperimentare, ora sento che ad altro sono chiamato, che il mondo non finisce né inizia con me, sono smarrito in vario grado, non ho coordinate chiare, non ho più un centro di gravità; la domanda di senso mi assale a volte, altre mi lambisce appena, sempre un certo disorientamento prevale, una mancanza di radici, una estraneità. Sono straniero a me stesso e alla vita.
Questo è uno stato maturo, una declinazione avanzata della questione del senso: il monaco sa che deve affrontare il nodo della propria centralità, che tutto ciò che l’attende è aldilà della cruna dell’ago, della fine di sé così come si è conosciuto, dell’avvento di un’altra centralità, di un’altra priorità.
Non c’è soluzione alla domanda e all’esperienza di senso se non compiendo un balzo oltre sé: il passaggio per la cruna dell’ago è possibile se il centro diviene l’Essere e se il divenire è assorbito dall’Essere.
(Risparmiatemi la solita questione sull’essere pienamente sé: è ovvia, se non è realizzata non si apre alcuna porta dell’Essere.)
Se il divenire è impregnato di consapevolezza d’Essere, allora la cruna è valicabile: la consapevolezza d’Essere illumina la questione del senso e la relativizza, la evapora come la rugiada al sole dell’estate.
Ecco che il compito primo del monaco è quello di tornare senza fine all’Essenziale, consapevole che la frustrazione, il disorientamento, il non senso, il vuoto appartengono al divenire identitario.
Il monaco vede il gioco dell’identità, e torna all’Essenziale: mille volte al giorno, senza fine.
La mente è impregnata di non senso? Bene. È angosciata? Bene. C’è solo fatica senza senso? Bene. C’è solo apatia, o attutimento, o noia esistenziale? Bene.
Quella è la cruna dell’ago.
Il monaco vede e non si agita, non si identifica, rimane sul pezzo.
Se rimane veramente sul pezzo, se accetta fino in fondo quella condizione, allora valica la cruna e gli si apre l’esperienza dell’Essere: se questa esperienza non si apre è perché non si è arreso, non è stato sul pezzo, non ha contemplato il niente che ha dentro accogliendolo fino alla feccia.
Diciamo sempre che l’esperienza dell’Essere è un dono: vero, ma relativo.
L’Essere è la nostra natura, dire che è un dono non significa niente: non può essere un dono quello che sono; quello che sono è un fatto, un’evidenza che è sempre lì; se non posso fruirla, se non sono Quello è perché qualcosa vela quella natura, qualcosa che si crea in me e a cui aderisco.
A cosa aderisce il monaco aldiquà della cruna?
La domanda di senso, il vivere senza senso hanno a che fare con qualche adesione: se l’Essere impregna il divenire, l’identità, questa viene trasmutata e non è più di ostacolo, si può valicare la cruna.
Se l’identità aderisce a qualcosa, dunque non molla la propria centralità, la questione del senso appare e il valico è chiuso.
Ripeto: la questione del senso in questi termini appare in una fase avanzata del cammino; se la persona è pronta, se è veramente in una fase avanzata e non si inganna, allora ha davanti una solo possibilità: impregnarsi d’Essere tornando incessantemente ad Esso.
In quella immersione la questione del senso scomparirà.
Sul significato dell’espressione “impregnarsi d’Essere”, vi rimando a tutto quello mille volte detto riguardante lo sprofondare nei fatti del presente, contemplando la natura eterna del divenire di ogni fatto.
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Al termine del primo incontro di Essenziale al quale ho partecipato un paio di anni, mi sembrava di avere capito che la domanda di senso, una domanda che per anni è stata per me un leit motiv, è una domanda mentale, un sollazzo o un bisogno dell’identità. Roberto la sera stessa me lo ha confermato e la conferma mi ha dato pace.
Mi associo a Roberta quando scrive che “Sebbene a livello conscio non mi ponga il problema del senso, leggendo queste righe, mi rendo conto che esso opera inevitabilmente nell’identificazione. L’opposizione ai fatti per quello che sono, nasconde proprio la ricerca di un senso o meglio un desiderio di fuga dal vuoto del non senso. Persino il tentativo di lettura della realtà in senso esistenziale può celare questo bisogno, il bisogno di interpretare ciò che ci accade, il bisogno di dare un senso ad accadimenti che l’identità rifiuta perché sentiti come minaccia alla propria sopravvivenza. La lettura dei simboli è un’operazione indispensabile nel cammino, che apre alla fiducia, ma credo che anch’essa in fondo ci riporti alla centralità di noi stessi. Accogliere il fatto significa accogliere il vuoto, vuoto di emozioni, vuoto di pensieri, vuoto di eccitazione… vuoto di sé.”
(scusa, Roberta, se ti ho copiata tutta, ma hai tradotto molto bene le considerazioni che avevo in mente dopo avere letto il post e mi piace rileggerle e riportarle qua tutte intere.)
La pratica: stare sul pezzo, osservare ciò che accade senza voler controllare e con un atteggiamento di resa e di fiducia….
Grazie, Roberto per parlare ancora di questo argomento! Questo post è stato una bottiglia di acqua buona nella siccità!
Roberto: grazie per la risposta
Letto qualche giorno fa, poi riletto e ancora oggi…nessun commento sorge..
Esperienza da far sedimentare giorno per giorno per evitare quella tabula rasa che quando arriva annichilisce.
Grazie!
“Risparmiatemi la solita questione sull’essere pienamente sé: è ovvia, se non è realizzata non si apre alcuna porta dell’Essere”.
Allora (scusandomi per il non risparmiare) le possibilità sono tre:
1) ci sono delle eccezioni a questa regola
2) ho realizzato me stesso più di quanto non creda
3) non ho ancora pienamente realizzato me stesso e gli echi che mi giungono leggendo il post sono solo costruzioni mentali
Eppure mi sembrava si dicesse che le questioni ancora irrisolte a livello identitario non fossero necessariamente un ostacolo che impedisce di accedere all’essere…
Non so se sto facendo confusione…
Comunque a volte mi chiedo quanto c’è di mentale e quanto invece sia legato a un’esperienza autentica…
Marco: Il “pienamente sé” è da intendersi come processo, non c’è un punto in cui una persona è pienamente sé.
C’è una condizione in cui essa è sostanzialmente e pienamente sé, ovvero non è impigliata in nessuna questione identitaria limitante.
Se c’è un laccio, o più lacci, consistenti che ci trattengono, l’accesso all’Essere sarà frammentato, discontinuo, parziale e frequentemente impedito.
Se sul piano dell’identità c’è una sostanziale pace, quindi c’è un lavoro su residui di non-comprensioni che definirei di routine, allora l’accesso all’Essere si fa ampio e abbastanza costante.
Definiamo dunque la condizione di “pienamente sé” quella in cui il lavoro sulle comprensioni è di cesello piuttosto che di scalpello..
Ho qualche barlume del Monaco di cui parli. Vedo il gioco dell identità ed ogni tanto riesco a “rimanere sul pezzo” . La domanda del senso di tutto quello che faccio, anche le cose più banali, ė comunque forte. Un post che insegna molto. Grazie.
Il commento di Catia mi calza a pennello. Anche per me le domande non sorgono, le uniche sono legate all’ interpretazione dei fatti quotidiani….la fiducia pervade il cammino.
Grazie
“Non c’è soluzione alla domanda e all’esperienza di senso se non compiendo un balzo oltre sé: il passaggio per la cruna dell’ago è possibile se il centro diviene l’Essere e se il divenire è assorbito dall’Essere.”
“La domanda di senso, il vivere senza senso hanno a che fare con qualche adesione: se l’Essere impregna il divenire, l’identità, questa viene trasmutata e non è più di ostacolo, si può valicare la cruna.”
Sebbene a livello conscio non mi ponga il problema del senso, leggendo queste righe, mi rendo conto che esso opera inevitabilmente nell’identificazione. L’opposizione ai fatti per quello che sono, nasconde proprio la ricerca di un senso o meglio un desiderio di fuga dal vuoto del non senso. Persino il tentativo di lettura della realtà in senso esistenziale può celare questo bisogno, il bisogno di interpretare ciò che ci accade, il bisogno di dare un senso ad accadimenti che l’identità rifiuta perché sentiti come minaccia alla propria sopravvivenza. La lettura dei simboli è un’operazione indispensabile nel cammino, che apre alla fiducia, ma credo che anch’essa in fondo ci riporti alla centralità di noi stessi. Accogliere il fatto significa accogliere il vuoto, vuoto di emozioni, vuoto di pensieri, vuoto di eccitazione… vuoto di sé.
Sento che sto facendo un passaggio, come altre volte certo, ma ora il bisogno del silenzio, del non fare, di stare su quel che c’è, è maggiore. C’è noia a volte, il pensiero di sprecare del tempo, ma non ho né forze, né voglia di tornare alle precedenti modalità. La fiducia mi sostiene.
Nulla da aggiungere a verità che sento vive e tangibili se non da evidenziare parole fondamentali: “L’Essere è la nostra natura, dire che è un dono non significa niente: non può essere un dono quello che sono; quello che sono è un fatto, un’evidenza che è sempre lì; se non posso fruirla, se non sono Quello è perché qualcosa vela quella natura, qualcosa che si crea in me e a cui aderisco.”
Sono nella stagione in cui mi sento straniera ” a me stessa e alla vita”. Commentando un post del Cerchio Ifior, dicevo che mi sembra di essere tornata un minerale, senza domande, senza aspettative, con una capacità di elaborazione diventata pressocchè nulla, se non fosse per i post che mi “costringono” a leggere e chiariscono, per fortuna, questo stare. Non mi interessa sapere quale sarà l’approdo perchè ho verificato infinite volte che la Coscienza ci sorregge.