La vita interiore: dove abbiamo lasciato il nostro cuore?

Comprendiamo la nostra libertà come il diritto a manifestare le emozioni e i pensieri che ci attraversano.
Se qualcosa, o qualcuno, ci impedisce quella manifestazione, sorge in noi una frustrazione: il sacro diritto a manifestarci non può essere leso, da esso dipende la sostanza del nostro essere.
Noi siamo pensiero ed emozione e se essi non possono divenire atto manifesto, essi non sono, e noi non siamo con essi.
Così la vita interiore deve divenire comunicazione esteriore, altrimenti non è, e il soggetto implode.
Ecco l’affannarsi a comunicare, ad esprimere, ad imprimere nel vento la propria effimera impronta.
Non sorgendo, troppo spesso, quella comunicazione da una autentica vita interiore, da una riflessione e macerazione che avvengono nella relazione intima tra sentire, pensare e provare, ciò che comunichiamo è inconsistente perché privo di anima, di sentire.
La brama di esserci e di venire confermati nel proprio esserci – figlie di un’ansia di esistere certificata da qualcuno che ci vede – uccide la nostra vita interiore, vita di per sé nascosta, silente, discreta.
Vita interiore, vita animica, vita di sentire che va coltivata e ruminata, che si intreccia con pensieri ed emozioni, che li filtra e li lasca appassire quando è il caso, o li alimenta e li nutre quando è tempo, quando l’intenzione è matura per divenire atto.
Vita interiore come lo stare della poiana sul posatoio sopra il campo arato che attende il passaggio del topo.
Vita interiore pronta, vigile, viva in sé, sollecita nella relazione come nel ritrarsi.
Vita interiore che non dipende dall’essere riconosciuta, od apprezzata, che basta a se stessa perché alimentata dall’Origine-senza-tempo.
Vita interiore che è risiedere stabile in quell’Origine: non mancando di nulla, nulla cerca, di nulla ha bisogno e quando diviene non è mossa da necessità.
Da quella vita interiore ciò che sorge ha senso compiuto, parola o gesto che sia: in essa l’Esistere informa l’Esistente e questo lo manifesta e lo celebra.
L’Esistente non diviene soggetto, non diviene due: il soggetto non sorge dall’unità, dunque la sua natura è puramente illusoria, ha la consistenza dell’immagine nello specchio.
L’Esistente conosce la natura illusoria del divenire e non ne subisce l’influenza.
L’umano, per sua natura, sperimenta in sé l’Esistente e il soggetto, il Reale e l’illusorio: dove porrà egli l’accento?
Là dove porrà l’accento, sceglierà anche le sue priorità, come impegnare il tempo che gli è concesso, chi servire e perché.
Quell’accento farà risaltare eventi e stati, e ne oscurerà altri.
Ora, ci si pone la domanda: dove abbiamo posto l’accento, dove abbiamo lasciato il nostro cuore?


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Luana D.

…nel lavoro interiore, nelle proprie responsabilità.

Gloria

Nell’intrico dei rovelli (rovi) della mente….

Nadia

…già…dove?

Catia Belacchi

Nel bisogno assiduo di relazione, la vita interiore soffoca. Imparare ad essere poiane.

roberta g

Questo argomento mi tocca. Grazie!

Sento “…La brama di esserci e di venire confermati nel proprio esserci – figlie di un’ansia di esistere certificata da qualcuno che ci vede – uccide la nostra vita interiore, vita di per sé nascosta, silente, discreta.”
Talvolta mi ricordo di fare un passo indietro e di osservare, ascoltare, risiedere in me stessa.
Talvolta (più spesso) il passo indietro mi si impone, perché la mia identità non ha il “successo” che desidera. Così mi ricordo che posso ascoltare, osservare….
In ogni caso, quando ciò accade, le persone accanto a me si meravigliano e mi chiedono il perché del mio essere “neutrale”, “pallida” rispetto al solito.
Oltre alla mia brama di “esserci”, anche le aspettative degli altri mi condizionano…

Eddy

Dove l’ho lasciato?
Sia con la poiana che necessita cibo, che con il topo che preferirebbe non diventarlo.

beatrice

Avevo bisogno di questo post. Grazie Roberto.

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