In venticinque anni di attività ho incontrato tante persone: quante cercavano l’Essere?
La mia impressione è che la grande parte fosse semplicemente alla ricerca di un equilibrio interiore, posizionandosi dunque in una esperienza che precede la ricerca spirituale vera e propria.
Il Sentiero è dunque stato strumento a disposizione di identità, delle loro necessità, dei loro fini: la sua natura più profonda è rimasta ampiamente inespressa. Credo che nessuno abbia mai letto i capitoli 3 e 4 del libro L’Essenziale.
Così è stato e così è, amen.
Aprirsi all’Essere è la chiave di ogni approccio spirituale all’esistenza: non dunque la ricerca di Dio, ma l’accoglienza della Sua azione, della Sua presenza, della Sua essenza.
Questa apertura sana le ferite residue dell’identità, placa le ansie e le angosce, è un balsamo nei giorni in cui grandina, nei momenti in cui la prova sembra sovrastarci.
Avessi un discepolo, gli direi: senza fine apri la tua mente, il tuo cuore, la tua azione alla Sua presenza.
Così inizia, così finisce la via spirituale, questo pone termine ad ogni ricerca, ad ogni studio, ad ogni disciplina, ad ogni sforzo: questo è l’alfa e l’omega della persona disposta ad incontrare l’Assoluto, e a scomparire in Esso.
Se si è disposti ad incontrare l’altro-veramente-Altro, allora si troverà il modo e il tempo per farlo.
Le persone che vivono nel mondo, sono solite affermare che non hanno tempo: può darsi.
A me sembra che non abbiano la necessaria motivazione, non avvertano quella spinta, quella pressione che non lascia scampo.
Non avvertendola, è giusto che si occupino di sé, nelle varie forme, e non di Dio la cui presenza, evidentemente, avvertono in modo troppo evanescente.
Quando l’umano è divenuto capace di osservare nell’abisso di sé e di ogni fatto che accade, in quell’abisso viene risucchiato dalla sostanza dell’Essere, divenendo egli stesso Essere.
Prima di quell’abisso esiste la ricerca di esso che passa, necessariamente, per il lungo cammino del “conosci te stesso”.
Questa conoscenza dunque non è la fine del cammino, ma il suo inderogabile inizio: la conoscenza associata alla consapevolezza produce comprensione, la comprensione rende l’individuo ricettivo alla nota di fondo che lo costituisce fino a divenire, nella sua interezza, quella nota.
A questo punto della maturazione interiore, altro non rimane da fare che aprirsi senza condizione e senza tempo all’Assoluto-in-sé, ognuno secondo il suo modo.
Di persone-in-Dio ha bisogno questo tempo.
Di queste persone che non si sentano, non si percepiscano più separate, divise interiormente e dai loro simili e dal Creato, ma essenti Lui, il Creato, il Principio che tutto genera e sostiene, Colui-che-è.
Questa è stata ed è la funzione del Sentiero:
– spandere questa nota di relazione e di fusione,
– rinnovare senza fine l’invito ad aprirsi all’Assoluto,
– fornire mille strumenti per farlo.
Oggi posso dire che non conta chi l’abbia ascoltata, chi l’ascolti, conta che sia stata emessa, che sia stata affidata al vento.
Il dove e il come cada, sia caduta, percepita, interpretata, accolta, equivocata appartiene all’imponderabile, al dispiegarsi del disegno di Dio nell’animo di ogni creatura.
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Ho riletto questo post a distanza di giorni e ancora è difficile commentare…
Durante gli anni della ricerca psicologica prima e del percorso spirituale poi, non cercavo l’Assoluto perchè sapevo senza ombra di dubbio che c’era immanente in ogni cosa, in ogni essere e in me. Ho toccato con mano come, in tutti questi anni, ha guidato ogni accadimento della mia vita ma il tutto era letto nell’ottica del divenire. Ora so, grazie al sentiero, che l’Essere è in ogni fatto che accade, nel minuto atto presente, purchè se ne abbia consapevolezza. Vedo tuttavia le mie disattenzioni e le mie vacuità , ho l’impressione di non riuscire ad andare da nessuna altra parte e di non riuscire più a procedere, se hanno senso queste affermazioni. Le sensazioni intime e profonde sono scomparse, l’Essere si nega al mio sguardo, nel senso che vivendo la routine quotidiana senza emozioni, mi sembra di vivere nell’aridità e di non cogliere la Sostanza nascosta delle cose . Questo è e questo accolgo consapevole che sarò sempre condotta dove “è giusto che io sia”
Qualche giorno fa ho spostato per la prima volta il miniescavatore appena acquistato e la mia compagna ha ripreso l’evento.
È stato curioso vedere il video, sembravo piuttosto sicuro e abbastanza professionale ma in quel momento stavo improvvisando ed ero piuttosto agitato!
Mi sono reso conto che spesso vivo questa condizione di essere portato da qualcosa che travalica il mio piccolo essere anche in azioni apparentemente di poco conto, come questo commento, è se lo analizzo troppo finisce che lo cancello, se lo guardo sorridendo lo posso interpretare come un tentativo di potare a terra un qualcosa che sembra astratto.
Magari ne parliamo all’intensivo…
Colgo lo sprone e la generosità del voler condividere un compreso ed un vissuto pregni di senso e di sostanza. Intravvedo anche alcuni passaggi che ho necessità di approfondire o di sviscerare meglio in quanto, mi sembrano lasciar affiorare venature di dualismo che attribuirei alla necessità pedagogica o a mia incomprensione.
Ad es. la ricerca di un equilibrio interiore e di una determinata esperienza, viene detto che precedono la ricerca spirituale vera e propria; a me sembra che la semplice ricerca sia già essa stessa esperienza spirituale, pertanto più che precedere (apparendone così separata), direi che la integra, che ne costituisce il prodromo.
Lo stesso dicasi per il soddisfare le necessità ed i fini delle identità,
l’occuparsi di sé, nelle varie forme; non li vedo contrapposti e nemmeno separati dall’occuparsi di Dio.
Sentire Dio in modo evanescente o sentirlo in modo pregnante, cogente; non è la stessa cosa? Cosa cambia? Solo l’intensità della percezione.
Mentre scrivo mi si dischiude forse meglio un significato del post: ovvero che pur non esistendo separazione né dualismo tra identità e spiritualità come peraltro insito nella dimensione monacale, è pur vero che come per me non sarebbe ad es. significativo frequentare sempre sagre e fiere, allo stesso modo chi risiede stabilmente nell’Essere ha necessità, non per sé stesso, ma necessità, di condividere quella dimensione con altri. Non volendosi né potendosi fermare alla superficie, alza quindi l’asticella e ci dice che non esistono solo sagre e fiere ma che è possibile sperimentare altro, o meglio, Altro.
Grazie.
CONSIDERAZIONE RIVOLTA A TUTTI
Vi prego di rileggere questo passaggio del post:
“Quando l’umano è divenuto capace di osservare nell’abisso di sé e di ogni fatto che accade, in quell’abisso viene risucchiato dalla sostanza dell’Essere, divenendo egli stesso Essere.
Prima di quell’abisso esiste la ricerca di esso che passa, necessariamente, per il lungo cammino del “conosci te stesso”.
Questa conoscenza dunque non è la fine del cammino, ma il suo inderogabile inizio: la conoscenza associata alla consapevolezza produce comprensione, la comprensione rende l’individuo ricettivo alla nota di fondo che lo costituisce fino a divenire, nella sua interezza, quella nota.
A questo punto della maturazione interiore, altro non rimane da fare che aprirsi senza condizione e senza tempo all’Assoluto-in-sé, ognuno secondo il suo modo.”
In una discussione, ad un certo punto, bisogna postulare dei dati, qualcosa che è assodato, altrimenti non c’è altro che la ripetizione del sempre uguale.
Perdonatemi, ma ogni volta che scrivo debbo ripetere che tutto è simultaneo?
“Quando l’umano è divenuto capace di osservare nell’abisso di sé e di ogni fatto che accade, in quell’abisso viene risucchiato dalla sostanza dell’Essere, divenendo egli stesso Essere.”
“Osservare nell’abisso di sé e di ogni fatto che accade/essere risucchiati nell’Essere” non parla forse di questa simultaneità, di divenire ed Essere inscindibili?
Vi prego, TUTTI, i osservare le paure che sorgono in voi, il timore di vivere una vera simultaneità, un oscillare senza fine tra Essere e divenire reale, non un precipitare nell’Essere quando una benedizione vi coglie.
Osservate, per favore, la paura nelle vostre menti e come essa diviene necessità di precisare all’infinito, di mettere i puntini sulle i, di ribadire che l’Essere non significa non occuparsi più di sé..
A SAMUELE
Osserva come, quando la tua mente si placa, come riesci a cogliere l’insieme di quello che viene affermato..
Osserva il primo movimento, la paura, e la ribellione conseguente, e, se puoi gestiscilo, lascialo decantare.
Se lasci che la mente guidi il gioco, la alimenti e ti perdi; se vedi la sua reazione e la lasci decantare molte volte, poi emerge la sostanza, il reale, e anche la Realtà.
Nel percorso del conosci te stesso , non c’è modo di tornare iidietro. Ci sono delle battute d’arresto, dei rallentamenti, ma poi la Vita sempre lì ti porta. Sento che le incertezze e le titubanze rallentano la disposizione ad una apertura all’essere, ma ognuno di noi fa i conti col proprio compreso e soprattutto col non compreso. Sono pronta ad andare oltre il mio limite? Ho il coraggio di fare scelte più radicali? Mi impegno a mettermi alla prova.
Nella mia esperienza poche cose ma chiare:
Per me il “conosci te stesso” non è bypassabile, è stato un percorso a tratti duro ed è tutt’ora ampiamente in atto, l’Essere mi si è rivelato durante questo processo e senza questo processo mi è irraggiungibile.
Per comprendere il dolore ho dovuto e devo passarci in mezzo, senza fughe e giustificazioni, inclusa una disconnessione prematura.
Durante il processo ho dovuto fare scelte di vita faticose e dolorose che hanno cambiato il quotidiano.
Il divenire (con il conosci te stesso) e l’Essere non sono in fila: prima l’uno poi l’altro, ma possono viaggiare in parallelo.
Non a caso in questo periodo, a monte delle comprensioni che sono riuscito ad acquisire, ho spostato il focus dalla ricerca di “equilibrio emotivo” a quello di cercare l’Essere. Credo che la fase mentale sia passata ed è ora di andare più in là, per quello che riesco, con lo sguardo. Sono andato a vedere i capitoli di cui parli e me li ricordo eccome! La lettura dell’estratto è stato il primo contatto per riuscire a capire la Via che di lì a poco avrei intrapreso. Per quanto riguarda la mia persona, cercare l’Essere senza prima essere passato per un certo equilibrio interiore sarebbe stato inutile:mi viene da dire che non avrei capito una mazza di tutto questo e magari mi sarei posto in modo arrogante in cima al mio monte. Grazie!
Potrò parlare di Dio quando sarà il momento, non prima.
Non so se il suo risiedere stabilmente alla mia consapevolezza avverrà in questa o fra altre 100 vite.
Quando avverrà stabilmente allora potrò dire ‘…della Sua azione, della Sua presenza, della Sua essenza.’
Finché non sarà la mia esperienza diretta rifiuto senza timore il cercarlo o conferirgli Sue attribuzioni, per adesso il lavoro è rimuovere la spazzatura che ho nascosto sotto il tappeto ed è una gran fatica e si respira un casino di polvere.
Quando la sua natura si sarà completamente rivelata ai miei occhi e sarà entrata nello zaino della mia comprensione, allora e solo allora potrò parlarne, anzi magari aspetterò ancora, vedremo.
Ho cancellato tanto tempo fa la parola ‘fede’ dal mio vocabolario perché la fiducia è tutt’altra cosa e quella coltivo e non mi viene proprio di cercare Dio.
Faccio il mio lavoro al meglio che la mia motivazione mi consente di fare ed è un preparare il terreno a qualcosa di non conosciuto.
Quando lo conoscerò vedremo se è Dio o come chiamarlo ma mi è chiaro che allora anche solo il respiro che emetterò avrà la tensione e la leggerezza di quel profumo.
Per Alessandro.
Credo che ogni creatura abbia accesso all’Essere, nella gioia come nel pianto, nella conoscenza come nell’ignoranza.
L’Essere si dischiude ad ognuno a seconda del compreso e del sentire conseguito, ma si dischiude comunque.
Chiaro ed evidente che la rimozione è la negazione della conoscenza e che alcuni rimuovono proiettando la propria ricerca in alto.
Non erano forse stati avvertiti mille volte dalla vita del pericolo di quella unilateralità?
Lo snodo è proprio quello, dalla ricerca all’Essere. Possibile quando le comprensioni acquisite sono sufficienti per farlo. Per respirare non dobbiamo cercare l’aria: non la vediamo, tocchiamo, annusiamo ma la sua presenza è un’esperienza per noi estremamente concreta e dunque possiamo abbandonarci al respiro, senza condurre noi la danza. Nasce la fluidità dl processo, senza soggetto che se ne appropria ma che anzi scompare nell’essere da esso portato.
Il tema è quello centrale dell’esperienza biblica ed è il perno per la comprensione del significato autentico del Natale. Non cercare Dio ma accoglierlo, non conoscerlo ma lasciarsi conoscere da Lui (il termine ebraico letterale è “penetrare”, quello dell’amplesso). In sostanza nell’Essere siamo chiamati a liberare le energie femminili, quelle maschili hanno la funzione di condurci fino all’uscio…