Molte sono le questioni che Samuele pone nel suo commento al post Breve riflessione sull’Io/identità, le tratterò in più post.
Risponderò tenendo conto, primariamente, di quanto da me compreso e solo secondariamente mi avvarrò di comprensioni altrui.
Chi si identifica, chi opera la disconnessione?
All’interno di un processo che sorge nel sentire e che coinvolge i corpi transitori, cosa significa affermare che l’Io prende il sopravvento e sorge una identificazione con un dato emotivo, o cognitivo, o con entrambi?
Se non c’è identificazione, cosa accade? Quel processo fluisce naturalmente, così naturalmente che sembra non esserci soggetto protagonista.
Ma se quel processo pone, ad esempio, in discussione l’immagine di sé, allora si sollevano onde emotive e una serie di pensieri legati al pericolo insito nella situazione.
Pericolo di cosa? Di integrità della proiezione di sé.
Il senso di sé e della propria immagine deriva da una serie di fattori:
– dall’esistenza dei corpi transitori;
– dall’azione della coscienza attraverso essi;
– dall’adesione a degli archetipi transitori per assonanza di sentire;
– dal sistema delle relazioni;
– dall’azione degli istinti di base inscritti nel DNA dei corpi;
– dal carattere.
L’insieme di questi fattori genera una consapevolezza complessa e mutevole che chiamiamo Io, o identità.
Inserisco, di seguito, in corsivo e su fondo azzurro, alcuni frammenti di una analisi di Scifo, Cerchio Ifior, tratti dall’Annale 2011, pag. 179 e seguenti.
Queste parole servono ad inquadrare e chiarire meglio l’argomento della nostra discussione.
Alla fine del corsivo di Scifo, troverete il prosièguo del mio ragionamento.
Carattere Avevamo visto che il carattere è determinato dall’attivazione di determinate sequenze genetiche all’interno del DNA, e che queste sequenze genetiche sono prefissate sulla base dei bisogni di comprensione che l’individuo incarnato deve sperimentare nel corso dell’incarnazione che si trova ad affrontare per avere la possibilità di ampliare il suo sentire. E’, insomma, una sorta di dotazione di base che l’individuo riceve al momento del concepimento e che mette a sua disposizione gli strumenti per reagire con le esperienze secondo le sue necessità evolutive, fornendo, nel contempo i binari lungo i quali si dovrà svolgere la nuova vita sul piano fisico che viene incominciata.
Personalità Come avevamo visto, la personalità dell’individuo è identificabile con la maniera in cui l’individuo, sulla scorta della base caratteriale che gli appartiene, interagisce con l’esperienza che affronta nel corso della sua vita.
Essa è direttamente relazionata alle possibilità di decodifica effettuata dei corpi inferiori sulle vibrazioni che attraversano le varie materie da cui sono costituiti e ogni loro componente (fisica, astrale e mentale) reagisce, secondo la sua dotazione genetica, in risposta agli stimoli che, di volta in volta, riceve, esprimendosi sul piano fisico con reazioni fisiche, con emozioni e con ragionamenti.
Ed eccoci arrivati all’Io. La prima considerazione importante da fare riguarda il fatto che l’Io non è una somma di componenti, ma è una risultante di esse, quindi qualcosa che, in qualche maniera, trascende la semplice somma delle parti che lo originano. Questo è il principale elemento che differenza personalità ed Io: la prima è l’espressione diretta delle componenti fisica, astrale e mentale del carattere definito dai segmenti attivati del DNA, il secondo è la modulazione e interazione di questi elementi sotto la spinta sia dei fattori interni (carattere e personalità) che di quelli esterni (ambiente, società, archetipi transitori ecc.).
A questo punto in voi può sorgere la domanda: “L’illusoria esistenza dell’Io che necessità ha per l’individuo? Non è una complicazione concettualmente inutile?”.
In realtà, pur nella sua illusorietà, la costituzione dell’Io ha una funzione essenziale per l’intero processo di conoscenza e comprensione di se stessi: esso, infatti, permette all’individuo di mettere in atto, nell’espressione della sua personalità, reazioni e controreazioni strutturate e in relazione tra di loro agli stimoli che l’individuo riceve dall’esperienza che incontra, in maniera tale che il comportamento sul piano fisico risultante dall’espressione delle decodifiche in corso da parte dei tre corpi inferiori possa fornire alle necessità akasiche di comprensione una gran quantità di dati relazionati tra di loro.
Questi permetteranno al corpo akasico di osservare in maniera più completa e strutturata le reazioni comportamentali dell’individuo nella sua totalità delle componenti inferiori e la loro variabilità anche in presenza di stimoli identici, in maniera da poter trarre da tali reazioni gli elementi che gli servono per cercare di mettere al posto giusto i tasselli mancanti al suo sentire.
Se il processo messo in atto dall’Io – pur nella sua illusorietà e quindi nella sua aleatoria soggettività – non esistesse, il corpo akasico riceverebbe dati poco utili o, quanto meno, poco soggetti a sviluppo, in quanto la manifestazione della personalità sul piano fisico sarebbe ripetitiva e priva di quella variabilità che permette di incontrare e analizzare le sfumature dei vari indirizzi della com prensione.
Dal punto di vista della decodifica delle vibrazioni simboliche per quanto riguarda l’Io, il fatto che esso sia una risultante non ha conseguenze da poco; infatti ciò significa che nell’Io si sommano, si radunano e interagiscono contemporaneamente tutte le decodifiche avvenute sulla vibrazione simbolica condizionando il comportamento dell’individuo sul piano fisico relativamente alle possibilità espressive del suo livello caratteriale e, di conseguenza, le manifestazioni della sua personalità. Questo fatto, indubbiamente, complica molto le possibilità di osservazione da parte del corpo akasico ma, in compenso, gli permette di attuare confronti e verifiche che, altrimenti, non potrebbe effettuare per mancanza di dati complessi e strutturati.
Infine, è necessario osservare che l’Io risente direttamente – dal momento che si estrinseca sul piano fisico dove le vibrazioni archetipali esprimono le loro istanze – dell’influenza degli archetipi transitori a cui, di volta in volta fa riferimento, finendo col modulare l’espressione della personalità individuale sul piano fisico anche attraverso le regole comportamentali espresse negli archetipi transitori. Questo insieme di “spinte” porta, in questo modo, alla variabilità di comportamento che ognuno di voi può notare in ogni individuo che, spesso, esprime diversamente la sua personalità – che altrimenti reagirebbe sempre in maniera costante e univoca – a seconda degli elementi che influiscono sull’Io.
Ma vediamo se riusciamo a trovare un esempio accettabile per spiegarvi meglio questa differenza tra carattere, personalità e Io, prendendo in esame il comportamento di un bambino nel suo passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale.
Supponiamo che il bambino abbia attivata nella sua catena genetica la sequenza di geni che gli fornisce una propensione, una sensibilità accentuata verso la musica.
Dal momento che questa sensibilità particolare è una qualità caratteriale, quindi genetica, egli avrà sempre un rapporto particolare con l’espressione musicale, rapporto che lo accompagnerà costantemente nel corso della sua intera esistenza. Col passare del tempo e l’affinarsi delle sue possibilità espressive egli acquisirà la capacità di manifestare il suo carattere reagendo in forme personali al tipo di musica che ascolta: commuovendosi per una musica triste, ballando in conseguenza di una musica ritmata e via dicendo. Esprimerà, così, la sua personalità sotto l’aspetto della sua propensione caratteriale a percepire la musica.
Allorché, secondo il processo naturale che modula gradatamente l’individuo nella sua manifestazione fisica, il suo Io si andrà strutturando in maniera più complessa come risultante di tutte le sue componenti reagenti non alla sua sola costituzione interna ma, anche, agli influssi degli archetipi a cui è collegato, l’espressione della sua personalità attraverso la mediazione dell’Io lo porterà verso l’espressione di se stesso magari non più verso qualsiasi tipo di musica, bensì verso il particolare tipo di musica che più sarà confacente all’espressione delle “regole” comportamentali dettate dagli archetipi transitori di riferimento (ad esempio, in età adolescenziale, la musica Punk o il metal o l’hard rock). Ecco, quindi, che la presenza dell’Io e la sua graduale strutturazione derivante dall’essere una risultante delle influenze cui è sottoposto permettono all’espressione della personalità di assumere modi e connotazioni diverse fornendo una gamma più ampia di elementi all’osservazione effettuata costantemente dal corpo akasico. Scifo
L‘identificazione ha dunque alla sua base l’enfatizzazione di uno dei fattori in campo e la contestuale perdita di una visione d’insieme: questa unilateralizzazione produce
decodifiche, reazioni, azioni corrispondenti: l’intenzione del sentire viene decodificata ed alterata in virtù dello stato deviato che pervade le materie dei corpi.
Lo stato emotivo, o cognitivo, si affranca dall’intenzione del sentire e genera una esperienza, ed una interpretazione di essa, distorta e particolare.
Questa distorsione è possibile in virtù delle incomprensioni che attraversano l’Io e che sono il riflesso di non piene comprensioni, o di vere e proprie incomprensioni, nel sentire.
Nel momento in cui una disconnessione viene operata, chi la opera?
Un complesso di fattori che attraversa l’insieme dei corpi fino alla coscienza.
La parte più evoluta dell’Io assieme al sentire più consolidato: da questo connubio sorge la volontà necessaria per l’atto della disconnessione.
Non è dunque l’Io da solo che disconnette: essendo identificato gli rimarrebbe difficile.
Non è la coscienza da sola, avendo i suoi veicoli immersi in una unilateralità, incontrerebbe considerevole resistenza.
L’Io non è un monolite coerente ed ottuso, è una molteplicità complessa e mutevole frutto del compreso e del non compreso, dunque è possibile far leva sui suoi aspetti più evoluti, esso è potenzialmente reattivo anche all’interno di una identificazione che vede coinvolte sue ampie parti.
L’intero processo del “conosci te stesso” ha come funzione non secondaria la strutturazione di una immagine di sé complessa, dunque di un Io “evoluto”, di una identità avanzata.
Quella visione di sé sofisticata, è in grado di corrispondere adeguatamente ad intenzioni del sentire più complesse, ad esperienze di sfumature di sentire, come è in grado di costruire narrazioni più elaborate e false, mistificando la realtà a suo piacimento.
Come è evidente, non c’è una linea di demarcazione che separa coscienza ed Io: c’è invece l’evidenza che il secondo è la risultante dei processi interni avviati dalla prima.
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Grazie, soprattutto del fatto che hai compreso perfettamente.
In questi gg sto sperimentando lo scontro tra giganti (le nostre grasse identità che si scontrano perché molto ingombranti): tra il mio ego e quello di una mia cara amica. Questa amica mi sta facendo conoscere Roberta, è uno specchio perfetto.
Siamo due identità bisognose di nutrimento, di amore, di riconoscimento… ed entrambe ci stiamo cibando del riconoscimento altrui che loda il nostro fare (madre di tutte le identità), mentre dovremmo fermarci e ascoltare, osservare, tacere, risiedere in noi stesse.
Lei si ciba delle lodi altrui per ciò che fa, ciò che dice, per il racconto che ha scritto, che ha proposto addirittura come argomento al nostro gruppo del venerdì (un gruppo che discute di temi di varia cultura). Il suo bisogno di essere al centro è forte e ciò mi faceva sentire acredine, ostilità, rabbia nei suoi confronti. E dentro di me la criticavo così fortemente da starci male. Il mio pensiero è stato sempre lì, per giorni. Un delirio. (Ciò mi fa riflettere sulla rigida consistenza della mia identità ferita, invidiosa.) La sensazione è stata proprio quella di un scontro, di sbattere contro qualcosa.
Poi è successo che ho avuto una lite con Giovanni e lui mi ha detto che la mia “sbornia” era ora che finisse. Così mi sono “svegliata”.
E mi sono fermata ad osservarmi, a prendere distanza dalla mia identità famelica e strutturata.
Ho smesso di essere tirata in ballo con il mio ego ingombrante. Mi sono fermata. Osservo la mia amica che soddisfa il suo bisogno di nutrire la propria identità. E non la invidio più. Le ho già detto che il suo racconto è molto bello, ma devo ricordarmi di osservare, tacere, risiedere in me stessa, perché l’identità che è infastidita dall’ingombro altrui ha una grande forza.
E’ una esperienza molto forte e molto istruttiva, credo. E ringrazio ciò che ho imparato da voi.
A Roberta.
Quando la dinamica è così chiara e la consapevolezza dell’ingombro identitario così lucida, la pratica della meditazione, della recitazione dei mantra, della preghiera sarebbero di aiuto.
Non potendo tu fare niente altro sul piano consapevole per evitare che il tuo io domini la scena, puoi però disconnetterlo.
Puoi chiedere aiuto, affidarti a quel principio in te più grande del piccolo io.
L’intervento di Giovanni, in fondo,ad altro non è servito che a dire al tuo piccolo io: stai esagerando!
Ora, tu lo sapevi già che esageravi, ma non riuscivi a fermarti, perché l’identificazione era troppo alta.
Un buon modo per azzerare il loop mentale, è l’uso di un mantra.
Un ottimo modo per non rinchiudersi nella camera a gas della mente, è pregare, ovvero instaurare un dialogo con il sentire in noi..
C’è davvero tanto materiale in questo post…grazie
Grazie. L’argomento è veramente complesso ed il vocabolario non ancora sufficientemente acquisito da parte mia tale per cui devo ancora ruminare e macerare per sperare di comprendere più a fondo. Grazie perché questo materiale mi è utile in tal modo.
Altra grande lezione.