Dice Maria: “La vita mi sta portando ad accelerare i processi identitari ma so che devo rispettare i tempi e il loro svolgersi. Quando affermi: “Se non si diviene consapevoli dei meccanismi che ci allontanano da ciò che in realtà già siamo” sento che parli al mio sentire, quella la feritoia attraverso cui devo passare.
Non so se la mia tensione/spinta verso la condizione unitaria sia davvero autentica ovvero si ammanti a volte di bisogno di consolazione, non posso escluderlo, ma forse non è questo il problema. Sono l’uno e l’altro, ne sono consapevole.”
Il grande e imperituro motto della identità è: c’è bisogno di me, ho del lavoro da fare!
Conoscete qualche identità che toglie il disturbo senza dire: “Peccato!, Molte cose rimangono in sospeso o non realizzate, senza di me non potrai più affrontarle.”
Ora, le questioni legate alla identità hanno urgenze variabili, e vanno affrontate, mai eluse.
Ma, quell’affrontarle, non è alternativo al coltivare la condizione d’Essere: una parte delle energie va spesa per il divenire, un’altra per l’Essere.
La dualità della identità dice: “O l’una, o l’altra!”
Errore grave: l’una e l’altra, perché l’una aiuta e feconda l’altra.
Più il lavoro sull’identità e le sue dinamiche si fa intenso, più deve essere supportato dalla meditazione, dalla preghiera, dalle pratiche spirituali più affini a ciascuno.
So bene che quando una mente scalpita non si riesce a sedere in pace davanti al muro per lo zazen: e allora? Abbiamo mille altre possibilità per disconnettere la consapevolezza dall’agitazione della mente, usiamole.
Quando abbiamo finalmente disconnesso, fermiamoci e coltiviamo la nostra pratica spirituale.
Nel dolore, nel conflitto, o semplicemente nel lavoro ordinario del “conosci te stesso”, la mente va illuminata con la luce del sentire, dello Spirito, se preferite.
Il corpo delle emozioni e degli affetti va inondato col pensiero, col sentimento e con la consapevolezza che l’Assoluto è amore, e noi siamo coloro che sono benedetti da quell’amore.
Nel bisogno chi ci soccorre, chi ci sostiene, se non Dio, l’Amico Fedele?
Bisogna riconoscere il gioco delle menti che sempre contrappongono e generano opposti: come possiamo credere che la via della conoscenza sia alternativa alla via mistica?
Che il conoscere noi stessi vada perseguito separatamente dal coltivare l’unione con l’Assoluto?
Siamo deboli nella pratica dell’unione con l’Assoluto, questo è il nostro problema.
E siamo deboli perché troppe risorse dedichiamo alla sfera identitaria: essa ci assorbe così tanto che poche risorse rimangono per altro.
Ma questo segna la vittoria dell’identità, che così afferma la sua centralità.
Cerchiamo di non cadere in questo tranello, di non farci assorbire oltre il lecito dalle identificazioni e dal lavoro su di esse, dall’analisi del nostro interiore, che è importante, ma non devi divenire un assoluto.
Lasciamo spazio per Dio, per coltivare quel rapporto, per farci portare sulla sua mano, nella fiducia, nell’abbandono, nella consapevolezza che mai nulla è contro di noi ma tutto è per il nostro bene, e per quello di tutti.
Solo in Dio riposa l’anima mia;
(dal salmo 62)
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza,
mia roccia di difesa: non potrò vacillare.
Risiedere nell’essere e divenire è contestuale. Ne sono stupita. È così. Aggiungo che in questa modalità sempre ho la sensazione di essere aiutata. Ho avuto un periodo molto complicato e mai le vecchie logiche identitarie (che ricordo bene) che mi stordivano mi hanno rapita, nemmeno per un secondo. Questo pare un dono senza fine di cui sono immensamente grata (ma già scriverlo è una stonatura…è tutto più semplice di così…)
Letto!
Letto!
Non sento la separazione essere e divenire, sento unità. Vedo questo modo di presentare ciò che ci appartiene piu una didattica che a volte è fuorviante per me o almeno lo è stata nei primi tempi di frequentazione del sentiero.
Avverto come ago della bilancia il sentire quell’equilibrio interiore in cui nulla manca e nulla è di troppo , condizione propizia a tutto compreso il lavoro sull’identità che mi impegna continuamente, il cui frutto ad oggi, ha portato una consapevolezza che non può che essere accolta con l’apertura alla compassione.
Ad Anna
La questione è complessa: quello che a te sembra scontato, per altri non lo è.
In questi post ho gettato in maniera più diffusa il seme della via una e unitaria: starei attento a dire che tutto ciò è ovvio, o fuorviante; da sempre l’umano, nella via spirituale, si confronta con questi temi e le risposte sono le più differenziate.
Tu stessa, una attimo dopo, confermi il tuo lavoro sull’identità, quindi su un polo del duale.
Non è così facile, cara Anna, costruire alfabeti unitari, un sistema di pensiero logico che scavalli le contrapposizioni e conferisca il senso di essere Uno, mai separati da quell’Uno.
È un lavoro molto impegnativo, che compio da tempo, e che in questi ultimi post ho rinnovato: è un lavoro che ha bisogno di interlocuzione, di un ambiente vibratorio adatto perché la sintesi che si produce è frutto di una tensione/ispirazione collettiva.
Apprendo attraverso l’osservazione e la comprensione delle mie dinamiche identitarie. Nel tempo le manifestazioni diventano meno eclatanti, più sottili. Non per questo meno insidiose. Perché faccio più fatica a riconoscerle. Ho sempre più bisogno di spazi vuoti per procedere nell’osservazione. Faccio ancora fatica a concedermeli. Svelare, velo dopo velo, ogni strato dell’identità. Un lavoro che non finirà.
Scrivo offuscato dalla stanchezza. Anche stasera rientrato alle 21. Lo zazen al mattino è in questo perioperio non costante perché mi mancano le energie; ne richiede. Spesso il susseguirsi di immagini, pensieri, emozioni, rende inopportuno usare il termine zazen. Però magari durano poco ma ci sono numerosi tentativi di riallineamento e c’è fiducia e convinzione che sia bene perseverare.
Essere e divenire non li percepisco contrapposti.
Qualcuno direbbe: “essere o non essere. This is the question”.
Oh! L’ho detto che so’ un po’ offuscato e già Morfeo ci sta a prova’; cosa pretendete? 🙂
A Samuele
In zazen conta la disposizione,lo stare lì.
Ogni ritorno a zero è ritorno all’Essere.
Ogni fuga dallo zero è una autodenuncia.
Conta stare lì..
Letto
https://youtu.be/rPr3R3pB8Gs
Letto. Chiarissimo, grazie.
Ho scritto “letto e stampato” e non lo prende perchè mi scrive che è un commento che ho già scritto, per cui ho scritto tutto questo e vediamo se è gradito. Ridondante.
Letto e stampato
Come nel canto: nella tua mano abbandono la mia mano .
” Più il lavoro sull’identità e le sue dinamiche si fa intenso, più deve essere supportato dalla meditazione, dalla preghiera, dalle pratiche spirituali più affini a ciascuno.” Condivido in pieno, mi corrisponde. Non credo che la via mistica sia contrapposta a quella della conoscenza individuale, anzi direi che ne è l’anima, la pregnanza, l’approdo.
In questa direzione qualche giorno fa ho sentito forte la spinta a condividere con i compagni del cammino un mantra che in questo periodo è quello che più mi aiuta a mantenere il radicamento nella Radice. Se ho trasmesso un senso di contrapposizione tra l ‘Essere e il divenire, non ho espresso bene ciò che sento, che vivo.
A Maria
Il tuo dire era chiaro, nessuna contrapposizione tra le due disposizioni.
Come quasi sempre accade, prendo spunto magari da uno spiffero di vento per dire qualcosa che ritengo possa avere una utilità..
Non avverto il Divenire in contrasto con l’Essere: anzi quando le dinamiche identitarie, il rumore del mondo, le relazioni personali occupano troppo spazio sento la necessità di ritirarmi, di cercare la solitudine e il silenzio come se dovessi riequilibrarmi. Avverto che non si esaurisce tutto lì, che quei momenti non mi sono sufficienti. La dedizione più seria all’Assoluto difetta,forse, di pigrizia interiore e di una disciplina debole perché debole è forse la volontà.
Letto!
Chiaro
“..Lasciamo spazio per Dio, per coltivare quel rapporto, per farci portare sulla sua mano, nella fiducia, nell’abbandono, nella consapevolezza che mai nulla è contro di noi ma tutto è per il nostro bene, e per quello di tutti..” un Mantra.
Letto
Chiaro, grazie.
Comprendo a fondo questo post. E’ stato proprio negli anni in cui lavoravo sui processi identitari che ho sentito la necessità indelebile di risiedere nell’Essere. La preghiera, sotto forma di salmo, mantra o lectio (no zazen per le argomentazioni riportate nel post), è stata ciò che mi ha ancorato al Divino in me, che mi ha aiutato a non perdere la bussola nei momenti di maggior sofferenza. Pertanto è vero non siamo scissi tra Essere e divenire: mentre risiediamo nell’essere , diveniamo.