Il condizionamento dell’altro mi svela nelle mie non comprensioni

Prendo lo spunto da questo fatto che ho segnalato: “Nessuno mi farà diventare una non-persona!
La mia tesi è questa: ciò che esprimiamo non è mai frutto dell’ambiente sociale, del condizionamento, ma delle non comprensioni che ci troviamo ad esprimere e a superare.

Per subire un condizionamento, deve esserci in me una non comprensione, altrimenti da che porta entra il condizionamento?

Dove c’è comprensione acquisita, sono vulnerabile? Molto poco. Sono incline alla comprensione e alla compassione, non alla reazione avversa, all’opposizione, al vittimismo, all’aggressione, tutte reazioni che parlano del condizionamento che batte su di una non comprensione.

Nel mio quartiere ci sono situazioni di degrado? Ne sono vittima? Dubito.
Quanti in quartieri degradati svolgono attività nobilissime e generose?
Evidentemente costoro sono sorretti da determinate comprensioni e quell’ambiente sociale le attiva.

Negli stessi quartieri esistono persone che si avvelenano le giornate nell’intolleranza.
Cosa c’è all’origine della loro intolleranza? E se non fossero in quel quartiere ma in un altro, quella intolleranza non avrebbe motivo di manifestarsi?
Non diciamo sciocchezze.
La loro intolleranza non nasce dalle condizioni sociali, dal condizionamento, ma dalle non comprensioni nei loro sentire.
Abitano in quei quartieri perché debbono vedere e lavorare le loro incomprensioni.
Come le persone sorrette da comprensioni, abitano in quei quartieri per poter esprimere il compreso, oltre che per poter condurre ad evoluzione il non compreso residuo.

Il modello antropologico corrente è quello della vittima-carnefice, quanto di più falso esista: ogni persona è nell’ambiente e nelle situazioni più opportune per il conseguimento delle comprensioni necessarie al proprio cammino esistenziale, questa è la realtà piuttosto banale che affiora se si esce da quel paradigma insulso.

Ci piace dire che ci siamo incattiviti in virtù della crisi, dei governi, degli stranieri: non è vero, siamo “cattivi” di nostro, lo eravamo già: il condizionamento ci ha stanati, ci ha tolto la maschera, ci ha permesso di mostrarci per quello che siamo nelle nostre non comprensioni.
In realtà non siamo cattivi, siamo ignoranti, non conosciamo, non siamo consapevoli e abbiamo conseguito limitate comprensioni: questo ci rende ottusi, sovente stupidi, frequentemente insensibili, qualche volta crudeli.

È sbagliato essere quel che si è? Perché mai dovrebbe esserlo?
Veniamo da un secolo dove ci sono state due guerre mondiali, il nazismo, lo stalinismo.
Sono stati accidenti?
O non è stata la dura scuola che i nostri predecessori hanno deliberatamente scelto per imparare?
Non l’hanno scelta deliberatamente, voi dite? L’hanno subita, dite..
Davvero credete che possano accadere cose così atroci nelle vite delle persone senza che la proprie coscienze le abbiano scelte?
Io non lo credo.

Le persone vivono quello che le loro coscienze dispongono: dietro ai fatti grandi e piccoli ci sono sempre delle scelte consapevoli e mai casuali operate dalle coscienze.
Dunque ciò che è accaduto in passato, e ciò che accade oggi è quello che è possibile alle persone che, piuttosto semplicemente, si comportano nei modi a loro possibili.
Da cosa sono determinati questi modi possibili? Dalle comprensioni conseguite dalle loro coscienze.
Se le comprensioni non ci sono, vanno acquisite; per acquisirle è necessaria esperienza, azione, sofferenza per sé e per gli altri..
Ecco le scene dell’oggi, dove le persone manifestano liberamente il loro conseguito e quella che ad alcuni di noi appare anche come la loro “cattiveria”.

Questo è un aspetto della realtà, solo un aspetto: l’altro aspetto è rappresentato dai molti che operano il bene, spesso in silenzio.
Se si guarda solo al primo aspetto non si comprende niente: se si associano i due aspetti si consegue una visione d’insieme.
Il pianeta è governato dalla legge dell’equilibrio, non dal caso: i due aspetti debbono essere equipollenti, oscillano senza fine attorno allo zero dell’equilibrio.

La “cattiveria” è più visibile del “bene”, così è nella percezione delle menti-identità, ma questa non è la realtà, è ciò che appare.
Certo, chi opera il bene forse deve essere più coraggioso nel comunicarlo: in un mondo in cui sembra esistere solo ciò che è comunicato, si potrebbe fare di più su questo fronte.
Ma la comunicazione non è la realtà, è relativa alla percezione del reale, non alla sua essenza: l’essenza è la legge dell’equilibrio dove ciascuno manifesta quel che è, ed ha il diritto di farlo.

Il problema, per tutti noi che siamo mossi da nobili intenti, è:
posso fare meglio, e magari di più, la mia parte?
Ho comprensioni adeguate per migliorare la mia vita e la mia testimonianza?


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21 commenti su “Il condizionamento dell’altro mi svela nelle mie non comprensioni”

  1. Ho riflettuto e rifletto a lungo sui condizionamenti, su quanto io o l’altro “possiamo” e quanto ‘vogliamo”. Gli scontri più o meno sommessi sono all’ordine del giorno, reagire o ingoiare il rospo sono reazioni della stessa portata. Finché non c’è accoglienza non c’è pace. In cammino……

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  2. Chiaro! Il post mi fa riflettere su ciò che tante volte è stato detto, ma non era ancora del tutto compreso in me. In particolare la frase finale ” ..dove ognuno manifesta quel che è ed ha il diritto di farlo” va oltre qualunque apparente distinzione tra vittima e carnefice.
    Nell’ottica della giustizia umana alla prima dovrebbe essere favorito il diritto di manifestarsi, al secondo negato. Uscendo da questo paradigma duale c’è invece il semplice manifestarsi, dove chi ha acquisito più comprensioni non potrà far altro che seguire la propria nota vibratoria di fondo
    – attivandosi, forse, per aiutare chi ha minori comprensioni ad alleviare il proprio dolore o a ridurre la possibilità di procurarne ad altri
    – accogliendo la realtà per quel che è e stendendo su tutto il velo della compassione.
    Messaggio che finalmente inizia a risuonarmi a 360⁰

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  3. Chiarissimo
    La domanda finale che viene posta è quella che accompagna ogni mia giornata la cui risposta mette forzatamente l’identità in secondo piano e alla quale non posso sottrarmi se perseguo l’intenzione e lo scopo della mia vita secondo le attuali comprensioni.

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  4. Scoprire la legge dell’equilibrio e la visione unitaria è stato una rivoluzione che ha prodotto una condizione pacificante, conciliante. Questo però, a tratti ha anche prodotto una certa passività, ringrazio dunque per il monito a poter sempre fare di meglio.

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  5. L’archetipo della vittima e del carnefice e’ uno degli archetipi piu’ diffusi nella nostra cultura. Difficile sradicarlo e proporre una visione unitaria e perfettamente equilibrata. Mi ci scontro continuamente, soprattutto al lavoro. Penso a quante energie sprecate a lamentarsi, piuttosto che a costruire. Ma se questa e’ la scena per me, certo dovro’ farci i conti.

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  6. Mai come in questo periodo della mia vita sto imparando che il condizionamento agisce la’ dove manca la comprensione. Quando questa matura il condizionamento scompare, anche quello più radicato in noi, quello più tenace.

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  7. Il post è chiarissimo. ma secondo me non sta a chi fa il “bene”, dichiararlo, è l’informazione che dovrebbe ricercare queste realtà che esistono e parlarne per aiutare ad educare le coscienze, ma il bene non fa notizia, evidentemente.

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  8. Rileggevo in questi giorni la prime pagine di ”per un mondo migliore, del CF77” e le collego alla tua frase :”Questo è un aspetto della realtà, solo un aspetto: l’altro aspetto è rappresentato dai molti che operano il bene, spesso in silenzio.”

    Cogliere l’intenzione che muove verso quello che si ritiene ”bene”, non e’ una questione banale.
    Se si guarda con attenzione, spesso, dietro azioni anche semplici si nasconde un ego in cerca di appagamento.
    Anche il rispondere a questi post va a sollecitare questa indagine.
    Perche’ lo faccio?
    per farmi bello agli occhi di chi legge o banalmente agli occhi miei?
    perche’ il nostro buon amico ci ha spronato in questa direzione?
    o per dare un altro spunto ad altri fratelli in cammino?

    Direi un miscuglio delle tre e forse altre ancora che non colgo.

    Per cui il processo e’ almeno tre volte utile o almeno due, in quanto mi offre la possibilita’ di andare a vedere quante tracce egoiche o identitarie si agitano tra queste acque.

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  9. L’altro giorno ho accettato un caffè offerto da un amico per fargli piacere. Sapevo che avrebbe potuto turbare il mio equilibrio, non ne bevo da settimane, eppure ho preferito accettare l’invito non tenendo nel giusto conto le conseguenze. La notte successiva l’ho passata quasi tutta in bianco. Il condizionamento dell’altro, seppure nella migliore intenzione, è caduto sulla scarsa consapevolezza della mia meccanica producendone turbamento.

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  10. Sono fiducioso e ho speranza che quello che coltivo qui’ porterà frutto nelle prossime vite…
    Chissà quali altre benedizioni vedrò fra 10 o 20 vite…
    Ne sono entusiasta…
    Sento tutto ciò come un grandissimo dono…
    Le situazioni che mi si presenteranno mi insegneranno e mi faranno evolvere
    Oggi e nel presente nel qui ed ora.

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  11. Mi viene da dire: ho le comprensioni che ho. Adeguate: noooo! Ne vedo i limiti: siiii.
    L’altro giorno dicevo con il giardiniere di una pianta che vorremmo arrivasse al tetto e lui: si piano piano. Ecco mi viene in mente questo, lavoriamo sul non compreso e potremo fare meglio e di più la nostra parte.

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