Sull’amicizia umana e sull’amicizia in Dio

Chi scrive è un solitario, un eremita, qualcuno che ha messo in discussione le radici stesse del paradigma comune a gran parte degli umani.
Nel mondo le persone si dicono amiche, o nemiche, o, magari, indifferenti.

Nel mio mondo interiore queste tre categorie sono vuote di senso, non significano niente.
Nel mio mondo interiore, e di conseguenza e in parte anche in quello del Sentiero contemplativo che da quel mondo è ispirato, quando una persona entra in una relazione di qualsiasi natura non è amica, né nemica, né indifferente: è una creatura di Dio che interpella il compreso e il non compreso in me.
Una benedizione, a volte faticosa, altre no, ma sempre un collaboratore efficace sia che permanga sulla scena pochi minuti, sia che risieda per anni.

Quando una persona arriva nel Sentiero contemplativo, è letta e accolta come una creatura di Dio che cerca la via dell’Unità; essa magari è impigliata in qualcosa, ma, nel fondo del suo essere cerca l’unità, perché questo è il dato distintivo di tutte le creature viventi.
Dopo anni che la persona sperimenta nel Sentiero, non diviene ai miei occhi amica, diviene sempre di più e con evidenza creatura di Dio che Lui cerca e Lui realizza.

In me non scatta l’archetipo transitorio dell’amicizia comunemente in uso, ma opera l’archetipo permanente della fratellanza: scoprire di essere Uno in Dio.

Quando una persona giunge nel Sentiero, la mia identità non gioisce, la mia vita sociale non si arricchisce: un essere di Dio compare nella scena del mio quotidiano e ne tengo conto, mi relaziono con esso nella pienezza della consapevolezza a me possibile, nella dedizione a me possibile e mai uguale di giorno in giorno, perché non sono una macchina ma un umano limitato e fallace.

Per me una persona non diviene mai amica secondo i criteri dell’archetipo transitorio: è sempre un essere di Dio che mi interpella e mi svela e chiede che io lo veda e sia integro in sua presenza. Nei limiti del possibile a me.
È fratello e sorella nel cammino, non mio fratello e sorella, attenzione..
È riconosciuto come il Dio vivente, Colui che è.

Quando una persona si allontana dal Sentiero, io non perdo un amico, un discepolo, non perdo niente, come non ho guadagnato niente quando è arrivata.
Allora una “responsabilità” mi è stata messa dalla vita sulle spalle; ora una “responsabilità” mi viene tolta e a me non interessa, né mi riguarda dove quella persona va, o cosa fa:
queste sono competenze di Dio, non mie.

Ho servito Il Dio che si manifestava nelle sembianze di quella persona finché essa è stata sotto la mia “responsabilità”, continuerò a servire Dio in ogni essere che rimane o che incontro: al centro del mio operare non c’è la mia soddisfazione, o quella delle persone, c’è il vivere l’Essenza di Dio nel vivente che si presenta.

Quel Dio vivente si presenta ad ogni attimo e per me la categoria dell’amicizia non vuole dire niente: esseri di ogni specie si presentano e con essi posso cercare di essere quel che sono: manifestazione del Dio vivente che incontra manifestazione del Dio vivente.
Per me tutti i discorsi finiscono qui.

Non ho interesse per i legami umani, non ho nulla da celebrare, da rinnovare, da consolidare su quel piano che mi è estraneo.
Se voi ritenete che questo significhi essere degli anaffettivi, persone prive di calore e di umanità, pensatelo pure.

Come tante volte ho detto, l’Amore non è una faccenda di cuore, affettiva, è vivere la natura del Dio vivente in sé e incontrare l’altro come Dio vivente, dunque nel sentire.
Tutto il cerimoniale dell’incontro nell’umano, che sembra così interessare tanti, a me provoca solo ripulsa perché è fondamentalmente una pantomima illusoria, una rappresentazione effimera, una recita ipocrita del proprio bisogno di esserci e di essere riconosciuti.

Quando le persone arrivano nel Sentiero, o quando se ne vanno, io non acquisisco amici o li perdo: incontro il Dio vivente che va dove vuole e di certo non chiede il permesso a me.
Fino a quando quelle persone sono nel mio ambito di competenza, con loro spendo tutte le mie energie: non una parola o un gesto vengono economizzati.
Quando quelle persone se ne vanno, non ho più nessuna parola da dire, né alcun gesto da compiere, tutto è già stato compiuto.

Ecco perché sono estraneo agli addii, ai chiarimenti, al “vediamoci un’ultima volta” e a tutto il rituale per me vuoto proprio dei rapporti comuni.
Certo, a volte capita che una persona abbia bisogno di quel rituale: se ho le forze interiori per affrontarlo, mi disporrò alla pantomima, se non le ho cercherò di rimandare ad un altro momento.

Ci sono persone che vorrebbero vivere quel rito per la loro tranquillità interiore: di norma mi sottraggo a queste scene fondate sulla non chiarezza, ritenendo che sia meglio una inquietudine che rimane nel cuore di qualcuno, piuttosto che una pace mortifera.

Comunque, nella mia comprensione del Reale, nessuno entra od esce dalla mia vita, o dal Sentiero: ci è dato di vivere scene condivise nel grande affresco dell’Eterno Presente, chi dunque entra ed esce, chi abbandona e chi è abbandonato?
Sono un operaio nella vigna del Signore ed ogni giorno compio al meglio delle mie possibilità il servizio all’Uno: fatto questo, altro che mi competa non rimane, gli altri sono il Dio vivente e ad Esso rispondono.


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18 commenti su “Sull’amicizia umana e sull’amicizia in Dio”

  1. Il post esprime perfettamente ciò che sento nei rapporti umani: ormai lontane le modalità convenevoli, succede di sentire il distacco/contatto con gli altri come il ciò che è. Questo capisco che nel pensiero comune può apparire asettico e suscitare in me quel sentimento di estraneità al mondo..
    Ma non si torna indietro bensì solo avanti e in quel avanti occorre lavorare sulla presenza che spesso viene disattesa dalle troppe incombenze quotidiane e che al momento non possono più di tanto essere accantonate. Occorre lavorare su essere secchio vuoto per accogliere l’altro e il ciò che porta che è per me.
    Ho conosciuto però quel senso di pienezza in cui l’identità sta al suo posto, non invade la scena e tutto è trasformato portando a compimento il regno di Dio.
    Il lavoro è costante, sempre più sottile e mai terminato…..

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  2. Non so come collocarmi rispetto a quanto esposto in questo post. Esso mette in discussione molti modi, atteggiamenti, abitudini nella relazione. Non mi sottraggo a questa messa in discussione, ma ho bisogno di tempo per elaborare questi concetti e soprattutto per osservarmi nelle relazioni con i cosiddetti amici e valutare quanto esse siano condizionate dai bisogni dell’identità.

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  3. Capisco quello che dici. Non sono pero’ nella fase che descrivi anche se nel tempo la.mia considerazione sulle relazioni e l’amicizia in particolare e’ cambiata molto. Ancora c’e’ da lavorare

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  4. Il tuo sentire credo che presupponga un’avanzata liberazione dai lacci identitari. Non mi sento così libera da aderire completamente al tuo sentire riguardo ai legami, materia per me quanto mai attuale, ne avverto una maggiore complessità nei cui meandri molte volte mi perdo. Non sempre ho quel distacco in grado di farmi vedere l’insieme di cui il particolare è parte, mi sento invece più coinvolta specie nei legami più prossimi che avverto come costitutivi. Non per questo me ne dolgo, vivo dinamiche meno lineari, direi più viscerali, o femminili se vuoi, dinamiche a volte dolorose, faticose, da queste devo imparare per andare oltre, siano benedette.

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  5. Nella tua descrizione colgo l’essenza del terapeuta, di colui che si pone al servizio, che può apparire anaffettivo allo sguardo superficiale, ma quando lo avvicini riesci a sentire che comunica ad un livello così profondo che senti a tua volta cambiare la tua propria vibrazione. Meglio di così ora non riesco ad esprimermi.

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  6. Non credo nell’amicizia intesa in senso lato, ma sento quanto siano ancora importanti per me alcuni , pochissimi, legami, estranei comunque ai rituali consuetudinari.Questi legami mi hanno aperto la strada verso la comprensione di me, verso l’apertura di cuore e mi sono stati e mi sono di grande aiuto quando sono in difficoltà.

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  7. Mi i terrogo su quanto anche io sia di natura un solitario, un eremita. Ci sono elementi che risalgono all’infanzia e non solo, che mi inducono a considerarlo.
    Direi una interpretazione delle relazioni molto liberante ed autentica.
    Che fatica l’amicizia quando diventa dovere di mantenere relazioni che magari a te non interessa coltivare in quella fase… che sensi di colpa, di inadeguatezza, che condizionamenti e che logorio tenere in piedi la pantomima che spesso poi si riduce ad organizzare qualche cena durante l’anno.
    Vero è anche però che i legami contano. Penso ad es. a quelli di coppia, quelli parentali, il sapere che è possibile incontrarti Roberto per un colloquio. Sono importanti i nostri rituali costituiti dai diversi tipi di incontri.
    Legami che come è noto non devono essere legacci ma che in qualche modo esistono da qualche parte nel nostro interiore e che rendono la scomparsa dell’altro dolorosa, per affetto e per tante altre ragioni probabilmente.
    Insomma, difficile aderire fino in fondo al tuo esposto, anche per me che forse sono un orso e sento un forte richiamo nelle tue parole.
    Restano in fondo delle domande: come salvare il valore dei legami? Quando un legame inizia e quando muore? Non possiamo certo dire che un legame non abbia valore. Tu stesso dici che vivi fino in fondo quella relazione finché è presente nella tua scena. E se una telefonata bastasse per far restare sulla scena qualcuno?
    Mah, vedo che sono andato sul mentale e me ne scuso. Non cancello perché può risparmiare fatica ad altri.
    Il post ha un significato chiaro e non ha la pretesa credo di costituire una trattazione totale del tema dell’amicizia e dei legami.

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  8. Come sapete è da alcuni mesi che il tema dell’altro mi impegna. Qualcosa non mi tornava, molto mi faceva soffrire. Adesso forse ho compreso e mi pare di avere pace e chiarezza. Le identità sviluppano danze e balletti propri che a un certo punto diventano insopportabili pur nella compassione per l’essere umano che le ha generate. Oggi posso dire questo: l’Amore è altro dalle danze identitarie che pur nella danza trova manifestazione. E per quanto mi riguarda, dovendo ancora fare i conti continui con la mia identità, quello che mi salva è il dosare, dosare le danze. Se rimango troppo nella danza identitaria sento stanchezza

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  9. Parole che fino a non molto tempo fa , avrei faticato a comprendere, mentre ora ne colgo il respiro libero e non condizionato. Certo non sono pronta a lasciare quei rituali, archetipi transitori a cui accenni. Non ho la chiarezza che hai maturato tu, ma certo mi aiutano a meglio definirla.

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  10. I legami veri sono quei legami che si hanno durante la scena in atto
    Mentre si è nell’ologramma
    Bisogna cogliere come opportunità quella scena quel momento per stare nell’essere
    Nella presenza,bisogna dare il massimo in quel preciso istante in cui abbiamo la possibilità di relazione con quella determinata persona… tutto il resto non conta

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