Fa’ che possa aver fame e sete di Te

Tiepido è il fuoco interiore della nostra fede.
Paurose sono le nostre identità.
Viene il giorno, nel cammino interiore di una persona, in cui essa ha fame e sete di Te.

Prima di quel giorno, essa è tiepida e immersa nella priorità dei propri bisogni, il soddisfacimento dei quali – materiali, o psicologici, o spirituali – le basta.

Quando essa non si basta più, allora può accadere che sorga quella “fame e sete di Te”, qualcosa che non appartiene alla categoria dei bisogni – essendo questi iscritti nella sfera dell’identità – ma all’impulso che proviene dal sentire e che si fa ogni giorno più forte: è il richiamo della Sorgente.

Prima di questo momento, la persona non è ancora nata alla vera esperienza spirituale, è ancora nella notte che precede l’aurora.
Quando l’aurora giunge, il richiamo dell’Essere si fa urgente ed assume priorità su tutto il resto.

Scrivo queste parole cercando di preparare il terreno per il futuro ciclo di meditazioni del Sentiero, da novembre prossimo all’estate 2020.
Il Sentiero, almeno quello guidato da me, ha esaurito la sua funzione formativa nella sfera prettamente identitaria, questo l’ho affermato più volte: il Sentiero sperimentabile con me è quello accessibile “a chi ha fame e sete di Te”.

L’affamato e l’assetato non vanno per il sottile e non perdono tempo dietro ai dettagli di lana caprina: hanno una priorità, un richiamo forte, un fuoco che arde e sono disponibili ad assumersi le responsabilità necessarie, e a pagarne il prezzo conseguente.

Un affamato, un assetato di Dio può essere tiepido?
No, evidentemente.
Può avere paura?
Sì, ovviamente, ma impara a gestirla e a superarla.

La questione non riguarda l’esercizio di questa o quella pratica meditativa, dove una può essere affine ad una certa personalità, e l’altra più lontana, non è questa la questione, soprattutto nel momento in cui le varie pratiche personali sono tutte contemplate ed autorizzate: il fuoco che arde, o che non arde, questa è la questione.

Se il fuoco arde, esso chiede e impone una pratica che permetta di risiedere nel “ventre di Dio”; se il fuoco langue, allora si fa fatica a piegarsi ad una pratica.

Ecco allora che, mentre ci apprestiamo ad entrare in questa immersione nell’esperienza meditativa che ci accompagnerà per un bel tratto di strada, ciascuno è invitato a curare il proprio fuoco interiore, la propria adesione alla Sorgente: da questa sorgeranno le risposte di fondo e la giusta determinazione personale.

Nessuno, cara Mariella, può aiutarti quando sei immersa in un mantra che non finisce mai, o in una sessione di zazen in cui la mente non si placa, nessuno può aiutarti, non c’è ambiente vibratorio che ti sostenga efficacemente in quel momento: sei sola e devi decidere a chi e a cosa offrire la tua vita.
E lo devi decidere mille volte, non una. Da sola.


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catia belacchi

E’ come dici, ma per alimentare il fuoco occorre anche mantenere accesa la fiammella che, col tempo , nella dedizione , poi si alimenta da sè

Alberta pucci

La pratica meditativa fa parte della mia vita, non so quanta tiepidezza o fervore ci sia in questa, ma la perseguo senza costrizioni in assoluta liberta’ e fiducia.Saro’ in grado di affrontare il cammino che ci attende? Vedremo! Di certo non mi allontanera’ dalla Sorgente

Roberto DE

Ho ben presente quel fuoco in ambito Cristiano quando da ragazzo frequentavo una Carismatica . Furono esperienze molto forti in cui sicuramente una componente emotiva era ben presente . Ma ricordo l’esigenza della preghiera , della meditazione : era diventata preghiera tutta la mia vita . E ciò che mi ardeva dentro faceva sprigionare calore all’esterno inevitabilmente . Quando sei fuoco irradi . Non c’è altra strada . Cambiano le modalità di approccio alla sorgente , o i canali che ci aiutano a mantenere quel fuoco . Non so se questo sia il più appropriato ai miei percorsi di conoscenza , ma questo c’è ora e vale la pena percorrerlo.

Paolo Carnaroli

Cos’è per me questo fuoco? È la potenza sprigionata dal sentire l’ancoraggio.
Nella meditazione di questa mattina provavo a comprendere la natura del mio percorso di Metamedicina (di cui sto facendo in questi giorni un seminario). La dimensione dell’ascolto e dunque dell’accoglienza è centrale per poter poi eventualmente dire una parola efficace per l’altro, perché possa conoscere qualche aspetto di sé che non vedeva. Ho sperimentato con forza che se mi faccio secchio vuoto posso ascoltare con leggerezza e si sprigiona l’intuizione. Se domina la mente, seppure tenuta sgombra da pensieri con la volontà, il senso di pesantezza è fortissimo e non nasce nessuna parola efficace: mi sentivo un notaio. Come faccio a farmi secchio vuoto? Automatica l’associazione con il cammino nel Sentiero e di cosa produca. Ho sentito dentro di me nascere un cavo d’acciaio titanio, diventava sempre più grande, come un tirante di un enorme ponte, mi collegava al centro della Terra e vi era un enorme gancio che fissava l’ancoraggio. Il cavo proseguiva verso il cielo e non vi era fine. Tutto il corpo era occupato da tale cavo, io ero cavo ( pieno). Non vi era pesantezza ma potenza. Il cavo era canale energetico, non statico seppure fosse fermo. Adesso che ci rifletto posso anche usare l’espressione che sprigionasse un fuoco. L’Essere è il protagonista, il fuoco corrisponde a quello che in Fisica è la resistenza nel passaggio di energia elettrica. Energia che si disperde lungo il percorso. Il fuoco non è mio….

Adesso scusate ma la neuro sta bussando

Maria Balducci

La fame e sete di Dio hanno accompagnato la mia esistenza seppure con intensità e qualità variabili. Da ragazzina probabilmente vivevo quel richiamo come sublimazione, cercavo di lenire la sofferenza in una dimensione altra in cui respiravo, non dando particolare attenzione ai miei bisogni perché semplicemente non li vedevo o non volevo vederli. Crescendo ho compreso che quel richiamo aveva bisogno di incarnarsi nella mia vita, nei corpi di cui dispongo, non potevo continuare ad ignorare me stessa, i miei bisogni, magari cercando di lenire quelli degli altri, ma dovevo passare attraverso il loro ascolto per potermene gradualmente liberare. Questo chiaramente è un processo non un esito. Posso dire che quella fame e sete è un richiamo all’accoglienza dei bisogni per andare oltre me ogni giorno un poco di più.

Luca

Se Dio ti chiama per stare con lui esiteresti?
Risiedere in Dio è diventato un impegno? Una faccenda da sbrigare?
Qualcosa che ti imprigiona?
Risiedere in Dio è un dovere da aderire?
Risiedere in Dio è libertà.

Samuele

Il fuoco di cui si parla non credo sia quello della passione, ovvero quello afferente al corpo emotivo. Quello ha natura volubile, questo credo sia di natura più profonda ed intima, afferente la coscienza. Forse questo fuoco designa la forza con cui la coscienza fa sentire la sua spinta. Tanto più forte quanto meno offuscata dalla sfera dei bisogni. Ma soprattutto forse tanto più forte quanto è strutturato ed ampio il piano akasico disponibile. Che posso farci io? Che voglio farci io? Giammai millantare fiammella per fuoco, giammai sentirmi in colpa per l’intensità della fiamma o fiammella che sia. Utile ed importante la chiarezza con cui la strada ci viene indicata. Per il resto la chiamata c’è, più o meno forte, più o meno oscurata dai bisogni. Una chiamata che oggi sembra più un sussurro intimo anziché un fuoco. Ad integrare una scorreggia (che so che alcuni di voi ancora fanno, poveri peccatori) ed una preghiera ascetica in Unità carica di senso. Scusate il termine “ascetica”.

Elena

Non so se ho o non ho tiepida fiamma e fuoco ardente e nemmeno mi interessa. Sento che questa è la strada e la percorro. Oggi sento così e così porto tutta me stessa, pienamente e con una qualche leggerezza (non è la parola giusta…forse fluidità è meglio).

Natascia

Il dubbio si insinua sovente. Sarò adeguata? Sarà una tiepida fiamma o fuoco ardente? Mi sostiene la fiducia che colui che tutto ha creato, non può aver pensato all’uomo senza avergli dato gli strumenti per percorre il Cammino della Consapevolezza. Ed anche se con tempi diversi, propri di ognuno, di lì dobbiamo passare.

Roberta I.

Non so quanta fame e sete ho di Dio, mi interrogo su questo, perché voglio essere onesta con me stessa e con i miei compagni di cammino. E’ diverso tempo che sento una certa stabilità interiore e forse ciò rende il richiamo dell’Essere meno evidente. Forse mi sono adagiata sugli allori, non so. È come se l’Essere fosse ormai esperienza ordinaria, ma forse è solo cognizione mentale, qualcosa che so: non c’è altro, cosa posso cercare di più? L’identità continua a cercare, ma sempre so che cerca per sfatare illusioni. “Padre abbi pietà di me”, invoco in quei momenti.
“Quando l’aurora giunge” dici ” il richiamo dell’Essere si fa urgente ed assume priorità su tutto il resto”. Mi sembra che ci sia solo quello e tutto il resto in esso è compreso. Ma, ripeto, potrebbe essere solo cognizione mentale e come tale, aggiungo, una trappola enorme. La discriminante, credo, è l’amore. Quanto amore c’è nella mia vita, quanto amore mi muove, nelle scelte, piccole o grandi che siano. Ecco, mi è più facile identificare quel richiamo, il richiamo dell’Essere, come richiamo all’Amore. Chiedo che l’Amore plasmi la mia vita e nello stesso tempo ne ho paura. E’ lì, qui, ovunque, che preme e mi si presenta tutti i giorni sotto forma di richieste da parte di questo o di quello, ma c’è ancora resistenza. Certo, Dio bussa costantemente alla mia porta e no, non posso dire di aver aperto.
Non mi rimane che pregare. Prego di essere all’altezza del cammino che ci attende e prego di essere in grado di riconoscere se il mio fuoco è sufficiente per proseguire in esso degnamente.

Anna

Da qualche tempo ho iniziato una pratica meditativa anche se non sempre costante. Un atto di volontà che ripaga mille volte tanto. È giunto per me il momento di coltivare questo campo!

Luciana

“Ciascuno è invitato a curare il proprio fuoco interiore, la propria adesione alla Sorgente: da questa sorgeranno le risposte di fondo e la giusta determinazione personale”
Non trovo migliore commento!

Nadia

Vedremo dunque, di che pasta siamo fatti…

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