L’Amore si rivela appena oltre sé

“Ama il prossimo tuo come te stesso”: sono queste le parole del Maestro che in questi giorni mi risuonano. Condizione imprescindibile: amare il prossimo passa attraverso l’amore per sé. Amore per sé che è legato all’accettazione di sé, alla resa, al “sia fatta la Tua non la mia volontà“, all’uscita dal circolo vittima carnefice, alla cessazione della lamentela...

1- È lo Zazen la via che aiuta a portare a questa condizione, o questa condizione deve precedere il sedersi in meditazione affinché essa porti i suoi frutti?

2- E se lo Zazen è in sé uno stare che dovrebbe essere privo di scopo, non dovremmo affidare allo Zazen alcun significato “terapeutico“ pena la protesta e la sofferenza di uno stare con un significato diverso da quello per cui questo tipo di meditazione ci si propone.

3- Nei giorni in cui la mente è identificata in mille problemi personali , non facciamo attenzione al prossimo perché in prima istanza non facciamo attenzione a noi.

4- La mente è identificata con i problemi e il lamento assordante toglie quella capacità di “osservarsi e di osservare“ che precede poi una serie di azioni fra cui il perdonarsi, l’accettarsi e l’autorizzarsi.

5- Il sedersi in meditazione aiuta a disconnettere ma certo è che arrampicarsi su una parete con uno zaino pieno di pietre è molto più pesante che farlo sgombri da pesi. Mi chiedo quanti di noi in cammino possono definirsi in pace con sé stessi al punto da poter diventare strumenti di dono e di amore nei confronti del prossimo. E quanto diversa possa essere la pratica dello stare davanti ad un muro con una consapevolezza del genere… Roberto d’E. (la suddivisione in paragrafi è mia)

L’amore (e non distinguo tra amore per sé e per il prossimo) sorge come frutto e dono delle comprensioni conseguite, del sentire realizzato che intesse il corpo akasico.
Molte volte ho detto che l’amore non è quello che l’umano reputa tale, cercherò di fare un esempio per chiarire questo ulteriormente.

Voi sapete che l’umano ha sette corpi e a ciascun corpo corrisponde un livello di coscienza.
Sapete anche che l’esistenza di una individualità può avvenire in altrettanti piani di coscienza: si può avere come corpo più denso quello fisico, oppure quello astrale, o quello mentale, quello akasico, o uno dei tre spirituali.

Sapete anche che ogni individualità incarnata nel piano fisico, gode dell’assistenza dei livelli di coscienza più profondi, propri, o appartenenti all’isola akasica di cui è parte.

Sapete infine che ogni coscienza individuale è la risultante di innumerevoli fusioni, e dunque bisognerebbe dire non la “mia coscienza, ma la “nostra coscienza”: siamo coscienze plurali.

Vi chiedo: come mai quando facciamo, come coscienza/identità, una fesseria, tutto questo collettivo di disparati livelli vibrazionali e di sentire che ci costituisce, non interviene in nostro soccorso evitandoci la fesseria?

Non siamo nel Cosmo e dal Cosmo amati?
I livelli più profondi della nostra individualità non conoscono l’amore, e la pietà?

Voi conoscete bene la risposta, sapete che questo essere che chiamiamo col nostro nome, altro non è che una rappresentazione, che i livelli più profondi dell’individualità mettono in atto, di elementi più o meno ampi del sentire con i quali hanno necessità di confrontarsi, per chiarificarli, affinarli, completarli, comprenderli.

Questo lavoro di comprensione viene fatto proiettando il film, l’ologramma che noi chiamiamo vita.
Quando noi stiamo per compiere una fesseria nel film, nessuno ci soccorre.
Dunque nessuno ci ama?
Perché, essere amati è essere soccorsi?
L’umano pensa, e ne è ampiamente convinto, che essere amati significhi essere soccorsi, aiutati, e chiama questo aiuto amore.

L’umano confonde il suo tirocinio dell’amore con l’Amore, il mezzo con il fine.
L’aiuto ha a che fare con l’egoismo, con l’egotismo, con la centralità di sé tante volte patologica e con il suo superamento.
Superata quella centralità, si scopre che l’amore è già lì e che può declinarsi ora come aiuto, ora come rifiuto ad aiutare.
Dunque l’amore non si impara, si scopre.
Quello che si impara, di comprensione in comprensione, è l’andare oltre la centralità di se stessi.

Se si supera la focalizzazione su di sé, si è già nell’amore e si provvede per il bene dell’altro, senza sostituirsi ad esso.
Finché siamo ego-centrati, l’altro non lo vediamo; come superiamo quella nostra centralità, l’altro appare e noi lo serviamo, a volte porgendogli una mano, altre astenendoci dal porgliela, altre ancora dandogli un “ceffone” e questo affinché il suo film possa avere il corretto e necessario svolgimento.

Non chiedetemi, per favore, come fate a sapere quando aiutare e quando astenervi: ve lo dirà l’Amore, e, se equivocate, pazienza, riproverete.

Tutti coloro che nel mondo sono impegnati in mille opere di bene, stanno compiendo il loro tirocinio per andare oltre se stessi, stanno imparando a scoprire l’Amore oltre il velo di sé.

Coloro che conoscono l’Amore e da esso sono guidati, non sono visibili agli occhi del mondo, e il loro aiuto, o non aiuto, è esistenziale e spirituale.

1- È lo Zazen la via che aiuta a portare a questa condizione, o questa condizione deve precedere il sedersi in meditazione affinché essa porti i suoi frutti?

La persona che si siede in meditazione, zazen o qualunque essa sia, è più o meno frammentata, o più o meno unita: siede in quel-che-è.
Non ha alcuna importanza, non è prevista alcuna condizione per sedere.
Decidere di sedersi è decidere di andare oltre sé, oltre il velo, è sedersi nell’unità, nell’Amore.

Non conta se sei in pace; se sei nemico di te stesso; se hai un conflitto con il prossimo: non conta niente, conta solo la decisione di sedersi-oltre-sé.
Non conta cosa affiora durante lo zazen, sappiamo come gestirlo e quì non lo ripeterò, conta l’intenzione: sedersi-oltre-sé.

Il gioco delle parti è chiaro: l’intenzione è di sedersi-oltre-sé, l’identità introduce le sue scene che velano l’intenzione, la intorbidano, la confondono.
Hai davanti agli occhi chiara la rappresentazione:
Essere/Amore
Identità e suoi movimenti.

Tutto è presente e tu scegli ad ogni respiro a cosa dare spazio e preminenza. Non c’è altro.
Scegli e ti assumi la responsabilità: non ti aiuterà nessuno.

Andrai oltre aiuto/non aiuto; disturbo della mente/non disturbo; duale/Essere.
Proprio perché sei seduto-oltre-di-te, puoi vedere il gioco delle parti e non assumere il patrocinio di esse, dell’una o dell’altra.
Non assumendo patrocinio, lascerai che sia l’Amore a condurti.
Lascerai che la Vita accada e smetterai di controllare, di finalizzare, di cercare scopo: smetterai di esserci come soggetto, sarai oltre l’amore per te e l’amore per Dio – espressioni che non significano nulla fuori da una dimensione didattica – e, semplicemente, sarà la Vita.

Caduti tutti i veli, passato che sarai per molte fasi, infine sarà solo l’Amore, solo lo Stare, solo lo Zazen.

Alla seconda questione credo di aver già risposto.
3- Nei giorni in cui la mente è identificata in mille problemi personali , non facciamo attenzione al prossimo perché in prima istanza non facciamo attenzione a noi.

Direi che non vediamo il prossimo non perché non vediamo noi stessi, ma perché prestiamo eccessiva attenzione alla parte sbagliata di noi.
In quei frangenti, semplicemente, abbiamo dimenticato chi siamo, e siamo tutto quello di cui ho parlato finora.
Identificati con le nostre menti/identità, ci siamo smarriti.

4- La mente è identificata con i problemi e il lamento assordante toglie quella capacità di “osservarsi e di osservare“ che precede poi una serie di azioni fra cui il perdonarsi, l’accettarsi e l’autorizzarsi.

Se non c’è identificazione, non c’è problema; se c’è identificazione, c’è sempre problema.
Oltre-di-sé non c’è nessuno da perdonare, ma per giungere oltre-di-sé può essere necessario che l’identità perdoni se stessa.
Il perdono, l’accettazione, l’autorizzazione sono tutte dinamiche intra-identitarie.
In una certa fase necessitano di un processo; in un altra fase, basta sedersi-oltre-sé.

5- Il sedersi in meditazione aiuta a disconnettere ma certo è che arrampicarsi su una parete con uno zaino pieno di pietre è molto più pesante che farlo sgombri da pesi. Mi chiedo quanti di noi in cammino possono definirsi in pace con sé stessi al punto da poter diventare strumenti di dono e di amore nei confronti del prossimo. E quanto diversa possa essere la pratica dello stare davanti ad un muro con una consapevolezza del genere…

Credo di aver risposto: si siede dentro-quel-che-è.
Cancellerei indelebilmente da ogni livello del mio essere questa affermazione:
Mi chiedo quanti di noi in cammino possono definirsi in pace con sé stessi al punto da poter diventare strumenti di dono e di amore nei confronti del prossimo. E quanto diversa possa essere la pratica dello stare davanti ad un muro con una consapevolezza del genere…
la cancellerei perché è infarcita di affermazioni pericolose per una sana vita interiore e spirituale.


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Mariella

Letto e riletto, ma mi pare di capire che tante riflessioni e ragionamenti possano finire per diventare delle masturbazioni mentali. Almeno così le sento per me. A questo punto del nostro percorso è sicuramente più utile farsi meno domande e sedersi davanti al muro bianco, sapendo che la Vita farà, che una risposta sorgerà, che un’indicazione si svelerà.

catia belacchi

Personalmente, quando sono coinvolta nel dirimere questioni identitarie fatico a fare zazen perchè la mente la fa da padrona, ricorro allora alla preghiera che è un balsamo per tutti i corpi.

Alberta pucci

Grazie

Luca

Letto

Antonella

Grazie

Maria Balducci

Grazie, a Roberto O. Per la chiarezza con cui esprimi passaggi complessi ma cruciali, a Roberto D. Per aver manifestato se stesso permettendo a tutti di far luce .
Il richiamo alla casa interiore possa risuonare in noi incessantemente.

Nadia

Si, grazie.

Samuele

Grazie

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