Il binomio pratica meditativa/cambio di paradigma (Appunti)

Commentando Nadia questo post: La necessità di uscire dall’assurda logica di assoluto e relativo, afferma: Capisco il ragionamento ma lo trovo macchinoso! L’esperienza dello zazen produce silenzio di Sé, silenzio in cui poter agganciare quella vibrazione, consapevolezza, che permea l’universo.

Rispondo con un altro commento: Capisco l’osservazione. Lo zazen è l’esperienza.
Questo ragionare è il cuneo che si inserisce nella mente. Quando ti alzi da zazen devi trovare una mente che opera secondo altre logiche altrimenti ti ritrovi fratturata.

Al Lettore.
I post di questa fase sono come il ferro incandescente sotto la mazza del fabbro: più il fabbro batte, più il ferro si modella. Chi scrive questi post non si cura della forma, ha l’urgenza di fissare ciò che sorge dall’intuizione e non si ferma per smussare e levigare, questo appartiene a una fase futura.

Nella sostanza dice Nadia – e immagino diversi altri con lei: “Perché mettere di mezzo la mente e il suo ragionare quando l’esperienza ci permette l’accesso a questo condizione unitaria?”
Le rispondo: perché non stai sempre in zazen; quando devi rispondere a una figlia, a una difficoltà, a un processo faticoso usi il programma che gira nella mente, quello si fa pressante e lo sperimentato unitario in zazen diviene secondario.

La pratica di zazen ha senso se aiuta anche a cambiare il programma che gira nella mente, il paradigma di riferimento, altrimenti, come Nadia sa, può essere lo scaldotto per i giorni di freddo, o poco più.
Altrimenti facciamo come quelli che hanno in antipatia i grandi monopolisti come Microsoft e sui loro PC usano tutti programmi open source, ma il sistema operativo rimane Win 10: per essere coerenti e lontani dal monopolista dovrebbero passare a un altro sistema operativo, Linux ad esempio.

Ma per operare in Linux bisogna studiare ed esercitarsi perché non è come Win 10, è un altro mondo: ecco allora che tanti, pur protestando contro il monopolista, ma non volendo studiare, finiscono per esserne ineluttabilmente condizionati.

Nel Sentiero abbiamo imparato che è possibile l’esperienza diretta dell’Essere, ma questa è solo una parte di quello che dobbiamo imparare: ora dobbiamo disattivare il sistema operativo che opera ferialmente nelle nostre menti, che è il mezzo di decodifica che comunemente usiamo per leggere il cosiddetto reale.

Abbiamo compreso, in passato, che non esiste la nozione di vittima; che non esiste il caso; che tutto è perfetto così come è.
Ora dobbiamo apprendere che la Realtà è una e mai è divenuta due: questo richiede uno sforzo, un’opera mille volte più grande di quella passata.
Ci impone di entrare in ogni piega del presente, vedere il paradigma convenzionale e disattivarlo mentre opera in ogni istante dell’operare quotidiano.

Abbiamo detto mille volte che la disconnessione pura e semplice può essere strumento prezioso quanto pericoloso: perché si può tradurre in rimozione.
Affinché non sia rimozione è necessario che si vedano lucidamente le logiche che governano l’interpretazione del reale e si sia in grado di dubitarle efficacemente.

Un fiore non è Dio: il fiore è il fiore e Dio è Dio, dice la mente.
L’esperienza del contemplativo dice: il fiore è ciò-che-È. Dio è ciò-che-È
Facile, fin qui.

Poi ti si ammala un figlio e la mente si scatena e il ciò-che-È finisce tra le ortiche, perché il programma di fondo riemerge con prepotenza.

Nello zen, per plasmare il programma di fondo praticano una enormità di zazen e si immergono nel paradigma buddhista, ma lo strumento/atto principe è lo zazen.
Un occidentale non è disposto a praticare quattro ore di zazen prima di andare a lavorare: come si può allora lavorare il programma in lui?
Anche con la logica, unendo pratica e nuova logica, nuovo modo d’interpretare l’esperienza.
Cose dette molte volte.

Allora: il fiore è ciò-che-È. Dio è ciò-che-È.
Per poter affermare questo debbo, necessariamente, uscire dalla logica di relativo e assoluto:
il fiore non è né relativo, né assoluto. Dio non è né relativo, né assoluto; non mi interesso di Dio.
Voi credete sia un caso che il Buddhismo non si interessi di Dio?

Se mi interesso di Dio sono già nel due, ma non posso non interessarmene affermando: “Che mi frega a me di Dio!” Per non interessarmi di Dio deve aver compreso qualcosa del reale che mi permette di non distinguere più tra me e Dio, di andare oltre me e oltre Dio.

È il pensiero unitario. Questo non tratta né di me, né di Dio, tratta del Ciò-che-È.


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Luana D.

Grazie.

Roberta I.

“Ora dobbiamo apprendere che la Realtà è una e mai è divenuta due: questo richiede uno sforzo, un’opera mille volte più grande di quella passata.
Ci impone di entrare in ogni piega del presente, vedere il paradigma convenzionale e disattivarlo mentre opera in ogni istante dell’operare quotidiano.”
Indubbiamente quello sforzo è necessario.
Grazie

Mariella

Quanto aiuta la capacità di leggere i simboli nei fatti che accadono per rompere il vecchio paradigma?

Nadia

Letto e riletto diverse volte. Difficile un commento. Si avverte che è stata inserita una marcia in più.

Catia belacchi

È vero quotidianamente, senza quasi accorgercene cadiamo nel vecchio paradigma dove si riaffacciano mente ed emozioni soprattutto quando siamo di fronte ad una grossa difficoltà, come l esempio che tu facevi.
Non so se sarà senza dolore accettare il ciò che è, in un caso come tu hai citato.
Poi affermi che separare sé e Dio appartiene alla logica duale, vero, ma se parlo dell Essere che scopro in me, se l Essere è Dio, come faccio ad essere nel duale? In quel momento non sono nell unità?

uma

A Catia
Sì, sei nell’unità.
Quando dico di non interessarsi di Dio intendo dire di non lasciarsi catturare da tutta l’indagine esoterica su Dio, sul reale e quant’altro.
C’è uno spazio per questa indagine, e noi l’abbiamo frequentato, ma poi bisogna anche abbandonarlo perché è improduttivo.
Genera un quantità di pensiero tanto grande quanto inutile.
Comprese alcune cose di base, ci si concentra sul lavoro di ogni momento e si lascia da parte la speculazione.

Anna

Cambiare programma implica lavoro, osservazione, attenzione continua.

Ogni accadimento al vaglio del paradigma nel momento in cui accade o in una frazione immediatamente successiva se l’accadere può essere osservato con sguardo distaccato.

È questo il cammino, questo il lavoro, questa la direzione in cui a volte con maggiore a volte con minore attenzione insieme ai limiti che si evidenziano provo a percorrere.

Grazie

Natascia

Come la goccia, giorno dopo giorno, scava la roccia, le parole che leggo ogni giorno, mi aiutino a rompere il velo dell’illusione.

Luca

Mi accorgo che più sto nel presente e più entro in una dimensione che è al di fuori della logica della mente…
Come una spia che si accende di continuo identificazione dietro identificazione
Per esempio:
Rimane sempre accesa la spia verde e quando si accende quella rossa ( dell’identificazione ) mi risposto su quella verde.

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