Se affermo che il pensiero è uno strumento, chi non condivide?
Se considero le emozioni e le sensazioni qualcosa che sorge da questa unità di consapevolezza che porta il nome che definisco mio, anche in questo caso in diversi saremo d’accordo.
Pensiero ed emozione contribuiscono a creare l’immagine di me, ma se non fossero pervasi del principio che tutto fonda, il sentire di coscienza, nulla sarebbero se non possibilità senza scopo.
Da molto tempo, ormai, entrambe queste sfere d’esistenza sono divenute accessorie.
Il centro dell’esistere non ha il fuoco in esse, ma altrove.
Altrove risiedo.
Per interfacciarmi con l’esistente umano non posso non usare il pensiero e i suoi strumenti, ma da molto molto tempo vivo un logoramento: l’interfaccia del pensiero crea spesso, non sempre, una frattura e questa mi logora.
Solo quando il pensiero è emanazione diretta del sentire non c’è frattura, sebbene ci sia un diverso tipo di logoramento, quello dei corpi transitori sottoposti a una alta vibrazione.
Ma le relazioni non sempre, o raramente, permettono di liberare quella dimensione vibratoria.
L’altro giorno ho pubblicato questo post e mentre scrivevo l’unita era perfetta:
- chiaro il centro d’irradiazione
- chiara la funzione esecutiva dei veicoli
- pochissime interferenze sebbene fosse un tema sensibilissimo perché intimo.
Negli anni, nel Sentiero, molte e molte volte è accaduto qualcosa di simile e sempre è stata una meraviglia.
Quali sono le condizioni perché questo accada?
Che l’ambiente vibratorio sia allineato con il Centro irradiante, che le intenzioni siano univoche.
Intenzioni univoche.
Questione centrale nella relazione a certi livelli.
Indispensabile per me.
Le altre relazioni sono fondamentalmente rumore.
Nella distanza siderale dal mondo, nell’assenza di interferenza, si compie il progetto di una vita:
tacere, stare, ascoltare, osservare.
Queste le condizioni per il dispiegarsi libero e pieno dell’Essere.
Ora che non ho più un compito attivo nel Sentiero, che quella funzione è giunta al termine, mi rendo conto che ogni connessione con i veicoli si fa più labile, marginali risultano le energie spendibili nella relazione che non sia “accadere d’Essere”, logorante ogni discorrere, ogni pensare.
Superfluo.
Rumore.
Generalmente non c’è pensare, in realtà: c’è sentire che genera pensiero, solo quel pensiero che è decodifica del sentire.
O c’è quel piccolo frusciare fisiologico di una mente che fa il suo lavoro, ma è privo di adesione, di sostegno, d’identificazione.
Il Centro dell’esistenza e della consapevolezza si è spostato molto più a monte del divenire, molto più a monte.
Al Lettore.
I post di questa fase sono come il ferro incandescente sotto la mazza del fabbro: più il fabbro batte, più il ferro si modella. Chi scrive questi post non si cura della forma, ha l’urgenza di fissare ciò che sorge dall’intuizione e non si ferma per smussare e levigare, questo appartiene a una fase futura.
Dal 2021 le domande che cercherò d’indagare sono queste:
– cosa ci lega al divenire?
– cosa diviene la vita feriale quando è sentita unitariamente?
– come evolvono le relazioni?
– come si dispiega l’archetipo del monaco?
Comprendo.
Forse è il forte legame col divenire che ci allontana da questo stato d’Essere.
Esiste un processo?
Intuisco quello che dici, e sempre di più mi capita di sentire fastidio per il rumore della mente e il parlare senza scopo.
Ancora ci indichi la strada.
Grazie.
Leggo e rileggo e mi commuovo,
mi riempie di gioia intuire dove risiedi.
Che il Centro di consapevolezza che porta il tuo nome, si sia spostato è evidente. Evidente l’ancoraggio all’Essere ed il bisogno di preservare questo stato.
Chi non coglie questo, non comprende neanche le decisioni di questa fase.
La Via però non è preclusa a nessuno, la possibilità di incontro sul Sentire è data ad ognuno. Le condizioni necessaria sono una chiara l’intenzione e la determinazione a perseverare, questo mi pare di cogliere.
Alimentare la propria fiamma interiore e coltivare la fiducia per scoprirci uniti sul piano del Sentire.
Grande è il lavoro
Grande è il processo
Sì chiara l’esperienza, perlomeno, posso intuirla. Così lontana da tutto ciò che si dà nel divenire.
Nella dialettica tra Essere emergere un forte e stabile essere radicato consapevolmente nell’Essere.
Si entra nel divenire, si scende nella materia, quando è richiesto, quando uno stimolo che sia esso dai piani superiori o provenga dai corpi transitori spingono all’azione.
Mi viene in mente l’immagine di un orso che nella semi oscurità della caverna: esce quando c’è uno stimolo valido.
Mi verrebbe da dire che ogni entrata nel divenire corrisponde ad una sorta di incarnazione.
Del resto se non esiste la continuità del tempo,ma esistono solo fotogrammi, ogni sequenza è a se stessa.
È mondo che si apre e che si chiude, che nasce e che muore.
Molto chiaro. Incisivo. Ad un certo punto è insostenibile stare in quella modalità.