Il tempo per se stessi si conquista sapendo scegliere l’Essenziale

Muovo queste riflessioni a partire da alcune affermazioni di Scifo (riportate in corsivo) contenute nel post: Il tempo per se stessi che uscirà il 9.4.21.


Ora, quello che è bene comprendere è che ogni volta che l’individuo avverte la mancanza di qualche cosa è il suo «Io» che l’avverte, sempre e comunque; e tutto quello che poi l’individuo ci crea sopra: «ho bisogno di tempo, ho bisogno di spazio, ho bisogno di solitudine» e via e via e via, sono sempre delle scusanti per giustificare ciò che uno farà o ciò che uno magari vorrebbe fare e poi non farà; un mettere un po’ le mani avanti per giustificare se stesso.

Non condivido ciò che Scifo dice: accade che una persona senta forte l’esigenza di occuparsi del proprio interiore, di darsi spazio e tempo, di doversi “convertire” a ritmi quotidiani più rispettosi, più adeguati alla domanda interiore che sente sorgere: domanda ed esigenza che spesso hanno i caratteri di una urgenza esistenziale non differibile.
Cosa questo centri con l’Io è per me un mistero, credo invece che sia spinta che provenga dal sentire, spinta che finalmente l’individuo accetta di ascoltare.

Certo, esistono anche le persone cui Scifo accenna, esistono approcci strumentali, esistono nascondimenti, rimozioni, giochi dell’Io: ma il fatto che tutto questo esista non significa che sia comune a tutti, né può significare che ogni persona che cerca di darsi tempo e spazio sia in balia dell’illusione della propria identità.

Io dico: «Se l’individuo vuole trovare il tempo per se stesso non c’è nessuno che glielo possa togliere!». Lo spazio per se stesso esiste sempre, e comunque ce l’ha interiormente, è uno spazio talmente enorme che non riuscirebbe mai comunque a riempirlo anche se si mettesse di buzzo buono! 
Se uno vuole avere tempo per pensare a se stesso, quindi a cercare di comprendere se stesso, lo può fare in qualsiasi momento, nessuno gli può rubare quella possibilità.
Mette una forchetta e pensa a un errore fatto, mette un cucchiaio e pensa in che altro modo poteva agire, mette un coltello e sceglie uno dei tanti modi a cui ha pensato, mette un cucchiaino e finalmente ha trovato una possibilità a cui non aveva pensato. 

Condivido la premessa: Se l’individuo vuole trovare il tempo per se stesso non c’è nessuno che glielo possa togliere!, ma non condivido l’argomentazione di sostegno: non è vero che tutto si possa fare sempre e comunque.
Difficile chiedere a una barista il sabato sera di un periodo non Covid, mentre serve aperitivi e coctails, di compiere una seria autoanalisi.
Le si può chiedere di essere consapevole di quello che fa, ma non di di creare quello spazio interiore non affollato di mente e di emozioni, non identificato dunque, che solo permette di poter passare in rassegna i vissuti cogliendone il limite e promettendosi di fare meglio alla prossima occasione.

Quando le persone avvertono l’impellenza di spazio e tempo per sé, non l’avvertono per il proprio Io – comunque non tutte (e non di certo sempre e comunque) e di certo non quelle che stanno cercando seriamente di cambiare la propria vita; esse sentono che debbono fermarsi, darsi tempo e spazio, rallentare, osservare, ascoltare.

Queste disposizioni, prima di poter essere vissute nel corso della ferialità delle giornate, hanno bisogno di situazioni di ritiro, momenti in cui la persona si apparta e diviene pian piano consapevole di sé.
Solo a confidenza presa, a conoscenza avvenuta delle proprie dinamiche, sarà possibile portare questa conoscenza/consapevolezza lucida nel torrente dei propri giorni, solo dopo un adeguato tirocinio.

Domanda – Però questa persona ha messo la forchetta, il cucchiaio, il coltello mentre pensava e, quindi, li ha messi in modo sbagliato!
Scifo: Bene, vorrà dire che, per rimetterli in modo giusto, avrà tempo per pensare ancora!

Qui Scifo se la cava con una risposta banale; la realtà è che non posso fare bene le due cose assieme: se coltivo l’interiore e sono attento a certe questioni mie, posso mettere male la forchetta. Se voglio mettere bene la forchetta, non ho spazio sufficiente per l’indagine interiore.
Posso, come ho già detto, tenere assieme le due cose solo nel caso che non si tratti di “spazio per sé” ma di semplice coltivazione della consapevolezza: allora la situazione è perfetta, sono consapevole mentre poso la forchetta.

E poi, a coloro tra voi – e anche non tra voi – che dicono e pensano: «Io sono un tipo portato alla spiritualità; io, Dio mio, ho bisogno di meditare, io ho bisogno di essere meditativo per poter avanzare nella mia evoluzione», a costui, chiunque sia, io non posso che rispondere: «Figlio caro, l’unica vera meditazione che esiste è la tua vita! Vivila e avrai meditato tanto quanto basta per comprendere ciò di cui tu hai bisogno, ora e sempre; e questo è valido per chiunque!».

Qui la superficialità dell’approccio colpisce.
Viene quasi irriso e reso caricaturale il bisogno profondo di alcuni di dedicarsi a una pratica meditativa: bisogno che conosco, che ricordo quando in me è sorto, importante, irruento, primario. Bisogno che non aveva niente a che fare con “avanzare nella mia evoluzione“, e che invece chiedeva di fare i conti con me stesso, con la mia natura, e di farli senza tiepidezze.

Che l’unico terreno determinante sia la vita, è una ovvietà, ma anche che la meditazione sia parte della vita, è una ovvietà.
La persona che si dedica alla meditazione non le attribuisce potere salvifico: è pratica tra le pratiche, frammento della vita, tessera del puzzle dei nostri giorni.

È Pratica che prepara il giorno o lo chiude, che aiuta a creare una disposizione e a mantenerla; è abito mentale, è disposizione delle forze interiori; è attitudine alla fiducia e alla disponibilità.
Che tutto questo vada coltivato nella vita feriale, è ovvio; che possa essere “allevato” in tempi e modi specifici all’interno delle giornate, è altrettanto ovvio e non si capisce perché debba essere fatto da relativizzare o, addirittura, da irridere.

Contemplando: riflessioni sull’esperienza contemplativa feriale, 
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Anna

Ogni individualità deve fare per forza i conti con il proprio grado evolutivo, con gli strumenti a propria disposizione, con la specificità dei corpi transitori.

Quando si sente e si riconosce una figura come maestro, si può correre il rischio di pendere dalle sue labbra e prendere come oro colato tutto ciò che indica.

Non si può dimenticare mai che ogni insegnamento deve essere sempre sottoposto al giudizio personale, modulato, calzato su misura su individualità differenti.

Chiaro che i concetti di base e il senso non vengono alterati, ma altrettanto chiaro che vanno “indossati” con la propria taglia attraverso onesta valutazione.

Solo così ci si potrà avvicinare il più possibile a ciò che veramente serve a quel CCE perché il cammino proceda nella giusta direzione

…..è un errore da cui sono passata

Natascia

Grata per gli interventi e per gli spunti di riflessione.

Catia belacchi

Rispetto alla meditazione.
Anni fa meditavo quotidianamente poi ritenendo di poter portare la meditazione nei gesti quotidiani ho smesso. Con l’ andar del tempo, senza esercizio e disciplina, la attenzione al fatto in sé si è affievolita fino a scomparire. Ritengo pertanto che, per chi vuole vivere nell’interiore e nella consapevolezza, la meditazione sia necessaria per molto molto tempo prima di imparare ad avere un costante atteggiamento meditativo.

Luisa

Grazie per i vostri commenti!
“Difficile chiedere a una barista il sabato sera di un periodo non Covid, mentre serve aperitivi e coctails, di compiere una seria autoanalisi.” Sì certamente non può farlo in quel momento ma sicuramente “se veramente vuole” può farlo in altri momenti della sua giornata. Credo sia questo il messaggio di Scifo: non aspettate di avere tempo per meditare per fermarvi a riflettere su di voi, se veramente lo volete (e qui entra in campo l’io con le sue resistenze che poi non sono altro che incomprensioni, quindi niente di strano) potete farlo, “se veramente vuoi cambiare la tua vita cambiala” e parti da dove sei dalla vita che hai oppure appunto cambiala e crea le condizioni per. Io credo che il discorso sulla meditazione sia riferito appunto a questo, la vita in cui siamo immersi è meditazione se la vivi attimo per attimo fino in fondo e con una parte di te che osserva. E forse all’inizio hai bisogno di crearti lo spazio del silenzio meditativo durante la giornata, ma più avanti comprendi che dentro di te c’è questo spazio che è sempre disponibile. Io mi sono spesso arrabbiata per queste modalità di Scifo e altre guide di dire le cose, ma adesso dopo anni di lettura, rilettura, riflessione e batoste prese dalla vita, ho capito che quel modo era proprio rivolto al mio io, che si arrabbiava, si indispettiva, era punto nel vivo…ma a distanza di anni non mi fanno più quell’effetto e lo scopro adesso grazie a te monaco ed alle tue ricche riflessioni. Scifo stesso ha sempre detto di non prendere tutto ciò che dicono per oro colato, è giusto e sacrosanto passarlo al vaglio del proprio giudizio.

piero

buonasera, sono d’accordo col monaco anziano sul non sminuire l’impellenza di un approccio meditativo che sorge strada facendo, parlo del mio specifico caso per quanto utile possa essere un singolo caso soggettivo. Sono sempre stato da adolescente stimato per intelligenza ma al pari non compreso per la mia innata inadeguatezza alla società ed in un certo senso per me era ovvio che fosse così, mi diede conferma una frase di Jiddu khrisnamurti (consigliatissimo maestro “non maestro” appunto) che dice: “non è sintomo di buona salute sentirsi ben adattati in una società profondamente malata” da quel momento all’età di circa 22/23 anni cominciai a pretendere da me stesso del silenzio (cosa rara se non impossibile fino ad allora) ed ascoltare la voce interiore dell’io sono che tutti pervade, devo sentirmi in colpa (cosa che tra l’altro ho stupidamente fatto e che purtroppo a volte faccio ancora) per non essermi addentrato prima nella vita contemplativa? non è diritto dell’individuo accorgersi, ravvedersi nel caso in cui ne senta la necessità? la prima cosa da realizzare e comprendere più di ogni altra è proprio quella di rispettare i tempi e le forze altrui, difatti è facile constatare (al contrario delle gerarchie speculative sul valore della vita) che più ci si innalza spiritualmente e più umiltà si acquisisce grazie sempre

uma

A Piero.
Grazie per le tue considerazioni. Dal mio punto di vista, ciò che conta è che la persona che si sente ripetutamente chiamata ad ascoltare, conoscere e comprendere risponda alla chiamata: la farà quando può e con le possibilità che in quel momento ha.
Rispondere, disporsi ad ascoltare, a osservare e a conoscere è già parte importante dell’opera: il resto verrà passo dopo passo.
Non appartenendoci niente, non ci facciamo problema del tempo, ma del rispondere sì, ci facciamo problema, perché non vorremmo che l’Essenziale bussasse e noi non ce ne fossimo avveduti.

Samuele

Post e discussione molto interessanti ed arricchenti. Grazie.

Luca

In realtà il tempo per sé e’ un prodotto dell’io

Paolo Carnaroli

Credo che la tesi di Scifo sulla meditazione sia provocatoria, valida per scardinare alcune menti, per individui che che vivono particolari situazioni esistenziali. Ad esempio per chi vive la meditazione come una fuga dal quotidiano, anziché come parte di esso e come mezzo per viverlo con maggior consapevolezza.
Ci parla della necessità di contestualizzare ogni cosa per poterla comprendere, per quanto a noi possibile. Ciò che per alcuni è vitale, per altri può essere tossico.
Non avendo accesso alla conoscenza del contesto originario possiamo solo collocare una tesi nel nostro contesto, sentendo come ci risuona, cosa ci dice.
Tutto è relativo, di assoluto c’è solo l’Assoluto.

uma

Capisco il tuo argomento, ma, come dico nel post, nelle posizioni dell’Ifior e del CF77 c’è una sistematica svalutazione dell’esperienza meditativa, questa è la ragione per cui tratto la questione, non siamo in presenza di un messaggio rivolto ad alcuni che equivocano sul vero senso del meditare.
E comunque, lo ripeto, questo è solo uno degli argomenti su cui può esserci dissonanza di sentire.
Affermo questo perché ritengo che noi si debba uscire da questa sorta di sudditanza nei confronti delle Guide, consapevoli che un ampio sentire può contenere aree non adeguatamente sviluppate che generano posizioni e pensiero non sempre vasto e ineccepibile.
Come può esserci un sentire più limitato che ha sviluppato aree limitate di eccellenza.

Un esempio potrebbe essere questo.
Il tema degli archetipi è stato introdotto da Scifo ma poi è stato sviluppato da Ombra (Jung).
Eppure Ombra era da pochi decenni morto (nel 61) mentre Scifo non si incarna più dalla notte dei tempi.
Ora, Ombra che dovrebbe essere meno evoluto di Scifo, tratta il tema con una chiarezza che Scifo non conosce.

Luisa

Comprendo benissimo le tue osservazioni e mi chiedo come concilii dentro di te queste osservazioni con il fatto che tale messaggio provenga da una entità considerata molto evoluta nell’insegnamento del cerchio Ifior?

uma

Una premessa perché tu possa comprendere il contesto.
Lavoro, in qualità di redattore dei post, tutti i giorni per almeno due ore e trenta sul materiale dell’Ifior da quasi quattro anni.
Prima di questo avevo letto gran parte del comunicato in quel Cerchio.
Prima ancora sono state parte attiva de “La via della Conoscenza /Cerchio Marina”.
Con il suo maestro, Soggetto, avevamo un rapporto onesto, feriale, libero da ogni devozione e subalternità: era interlocutore credibile nel sentire, non sempre nel dire e su questo la dialettica tra noi era aperta. Soggetto si definiva non-mente e comunicava dal piano akasico.

Mi chiedi come nel mio intimo posso conciliare le osservazioni e l’esercizio della critica, con il fatto che Scifo, o altri, siano considerati entità di grande evoluzione.

In verità, non mi comporta problema.
Quando muovo un appunto non lo faccio partendo dal mio pensare, ma dal monitoraggio del sentire.
Mentre preparo un post dell’Ifior per la pubblicazione, monitoro il testo su due piani distinti: l’intelligibilità logica e concettuale, la rispondenza sul piano del sentire.
Spesso i testi sono confusi e/o aggrovigliati e allora cerco, salvaguardandone scrupolosamente il senso, di renderli più accessibili al lettore.
Alcune volte ciò che viene affermato è palesemente in disarmonia con il mio sentire personale: ad esempio, quello che l’Ifior dice sulla meditazione (e anche il CF77 dice cose simili) è, secondo il mio sentire, e anche il mio pensare ma innanzitutto secondo il mio sentire, limitato, relativo, parziale, riduttivo.
Chiaramente, in fase di redazione dei post dell’Ifior, intervengo solo sulla forma, mai sul contenuto. Se ho problemi con il contenuto non lo dico in quella sede, né tantomeno altero i testi e il loro significato: lo dico in un altro sito, questo, per un pubblico diverso.

Esistono modi di guardare alla meditazione molto diversi da quelli da loro caratterizzati, modi onesti che integrano meditazione e vita dove la meditazione altro non è che sguardo più profondo sulla vita stessa.
È solo un esempio. Nel mio intimo mi sento libero di sviluppare la strada che il sentire mi indica e che la mente mi conferma (ma di questa possa fare anche a meno): se non ascoltassi ciò che sento e dicessi sì a qualcosa che non sento, entrerei in uno spazio che non ho mai frequentato e che non voglio frequentare.
Che dei Maestri abbiano opinioni, o sentire, diversi, non mi turba.
Tengo in grande conto la loro opinione, quando è sorretta da solidi argomenti; quando gli argomenti non sono solidi, dubito allora che lo sia il sentire che li genera.
Chiaramente possono esserci anche delle distorsioni nella “trasmissione” ma questo non vale, ad esempio, per argomenti ribaditi più volte quali la meditazione.

In sincerità, Luisa, loro fanno la loro rappresentazione, la rispetto profondamente, ma ciò che mi giunge deve avere un senso per questo centro di coscienza e di decodifica: se un senso non lo ravviso, lo dico.
Chiaramente so bene che il mio sentire è limitato, e limitata è l’ottica dalla quale posso vedere i fatti, ma sono sufficientemente attrezzato per discernere anche i limiti di altri punti di vista: siccome non c’è gara su chi ha il limite più grande o meno, e siccome non parto dal presupposto che un incarnato è per forza di cose un inevoluto, sto davanti ai fatti che si presentano e se non li sento non li sento…

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