Proiettiamo quel che siamo: il nostro circo personale, purtroppo

Ieri sera ho guardato il festival di Sanremo.
Mi sono piaciuti i quattro giovani finalisti e anche io avrei scelto come vincitore quello poi nominato. Ho tenuto duro fino alle 11, poi ho abbandonato.

L’invito ad andare a letto senza indugi mi è venuto dalla performance di Achille Lauro.
Senza rimpianto ho preso la via del letto.

Non amo coloro che ostentano qualcosa e ne fanno mercato.
L’eccesso di sé, il rumore assordante di sé: qualcosa che ho avuto modo di vedersi insinuare anche in me, nel tempo, e in molti modi ho lavorato: mi disturba vederlo nell’altro perché parla di me?
Non diciamo fesserie; semplicemente, potendo scegliere come vivere il mio tempo, in genere non lo dedico a seguire i primi vagiti dell’umano – non perché non siano degni, anche quando sono modesti – ma perché privilegio altro.

Non è di Sanremo che voglio parlare, ma della proiezione di sé.
L’occhio attento non vede solo ologrammi che si manifestano, coglie sentire in manifestazione.
Quel cantante è un mondo unitario che si manifesta e che assume una forma, dei colori, dei suoni, dei modi di esprimersi, un ambiente di manifestazione, delle affettività proprie.

Se fossi interessato al personaggio, e non lo sono, andrei a reperire dati per osservare il complesso della sua manifestazione, la quale mi conferirebbe una vaga impressione di chi questo sia nel sentire.

Quando osservo un maestro, una guida, un insegnante, adotto lo stesso criterio: acquisisco dati relativi a ciò che egli proietta: essendo il suo film, ed essendo io uno spettatore del suo film, molto mi dice la scena che lui genera.

Mi raccontava un amico di una maestra che è venuta in una città qui vicino: tanta gente, tanti devoti, atteggiamenti tipici di certi ambienti fondati su una visione stereotipata del maestro.

Chi crea il devoto? Perché nel Sentiero contemplativo non ci sono mai stati devoti?
Chi crea l’ambiente vibratorio e i codici vibratori opportuni e convenienti per quell’ambiente?
Chi seleziona l’utenza, i discepoli, i devoti?
La nota vibratoria che il maestro produce e il mio bisogno.
Il film che percepisco è il film che tu hai creato, e il film che io voglio vedere.

Maestro e discepolo sono complici nel generare quella scena, ma essa non sussisterebbe se il maestro non imprintasse l’ambiente vibratorio con le note della rappresentazione che gradisce e privilegia.

Questo è quello che io chiamo “il circo”.
Quel cantante ha fatto il suo spettacolo circense.
Quella maestra ha improntato il suo.
E io cosa ho fatto nella mia vita da insegnante?

Ho cercato con tutte le mie forze di uscire dal circo e di generare officine d’esistenza vere, autentiche.
Ci sono riuscito? Non lo so, ma c’ho provato con tutte le forze e correndo tutti i rischi, convinto che un altro modo esiste ed è lontano dalla modalità circense.

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2 commenti su “Proiettiamo quel che siamo: il nostro circo personale, purtroppo”

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