Quello stato d’esistenza che precede il pensiero e il divenire è chiaro e stabile nella consapevolezza. Lì risiede la radice di quest’essere, quella è la sorgente di questa vita.
Ho ripreso in mano questi giorni “La fonte preziosa” del Cerchio Firenze 77, il più alto contributo che Kempis ha trasmesso, eppure la sua lettura mi lascia solo un non senso, o un senso superato, acquisito, evidente, integrato, comunque adesso privo di valore esistenziale. Un discutere di qualcosa che non è il luogo dove risiede questa consapevolezza.
La mente/identità va cercando appigli? Può darsi, ma è un’opera vana: non c’è porto, non àncora, non approdo sicuro: non c’è appiglio alcuno possibile.
C’è un vasto mare unitario che posso sentire, ma di cui non posso dire: è esclusivamente contemplabile.
È una presa d’atto, un fatto che è e che non può trovare articolazione nel pensiero, oggi almeno; c’è stata una stagione in cui, in presenza di un contenitore idoneo, quella vastità ha potuto esprimersi su più fronti, con più linguaggi e simboli, come vibrazione impattante nelle esistenze, come vibrazione rivolta a vibrazioni.
La memoria di quella stagione oggi crea una perplessità di fronte a quella condizione che, adesso, è solo contemplabile: essa è stata incarnazione incontrovertibile, è divenuta esperienza dei corpi, è stata come le mani che lavorano la massa del pane, così ha lavorato le vibrazioni di un organismo, così è stato vissuto da questo centro di coscienza.
Oggi quella condizione non sfugge, non è un mistero, non è aleatoria, è concretezza sottile, luogo del risiedere della consapevolezza: nei corpi e nella mente rimane un vuoto, come una perdita, come l’essere orfani di qualcosa.
Come colui che ha goduto di una condizione di grazia per lungo tempo e, a un tratto, deve fare un passo oltre, accettando di perdere quella condizione e sintonizzandosi sulla nuova frequenza che ha codici nuovi per cui non esistono decodifiche conosciute.
Più la stagione dell’insegnamento si allontana, più debbo fare i conti con una nuova stagione, nuove coordinate, una sottigliezza dell’esperire che non è nuova ma che non era stato necessario affinare perché l’esperienza era sovrabbondante.
Ciò che a suo tempo è stato donato con tanta forza e pienezza ora non è tolto, è offerto, disponibile su di un piano che trascende radicalmente la mente, gli altri corpi e l’esperienza nel divenire: si offre come condizione stabile, luce sempre accesa alla vista contemplativa.
Vista sottile, vista nell’invisibile, vista nell’impalpabile che richiede un abbandono radicale di ogni livello percettivo meno raffinato, che chiede di ascoltare l’inascoltabile, il non-suono, il mai-detto.
Lì è quest’essere che vive, alla fine, come un disturbo, come una interferenza quei residui di un passato lontano che non è più e che parlano di sistemi, di divenire, di logiche alte e belle ma, oramai, inutili.
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Abbandonate le ultime zavorre, si è liberi di esplorare al largo, il non conosciuto.
Eppure, anche se, come dici, l’esperienza dell’insegnamento è lontana, non viene meno il tuo essere guida per chi, come me, a quella vastità anela.
Una nuova stagione che trascende la mente e si abbandona al sentire.
Ringrazio per questa condivisione che, paradossalmente, con la mia mente vedo come una auspicabile evoluzione.
Quando hai attraversato il fiume devi lasciare la zattera.
Questa condizione mi pare lontana, anche se si avverte forte il richiamo. Profondamente mi inchino.
Logiche inutili ….non per me, ma m’inchino
Logiche inutili