Da Contemplando riporto questo post di Roberto d’E.: Esistono giorni in cui il Tutto si manifesta attraverso ogni cellula del mio corpo. Altri in cui il Deserto si profila davanti ai miei occhi. Nulla sembra parlarmi. E nulla posso esprimere. C’è Vuoto e vuoto. C’è Silenzio e silenzio. C’è uno stare Soli e un sentirsi soli.
Credevo che questo stato dipendesse da me. Dalla mia disposizione. Ho compreso che accade. Accade e basta. Il Deserto e il Tutto. Il Deserto è parte del Tutto. Come una saracinesca, nasconde i colori della vetrina. Accade e occorre attraversarlo. Inutile in quei momenti tentare di aggiungere tinte.
Il mio commento su Contemplando: Oltre il Tutto e il deserto è la Sostanza. Essa è priva di connotazione, non sa che farsene del pensiero, dell’emozione, degli affetti, dei fallimenti e dei successi. È accessibile alla sola contemplazione, sempre, oltre Tutto/niente.
Qui ho affrontato il tema, giorni fa: Logiche alte e belle ma oramai inutili.
Roberto d’E. parla della varietà degli stati interiori e della necessità di accoglierli.
Nel commento affermo:
– Oltre il Tutto e il deserto è la Sostanza;
– È accessibile alla sola contemplazione, sempre, oltre Tutto/niente.
Il centro della questione è vivere la Sostanza che è sempre lì, oltre gli stati che fluttuano, che vanno e vengono, abbracciando un’altra profondità.
La pratica contemplativa è lo strumento per accedere, ma essa impone la piena consapevolezza del fluttuare superficiale degli stati e il lasciare che la Sostanza emerga.
Si tratta di disconnettere continuamente l’attenzione dagli stati per accogliere la Sostanza che, per sua natura, è sempre lì?
Sì, certo, ma non solo.
Si tratta di allevare una disposizione interiore, uno sguardo profondo, la consapevolezza che sempre monitora tutti gli stati, tutte le condizioni, tutto lo spettro dal divenire all’Essere.
Dalla superficie del mare ai suoi abissi: dal fluttuare delle onde alle rocce delle profondità dove non arriva luce.
Non uno sguardo progressivo, in successione dalla superficie alle profondità: uno sguardo simultaneo che abbraccia tutto lo spettro.
Allora si sente il fluttuare degli stati e la vasta stabilità delle rocce: si sentono simultaneamente.
La consapevolezza abbraccia questa vastità: perché possa farlo è necessario che si sia addomesticata la relazione con gli stati, che essi cioè siano fatto ovvio e che non vi sia ricerca, bisogno, speranza, necessità, conflitto, opposizione che li metta in risalto.
Bisogna anche che vi sia familiarità con il vasto niente degli abissi: che sia confidente, casa conosciuta, frequentata, ospitale nella sua inafferrabilità (per la mente).
Un attimo e tutta la sezione del mare è abbracciata dalla consapevolezza: divenire ed Essere sono perfettamente integrati, esiste solo la consapevolezza dell’Essere Uno.
In un attimo.
Aldilà del tempo.
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Per rimanere aggiornati su:
Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Alla seconda lettura colgo aspetti che mi erano sfuggiti alla prima. Molto chiarificatore. Grazie.
Sempre meglio riesco ad osservare i miei stati, un’officina da anni aperta mi costringere a monitorare l’impulsivita quando avanza, la frustrazione, la delusione, la noia. Il loro impatto diminuisce da fatto a fatto, diminuisce la loro capacità di increspare la superficie. Tuttavia mi è difficile vedere e cogliere simultaneamente la presenza della roccia. Si tratta di attimi.
Lasciare andare il desiderio/bisogno
Noto come la mia consapevolezza raramente coglie la simultaneità degli stati. Pur sentendo la solidità della roccia si lascia trascinare dai flutti di superficie perché la disconnessione è lenta.
Non si tratta di assumere solo questo sguardo ma anche di “resistere”, avere la forza per non essere travolti dalle dinamiche degli stati che si alternano.
Potenza impattante che diminuisce quanto più si scende nella capacità di contemplare gli stati stessi.
Non avere più appoggio dove fermarsi può significare anche questo: vedere il divenire degli stati, riconoscerne l’inconsistenza, non aderire, rimanere agganciati alla profondità.
Esercizio costante.
Cogito ergo sum!
Come uscire da questo tranello?
Solo perseguendo l’attitudine al dubbio,
La disconnessione, lo stare.
Per aprire un varco oltre il velo del Reale.
Parole che spero aiutino a sfondare quelle resistenze che ostacolano le comprensioni.
Troppo vaste per farle mie, a tratti spaventose quando richiamano certi abissi e vuoti.
Resto in ascolto, grato.