[…] La pratica del dubbio è un potente antidoto contro le costruzioni concettuali con le quali l’uomo si riconosce come ‘io’ e riconosce l’altro come diverso. Sottoposto al sorgere dei dubbi, inizialmente l’uomo riesce a rifondare una differente visione della vita, però poi, senza che se ne renda conto, inizia a perdere di importanza l’obiettivo di maturare.
Con il perdere d’importanza del maturare, si ridimensiona anche l’abitudine di connettere le azioni con un premio finale e di sottolineare i risultati raggiunti per stabilire a quale grado evolutivo lui sia giunto.
Nella via evolutiva, voi date grande importanza e continuità al vostro ‘io’, ma è solo un’illusione perché non c’è niente che si muove verso l’Uno: voi non siete e nessuno raggiunge nulla.
La vita che scorre è tutto ciò che c’è, che è il non-limite.
Distogliere lo sguardo che è puntato sui limiti significa smetterla di usare gli altri e lo scorrere della vita per una propria trasformazione interiore, e anche comprendere che nulla vi riguarda, nulla è da creare, nulla è da conseguire quando ci si distacca dal concreto del quotidiano per inseguire una propria vita oltre la vita.
Non è la vita a distribuire sofferenze e gioie, oppure a concedere opportunità, e nemmeno a infliggervi ‘problemi’ affinché li risolviate.
Ciò che accade nella vita è semplicemente da riconoscere, e quel che voi interpretate è la conseguenza del modo con cui vi ponete di fronte a ciò che accade.
La vita è gratuità, ma l’uomo teme quello che non controlla, e allora costruisce quel che non c’è per non incontrare ciò che c’è.
Spesso vi raccontate di esservi inchinati davanti alla vita per servirla, per esserle utili e per dare il vostro apporto agli altri.
L’unico modo di essere di fronte alla vita è quello di chi niente chiede e tutto accoglie, perché riconosce la propria inutilità.
E qui le vostre menti protestano. Ognuno di voi pensa di essere importantissimo agli occhi del Divino, e pertanto non accettate l’idea di una vostra inutilità.
Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Vita, pag. 19-20
In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.
Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Quando la consapevolezza è sul presente, nulla chiedi, puoi solo accogliere.
Capita, che dopo aver sbrigato una pratica nell’ambito del mio lavoro, l’utente mi ringrazi e mi faccia dei complimenti.
Situazione in cui altri si ritroveranno.
Quando accade cerco sempre di osservare come reagisco, quali sono le insidie, i possibili risvolti.
Nel tempo, ha di certo contribuito a creare maggior sicurezza, ma ne colgo anche l’ insidia, che potrebbe inquinare il gesto, in questo caso di cercare di fare bene il lavoro, che doveva essere neutrale.
Osservarmi e dubitare, ridimensiona il tutto e restituisce alla scena Ciò che È.
Nelle innumerevoli interazioni della giornata, questo monitoraggio è costante.
Direi che è il lavoro principale.
Altrettanti innumerevoli sono gli svelamenti dell’Io.
Se il lavoro di osservzione è stato onesto, in genere la sera sono molto serena.
Di contro, se il lavoro è stato superficiale, avverto un certo disagio.
Come detto altre volte noi confondiamo il Ciò-che-è con il Ciò-che-è-per-me. Se pensiamo al Ciò-che-è lo pensiamo come uno stato di beatitudine. Uno stato in cui speriamo che tutto si riveli alla fine accettabile, indulgente nei confronti delle nostre vite. Il Ciò-che-è lo associamo a una condizione di benessere diffuso, di senso di piacere spirituale, di pace e di calma. È davvero questo il Ciò-che-è o piuttosto è il Ciò-che-è-per-me?
È così.
Non sempre semplice, per non dire impossibile in certi frangenti, far tacere la mente affinché non interpreti e non edifichi costrutti di parte.
Lasciare che sia, null’altro la vita ci chiede
“Accoglienza” è la parola chiave.
A volte è più facile riconoscere quando si fatica a metterla in pratica, altre siamo così attratti dal nostro ombelico da non rendersene conto per lungo tempo.
Ma quando l’argine si è incrinato l’acqua lavora piano ma incessante e la diga che abbiamo costruito per resistere non ha scampo.
La vita e l’inutilità
Profondo inchino d’innamzi a queste parole che fanno sorgere commozione.
Siamo servi inutili…un tema anche evangelico. Se imparassi a riconoscere Ciò-che-è la vita diventerebbe al mio Io più leggera. Se riconoscessi e accogliessi sorriderei molto di più. Faccio tentativi
Vedo e dico che capisco perché se invece di parlare di me si parla di una foglia o di un filo d’erba vedo chiaramente quello di cui parli.
Eppure noi, grandi protagonisti sul palco, ci raccontiamo storie meravigliose, tragiche, vittimistiche… di tutto.
Riassumendo potremmo dire che “ce la raccontiamo”.
Eppure anche il “raccontarcela” appartiene a una fase e va bene anche quello. Anche quello può essere tutto ciò che c’è.
E allora ecco che l’esercizio del dubbio, della consapevolezza fanno sì che ci sganciamo dal guinzaglio che ci guida nel quotidiano.