[Via del monaco 7] La Via del monaco tiene assieme l’eremo con il cenobio, la solitudine esistenziale con il procedere assieme: ma perché è importante procedere assieme a un gruppo di interlocutori scelti?
Perché con un gruppo di interlocutori scelti, mossi dalla stessa intenzione, si genera una sinergia non realizzabile in solitudine o nel procedere con altri collaboratori efficaci, quali quelli della famiglia o dell’ambiente di lavoro.
Perché l’unità intenzionale genera sempre qualcosa che il singolo non può generare.
Man mano che il sentire evolve avviene il fenomeno delle fusioni: sentire analoghi si fondono e danno luogo a sentire terzi di maggiore espansione, non qualcosa che è la sommatoria dei sentire che si sono fusi.
Il sentire assoluto contiene tutti i sentire relativi, ma l’Assoluto è più della somma di tutti i sentire relativi.
Ne consegue quindi che ogni comunità di sentire esprime, realizza, permette, porta a evidenza ciò che non è accessibile al singolo.
La natura del Reale è unitaria, tutti parte di Uno e oltre sé: una comunità di sentire tra alcune persone anticipa questo.
La Via del monaco è il completamento del Sentiero contemplativo, il suo approdo; è anche il percorso di un gruppo di persone che si incontrano periodicamente all’Eremo dal silenzio e, a ogni stagione, al monastero camaldolese di Fonte Avellana.
Il canale Telegram di Eremo dal silenzio
Per rimanere aggiornati su:
Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
“…volendo si può arrivare a dire quel che si vuole perché non si parla più del reale ma di ciò che vogliamo affermare su di essa”.
Giusto, ma credo che questo non riguardi solo me…….
“ogni comunità di sentire esprime ciò che non è possibile al singolo” giusto. E una comunità è più dei singoli soggetti.
Tuttavia viste le difficoltà che in una comunità si incontrano nel procedere, mi chiedo come comprendere quando e se si è affini nel sentire.
A Roberto
Quando dici ” coloro che prendono i voti sono coloro che sono stati scelti dal percorso stesso compiuto” non corrisponde pienamente a ciò che sento.
Mi pare piuttosto che non sia il percorso a scegliere coloro che vogliono aderirvi e nemmeno il singolo che “da solo” sceglie, bensì che sia frutto di un incontro, di un riconoscersi tra l’intenzione e la sua origine, tra una chiamata e la forma che assume.
Riguardo alla comunione del sentire, per quel poco che posso aver compreso, non sento che coincida con l’azzeramento della soggettività ma con il suo superamento, grazie all’esperienza derivante dal vivere l’insieme, la polifonia, si riesce a “scomparire” senza tuttavia dimenticare quel contributo unico e prezioso che il soggetto porta.
Ma non voglio fare il processo alle parole sicuramente avrò inteso parzialmente il tuo sentire, ma ora è il tempo di manifestare ciò che mi attraversa con maggiore autenticità.
A Maria
Naturale ciò che dici: prima viene la vocazione che riguarda il singolo. Poi questo si confronta con la comunità che dovrebbe accoglierlo, compie un percorso e lì viene forgiato, oppure abbandona.
Nel secondo capoverso, cavilli: volendo si può arrivare a dire quel che si vuole perché non si parla più del reale ma di ciò che vogliamo affermare su di esso.
A Maria
È curioso, e un po’ comico, che tu mi muova l’appunto di non aver considerato la vocazione: come ricorderai ho parlato molto spesso di questo al punto che credo lo si possa sottintendere.
In merito alla tua necessità di manifestazione, fai pure, non mi sento vincolato o limitato da essa.
L’approccio con il Sentiero, mi è servito inizialmente per avere conferme rispetto ad un Sentire che non trovava un riscontro nella quotidianità e nelle frequentazioni di un tempo.
Aver potuto condividere il paradigma, mi ha rafforzato nell’intenzione.
Ora che molti aspetti sono consolidati, riconosco che la condivisione rappresenti la grande opportunità di andare oltre la propria soggettività.
Nel tempo si è fatto evidente anche, che la scelta necessitava di maggior prossimità di Sentire per rispondere in maniera più coerente a ciò che sorge dal proprio intimo.
Non è un percorso regolare, ci sono incertezze, dubbi, attaccamenti che
osservati e monitorati facilitano il loro superamento.
In genere nelle comunità monastiche non ci si sceglie ma ci si incontra nell’intenzione di percorrere un determinato cammino.
Ed è evidente che il coro delle voci, anche nelle dissonanze e asperità, generi molto di più che non la noiosa monotonalita’ del singolo.
A Maria
Con il termine “scelti” non intendo che i monaci si scelgono, intendo dire coloro che emergono da un cammino comune manifestando una intenzione che li porta a fare scelte differenziate rispetto al gruppo base.
Esattamente quello che è accaduto con la Via del monaco.
Ti ricordo che prima di far parte di una comunità monastica si attraversano i filtri del postulantato e del noviziato: coloro che prendono i voti sono coloro che sono stati scelti dal percorso stesso compiuto.
In merito alla tua seconda affermazione, vi colgo, forse equivocando, una nota polemica; questo dico nel post: “Ne consegue quindi che ogni comunità di sentire esprime, realizza, permette, porta a evidenza ciò che non è accessibile al singolo.”
Tu parli del valore della polifonia (frutto di molteplici soggettività) contrapposto alla monotonia del solista, io parlo dell’andare oltre polifonia e solista grazie alla comunione del sentire che azzera le soggettività.
“L’unità intenzionale genera sempre qualcosa che il singolo non può generare ”
È forse paragonabile al fenomeno della risonanza che produce un’amplificazione vibrazionale. O forse è proprio quello…
Faccio fatica invece a rappresentare sul piano mentale il fenomeno della fusione
A Roberto.
Mi riferivo a questo passaggio del post:
“Ne consegue quindi che ogni comunità di sentire esprime, realizza, permette, porta a evidenza ciò che non è accessibile al singolo”.
Quindi mi chiedevo se nella comunità del sentire, l’unità dell’intenzione, produca un approfondimento del superamento della singolarità che il singolo da solo non può raggiungere.
Il nostro cammino
Facevo l’esempio della pallavolo.
Mi alleno a casa da solo, palleggiando sul muro.
Ma quando gioco la partita con i compagni accade qualcosa che da soli non può accadere.
Non è la somma dei palleggi col muro che ciascuno fa ma è qualcosa di ulteriore.
L’esempio ha i suoi limiti ma mi sembra efficace.
Credo che a un certo punto la condivisione come quella di una comunità monastica non sia qualcosa di accessorio, che può esserci come mancare.
Credo che nel paradigma del monaco sia iscritta come esperienza o passo da compiere quello della dimensione comunitaria.
Come scritto nel post l’unità dell’intenzione è superiore a quella del singolo. Certo come potrebbe essere accessibile al singolo ciò che comporta il superamento o la perdita della singolarità stessa?
Tutto ciò mi interroga…
A Leonardo
“Certo come potrebbe essere accessibile al singolo ciò che comporta il superamento o la perdita della singolarità stessa?”
Non mi è chiara la questione…