La centralità dell’Io nelle scene feriali

Dice un fratello nella Via del monaco: “La scena è messa in piedi da me per me, per un sentimento di narcisismo, per il piacere di guardarsi.”
Può darsi, ma la cosa potrebbe essere molto più complessa.

(Userò i termini autocompiacimento e narcisismo non come sinonimi ma come gradi differenti di una disposizione con matrice unica)

Tutti viviamo scene dal nostro sentire prodotte.
Tutti, o almeno quelli più consapevoli, ci vediamo mentre le attuiamo.
Una parte di noi non dà particolare peso all’accadere, un’altra parte indugia in autocompiacimento.

Bene, l’autocompiacimento è un segno che prima di essere riprovato dovrebbe essere analizzato.
Faccio un esempio: se in una stagione della mia vita ho necessità forte di manifestazione del mio sentire, genererò molte scene e in ognuna di queste affioreranno inevitabilmente i limiti e il compreso.

Gioirò per il compreso e mi dispiacerò per il limite, ma comunque continuerò a manifestare.
Chi continuerà a manifestare? Il sentire, il quale non sa che farsene del mio giudicarmi narcisista, quella è una interpretazione mia, il sentire vuole dati, crea scene e sistema i riscontri che ottiene.
Certo, se vede che c’è un alto autocompiacimento, produrrà prima o poi scene per lavorarlo.

Questo è il processo profondo che avviene; quello superficiale vede me che mi dolgo per il mio narcisismo. Come risolvere?
Comprendendo il gioco nel quale sono immerso.

Al centro c’è una stagione feconda di manifestazione: questa accade, questa deve durare finché necessario e non va ostacolata.
Il censore morale, etico, spirituale dice: Sì, ma trai piacere dal manifestarti!

E allora? Traggo anche piacere dal mangiare, o dal camminare.
C’è soddisfazione per la manifestazione, mi fa sentire bene, vivo, esistente, portatore di un valore.
È un problema? E perché?
C’è un eccesso? Allora posso vederlo e lavorarlo, ma in sé il piacere di stare vivendo pienamente, e di vedermi in questo vivere e di gioire di questa vita che si esprime, non ha nulla di sbagliato.

Va depurata da un eventuale senso di superiorità, da un senso di esclusività, da quel sentirsi speciale molto e più di tutti. Dai tratti infantili, insomma.

Dove voglio arrivare?
Quando la vita ci attraversa fluidamente essa produce in noi la gioia dell’essere vivi, di esistere anche in una certa separatezza e di non avvertirlo come limite, ma come fatto.
C’è vita, c’è gioia, c’è consapevolezza di essere un individuo: posso permettermelo?

L’Io se ne appropria e dice: Bello, mio! Lo fa senza fine? Si insinua a volte? Si insinua e subito scompare? Le risposte a queste domande non sono dati marginali.

Il tutto è venato di narcisismo? O il tema del narcisismo è messo in campo da quella parte censoria di me che non vuole che io viva pienamente e fluidamente e dunque utilizza una certa categoria morale per castrarmi?

Il fatto è che ho il diritto di essere contento di una certa manifestazione e questa diviene una questione che ha a che fare col narcisismo solo se si ripete e se io la indugio, altrimenti possiamo parlare del sottile autocompiacimento che ci attraversa e andarlo ad analizzare:
– da cosa è composto?
– come si dirama?
– come scompare?

Non dobbiamo aver paura di questi stati, dobbiamo analizzarli e imparare a contemplarli.
Sono fatti.
Si trasformeranno, come tutto.

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6 commenti su “La centralità dell’Io nelle scene feriali”

  1. “Il piacere di stare vivendo pienamente”

    Vedo alla base di questa affermazione il sunto di un raffinato processo di consapevolezza.
    Viene racchiusa la profondità dell’essere all’interno della sfera materiale. È forse il massimo grado di presenza a cui l’incarnato possa aspirare.
    Nella distensione del viso, a volte, traspare

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  2. La stagione della manifestazione dell’io credo sia passata, tuttavia rimane una sorta di autocompiacimento in alcuni fatti che accadono. Non mi disturba. È un limite? Probabile . Mi osservo e l’accompagno con il dubbio.

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  3. Mi vien da dire :gioire dei fatti ( o dispiacersi dei fatti), senza indulgere nella gioia o nel lamento. Osservarsi e lasciar fluire.

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  4. Credo di comprendere ciò che qui si afferma. Non essendo l’lo struttura separata dal CCE che siamo, è naturale che si manifesti.
    A me pare, di rendermene conto sempre. A volte è simultaneo, altre volte mpiega secondi o minuti, altre ancora ore…
    La centralità che richiama la vedo come necessità ad esporsi.
    Questa è oggi la stagione disponibile…ma non so se ho ben colto l’esperienza che il fratello riporta.

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