L’uomo si difende dalla vita perché la sente sfuggire al suo controllo e perché vivere alimenta in lui continue insoddisfazioni, nonostante lui chieda alla vita di essere soddisfatto, rassicurato, alle volte un po’ cullato.
Quindi si trova continuamente in allerta e si difende marchiando i fatti con etichette e giudizi, e la vita con concettualizzazioni, che sono, il più delle volte, condivisi dagli altri.
Questo è un tentativo di controllare almeno in parte la vita, ritraducendola in modo conforme ai contenuti della sua mente.
L’impersonalità della vita plasma voi e l’altro da voi, eppure a volte vi illudete di avere la vita in pugno perché vi sembra di padroneggiare qualcuno.
Voi sapete di non poter controllare eventi e fatti naturali, però pensate di poterlo fare con gli altri esseri, e vi adoperate per avere potere su di loro, piegandoli alle vostre necessità, ma ben attenti a neutralizzare ogni loro tentativo di fare altrettanto con voi, o di ostacolare i vostri progetti, anche se spesso vi accontentate di imporvi in alcuni settori, scontando però il fatto di essere un po’ vittime in altri ambiti.
E così il quotidiano diventa un miscuglio di aspetti in cui dominate e di aspetti in cui siete dominati: un altalenare in cui la vostra identità viene prima eretta, poi sorretta e poi difesa ma anche riadattata. E laddove non riuscite a essere protagonisti sia nel dominare che nel non essere dominati, non vi resta che sentirvi vittime degli altri e della vita.
La consapevolezza di non essere protagonisti di niente fa morire i giudizi sugli altri, anche quando pongono ostacoli, mentre voi: guai a pestarvi i piedi!
Sono proprio le persone che amate di più a farlo, quelle che, a priori, stabilite come ‘dovrebbero essere’ o cosa ‘dovrebbero fare’.
Ma volendo stabilire anche come ‘dovrebbero essere’ gli altri, i fatti, voi stessi, cioè la vita, vi scontrate con ciò che è e allora cercate di proteggervi dietro barriere di giudizi e pregiudizi, di contrapposizioni e di pretese.
Chi si sente protagonista ha sempre bisogno di definire quel che gli appartiene e quel che non vuole gli appartenga, quello che può accettare e quello che non intende accettare, quello che va contro di lui e quello che invece lo agevola. Ecco il velo che ognuno pone sull’azione in sé.
La pretesa di definire il proprio campo di azione e quello altrui impedisce all’uomo di incontrare l’indifferenziazione che plasma ogni attimo di vita.
Lui è preoccupato di quanto gli accadimenti e gli altri esseri possano penetrare nel suo mondo e invaderlo, e quindi si difende dalle possibili provocazioni che minacciano la solidità delle barriere che ha eretto.
Lui sa che senza quelle barriere si ritroverebbe inerme di fronte all’affacciarsi di ogni possibile diversità non contemplata nel suo mondo, che risulterebbe poi di difficile gestione.
Il vessillo col quale l’uomo sventola la sua identità è: “Mi riguarda”, però questa pretesa viene spazzata via nel momento in cui riconosce l’impersonalità di ciò che è.
Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Vita, p. 22
In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.
Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Scrive Leonardo “Il divenire non è un “peccato originale”, “una colpa metafisica” di cui tentare di spogliarsi.” Si per quello che riguarda me pongo molta attenzione al divenire e mi identifico troppo con i miei limiti. Rileggendo tutto, commenti compresi, riaffiora un senso di ordine. Quando scrivo forse è proprio questo l’intento, esprimere un momento, un frammento di divenire per poi ritrovare una visione più ampia. Grazie
Leggo interessato
Comprendo l’intento provocatorio ma non è così la realtà dei fatti. Qui si mette al bando il divenire. Il divenire è la dimensione del “mi riguarda” e dunque inevitabilmente del soggetto e dove c’è soggetto ci sono argini.
Argini che provocano scontri e frizioni, i quali sono portatori di comprensioni. Il divenire non è un “peccato originale”, “una colpa metafisica” di cui tentare di spoliarsi.
Il divenire è il nostro modo illusorio di apprendere in quanto essere incarnanti.
Essere e divenire: non solo Essere.
Ci si protegge inevitabilmente, è sopravvivenza!
Nelle vite domina la gradualità: non si può pensare certo ad arroccarsi nel difendere i propri confini in uno status quo, ma gradualmente a modificarli, a perderli quando le comprensioni e la consapevolezza realizzano che ad un minimo di perdita corrisponde un ampio guadagno sotto uno sguardo mutato e mutevole.
Pure io come dice Catia credo che non tutti hanno una struttura in grado di reggere le influenze esterne. Forse queste influenze mettono a nudo qualcosa di noi e sono uno stimolo. Ma è faticoso cercare di contrastare certe influenze quando hai bisogno di raccogliere le forze e nel mio caso genero sensi di colpa che creano ulteriore confusione.
Alcuni di noi, tra cui la sottoscritta, trascorrono una parte della vita ad erigere protezioni e barriere per difendersi da ciò che non comprendono e che, per questo, produce dolore.
Controllare, archiviare, etichettare richiede grande energia. Ad un certo punto, però, la Vita costringe a guardare questo muro e fa intuire che al di là la vita scorre. Così impieghiamo un’altra parte degli anni a destrutturarlo. Che fatica!
Perché non ci si dovrebbe preoccupare di quanto gli accadimenti e gli altri possano invadere il proprio mondo?
Non tutti hanno una struttura psicofisica in grado di reggere gli assalti che vengono dall’esterno.
Si può accogliere il ciò che quando quando qualcosa accade ma allo stesso tempo ci si può difendere dall’essere invasi.
Destrutturare l’Io, scavando in ogni piega dei fatti che si presentano ogni giorno.
Questa è la dinamica dell’essere umano.
Vivere il mi riguarda e il non mi riguarda contestualmente è possibile.