Voi mettete in campo le vostre condizioni anche nel relazionarvi con l’altro da voi e, quando riscontrate una diversità rispetto ai principi che avete stabilito, non guardate all’altro come a colui che può aiutarvi ad abbattere le vostre barriere, ma come colui che vi ostacola nello sforzo di mantenerle sempre più solide.
È il vostro non aprirvi alla vita che non vi fa cogliere in quell’essere uno stimolo a mutare il modo di concepire voi stessi, il mondo e le relazioni. Ecco perché nel vivere sociale siete pieni di categorie che vi portano ad allontanare il ‘diverso’, che temete possa mettervi in crisi, contrastando qualunque comportamento o situazione che non rientrino nelle vostre modalità di relazione.
Poi, col passare degli anni, siete portati a chiudervi sempre di più rispetto alla vita, arginando ogni seppur piccola possibilità di lasciarvi sedurre e coinvolgere dalla diversità, in quanto la struttura della vostra mente tende, conferma dopo conferma, a rafforzarsi, e voi di conferme gliene fornite!
Invecchiando, sempre meno sarete disposti ad accogliere le novità da cui temete di essere negati o invasi, mettendo in crisi le vostre certezze, a meno che il dubbio non si insinui nei vostri processi mentali.
Quindi anche ora, quando siete in presenza di un nuovo incontro, andate automaticamente a ripescare vecchie informazioni nel passato per fare un confronto col ‘già conosciuto’; e da lì, spesso, esce l’etichetta di ‘estraneo’ alla modalità che utilizzate per elaborare le relazioni; questo vi impedisce di accogliere quell’incontro con curiosità verso una novità. […]
Pensateci: l’abitudine di operare quei confronti col passato che generano etichette con cui, però, agite nel presente, e il fatto di considerarlo ‘normale’, quanto vi mostra con evidenza il bisogno di controllare anche colui che non conoscete?
Eppure la vita è proprio lì, in quel momento e in quella diversità, non nella vostra memoria, non nel magazzino degli oggetti mentali.
E, invece, è lì dentro che andate a pescare, e subito partono i confronti e i giudizi per rendere noto il non-noto e ben inquadrabile l’imprevisto.
Se, però, provate a dubitare di quel processo, per un attimo le etichette si zittiscono e, in quella breve frattura, appare la vita e tacciono le paure, i confronti e le chiusure.
L’impersonalità della vita vi è del tutto incomprensibile, dato che mantenete credibili i vostri processi di associazione. Queste voci vi porteranno a comprendere che l’impersonalità è non-causalità.
Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Vita, p. 24
In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.
Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Grazie a Catia e Leo dei chiarimenti.
“la struttura della vostra mente tende, conferma dopo conferma, a rafforzarsi”.
Questo passaggio è centrale: si parla di “struttura della mente” e la struttura della mente è quella di legare i fatti in una “catena causale”.
La mente è quell’organismo che lega fatto a fatto: il fatto allora perde la sua unicità e assume la “funzione” di essere “causa” o “effetto” di un altro fatto.
Se questa è la natura della mente come opporci a un dato “naturale”?
Osservando e contemplando. Osservando e contemplando la catena causale istituita dalla mente ci sottraiamo dall’identificazione con quella catena causale stessa; la catena causale perde di forza, sempre meno associazioni vengono create, ma credo che di fondo “causalità” coma metodo di essere della mente non possa venir mai meno finché avremo un corpo mentale.
E credo che per questo motivo noi parliamo di contemporaneità di Essere e divenire.
Per questo penso anche che la questione dell’impersonalità dell’esistenza, citata nell’ultimo capoverso, per noi incarnati dotati di corpo mentale sia un'”esperienza limite”, che si non si può dare come stato acquisito in modo definitivo e stabile.
Dubitando dei nostri processi diveniamo più liberi
Sto attenta a non leggere un fatto nuovo con l’etichetta del vecchio, e so che questo alleggerisce molto le relazioni tuttavia non sempre, a mio modo di vedere, la mente è una gabbia.
Certo fatti è necessario legarli altrimenti come si impara dall’esperienza? L’importante, secondo me, è disconnettere il coinvolgimento emotivo.
Per quanto riguarda la tua domanda Nati, per me la frase risuona cosi: se guardi ad un fatto come se non ti riguardasse, non c’è neanche la causalità che lo lega ad un altro.
Ma non so se ho interpretato secondo le intenzioni di Soggetto.
Essere in grado di realizzare ciò che viene espresso rende tutto più leggero.
Certo è che ogni schema va abbattuto, eliminato e costruito il nuovo in ogni momento, in ogni attimo.
È un processo di accoglienza ed elaborazione continuo in cui lo spazio identitario tende ad annullarsi. Avverto queste resistenze, le vedo, cerco di lavorarle……
Lavoro in atto!
“Queste voci vi porteranno a comprendere che l’impersonalità è non-causalità.
Questo passaggio noni è chiaro.
Significa forse, che non potendo definire l’altro, non posso attribuirgli alcuna causa rispetto a ciò che penso o sento?