Il monaco è colui che risponde, non è colui che prende l’iniziativa, non almeno sulla questione più rilevante che lo coinvolge: il vivere l’adesso.
Qui non ci occupiamo di tutto l’ambito in cui è necessario prendere l’iniziativa, della vita pratica di tutti i giorni per evitare di rimanere senza pane, o senza carburante per l’auto.
Vivere l’adesso significa rispondere all’adesso: rispondere significa che non sono io l’artefice di quell’adesso, significa che esso accade.
Affermazione fondamentale: non sono io il centro, lo è l’accadere.
Lo zazen è l’officina prima e principale di questo sperimentare: in zazen si fa solo quello, quindi si può osservare con molta lucidità ciò che accade.
I pensieri, le emozioni, le sensazioni, i moti di simpatia e di antipatia, il passato sorgono e si impongono: non li ho voluti, né cercati, ma sorgono, sono aspetti del reale, frazioni del reale, mai il Reale.
Simultaneamente sono consapevole di ciò che è sorto e di Ciò-che-È: so che ciò che è sorto non esaurisce la realtà, non la completa, non la copre, è solo un aspetto.
So, sento, sperimento che c’è molto altro, grande vastità e profondità che mi sfugge, che non è in nessun modo racchiudibile dentro quella piccola esperienza che è sorta e che, molto spesso, ha la consistenza del pensiero.
Chi pratica per brevi periodi di tempo non ha modo di arrivare – a meno che non sia in una giornata di particolare grazia – a toccare quella profondità e vastità, a vivere quella simultaneità che vede fiaccarsi la preponderanza della mente e avanzare lo stare neutrale e vasto.
La stessa cosa avviene nelle relazioni che liberano la loro sostanza più profonda quando sono provate dalla routine e da un certo grado di logoramento delle aspettative identitarie.
Bisogna stare sul pezzo a lungo, con dedizione e determinazione, e allora la mente viene messa in scacco e si apre uno spazio che permette di sperimentare la realtà oltre essa, oltre il suo apparire, oltre la forma che assume nel divenire.
Ecco perché c’è nel futuro della Via del monaco molto zazen, ed ecco perché il monaco – colui che risponde – coltiva in sommo grado la presenza:
– a chi rispondi se non c’è presenza?
– cosa vivi se non c’è presenza?
– come può aprirsi uno spazio se non vedi nemmeno da cosa è occupato lo spazio?
– come puoi essere presente se non sei vigile, reattivo, pronto?
Ma, soprattutto, cosa pensi di vivere, di lasciar sorgere a consapevolezza e comprensione se non sei capace di dedizione e di perseveranza?
Se ti siedi e già pensi a quando finirà; se entri in ufficio, o a scuola, o in fabbrica e sei senza sosta proiettato sul dopo…
Il monaco risponde alla vita che bussa nell’adesso e tutto il suo essere è come la corda di violino sotto la pressione dell’archetto: se il monaco pone se stesso al centro, non ci sarà nessuna possibilità di essere “suonato”, ma se si libera di sé allora diviene “colui-che-risuona”.
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Sedersi, nonostante il brontolio della mente, sapendo che non si acquistano punti, che si è soli, che non si raggiunge nessuna illuminazione.
Col tempo, riconoscere che quell’atto senza scopo, ti lavora nel profondo.
C’è una spinta che porta a sedersi di fronte al muro.
La mente fa il suo lavoro, prima, durante e dopo. Poco importa. Importante è assecondare quella spinta.
È vero che sedute di zz troppo brevi non permettono il tacere della mente, non permettono la sperimentazione di quella neutrale vastità.
Conoscere quello stato, coltivarlo, richiamarlo rende lucidità: lucidità nel porsi, nell’entrare in relazione, nel manifestarsi e simultaneamente nel sentire quell’immobilita’ e quel radicamento che ci abita.
Ciò che ho compreso dello zz innanzitutto è questo: lo scacco della mente e una certa dose di logoramento. È impensabile credere di riuscire a comprendere anche solo lontanamente la natura dello zz se non si è disposti a passare per lo scacco della mente e per il logoramento.
Ma bisogna intendersi: non lo scacco della mente “a parole”, ma l’esperienza esistenziale dello scacco nella pratica.
Se ci disponiamo in tal senso nella pratica allora trarremo giovamento anche per la nostra vita di consapevolezza oltre il muro.
Sì, in zz si sperimenta l’accadere e lo si accoglie. C’è dedizione e perseveranza nel praticare, tuttavia non sempre questa pratica prepara alla reattività e alla prontezza nella vita.
Reattività e prontezza dipendono anche dalla vigilanza mentale e se la mente è rarefatta, anche la risposta può tardare.