Senza sgabello su cui appoggiare [vdm12]

La mente/identità appoggia sempre su qualcosa. La via spirituale è, frequentemente, un grande appoggio, sostegno, conforto.

La situazione della comunità monastica di Bose ci sia d’esempio e di monito: oggi, in quella comunità così celebrata, si scopre che i monaci appoggiavano eccessivamente sulla figura del fondatore traendo da questa appoggio, solidità, rassicurazione, direzione, a discapito di autonomia, maturità personale e capacità critica.

Per molto tempo, invece di masticare il pane duro della propria solitudine e responsabilità esistenziale, si è preferito appoggiare sull’idea di ciò che si andava costruendo e sulla gratificazione che il mondo, con la sua approvazione, forniva: così facendo, l’idea ha preso il sopravvento sull’esperienza, si è divenuti potenti nell’idea e fragili nell’esperienza interiore.

C’è un appoggiare fisiologico e uno pernicioso: è fisiologico quello che tiene in alta considerazione l’esperienza e l’autorevolezza dei confratelli; è pernicioso quello che cerca di crearsi delle certezze interiori fondate su quelle esperienze e autorevolezze.

Non si può appoggiare sullo spirito di corpo, o di comunità, né si può alimentare la propria mente degli apparenti successi, dell’apparente grandezza della propria proposta ed esperienza: quanto più si è salito in alto nella propria presunzione, sempre dissimulata ovviamente, tanto più si cade in basso.

Il monaco affronta l’orizzonte aperto: la sua immagine simbolica, un po’ romantica, provvisto della sola ciotola ha attraversato i millenni: in balia degli eventi, su ogni fronte.
Non è forse così? Abbiamo forse delle certezze su cui appoggiare? È assicurato il pane quotidiano – esistenziale o materiale che sia – di oggi? E chi ci garantisce che arriveremo a sera?

Siamo senza certezze, senza un appoggio per le menti/identità che sempre cercano la garanzia della loro sopravvivenza e centralità: abbiamo l’accadere presente che si impone, il passato che perde di senso, il futuro che non ci riguarda.

La Via del monaco è questo risiedere nell’accadere con la mente sempre un po’ inquieta, perché mai rassicurata: cerca appigli e non l’assecondiamo. Cerca certezze e non ne abbiamo, Cerca consolazioni, ma non abbiamo nulla che ci consoli.

A ogni attimo abbiamo una sola possibilità: non indugiare sulla superficie sempre un po’ mossa del mare, scendere nella sua profondità e nell’abisso trovare pace.

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6 commenti su “Senza sgabello su cui appoggiare [vdm12]”

  1. La descrizione dell’appoggio alla Via, come pernicioso o fisiologico, riporta molto bene, il personale vissuto di questi ultimi tempi.
    L’increspatura del mare è a volte una vera e propria tormenta in cui l’unico desiderio è quello di abbandonare tutto.
    Dall’abisso però c’è un richiamo sempre più forte, una magnete che li continuamente attira.
    Ciò che per ora si vede è una neutralità più vasta, se possibile, rispetto a prima,

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  2. “risiedere nell’accadere con la mente sempre un po’ inquieta, perché mai rassicurata: cerca appigli e non l’assecondiamo. Cerca certezze e non ne abbiamo, Cerca consolazioni, ma non abbiamo nulla che ci consoli”.

    Questo risuona, perché questo sempre più emerge nell’esperienza: l’impossibilità dell’appiglio.
    Non che viva in modo compiuto nell’accedere, di certo però nel narrazione della mente si formano sempre più squarci dolorosi.
    Il dolore sottile lo riconduco e due esperienze: da una parte alla consapevolezza che si affaccia nelle scene quotidiane del vivere e che ricorda che non ci sono appoggi, ovvero il vedersi che ci invita a farci da parte e che provoca dolore all’identità, la quale vorrebbe rimanere al centro ; d’altra parte il dolore nasce, in altri casi, dall’essere rimasto troppo a lungo lontano da sé, a causa di qualche scena della vita che ha trattenuto la nostra identità al centro, dunque quando si torna nella dimenticanza si sé si percepisce quella scena come troppo “grossolana”, “enfatica”.

    Tutto questo “gioco” interiore non è certo visto da nessuno e tutto si svolge nel segreto e anche questo provoca sconcerto perché ci porta davanti alla nostra solitudine e responsabilità esistenziale: nessun appiglio.

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  3. La spinta a perseguire un Cammino che prospetta pane duro, discrezione, umiltà, nascondimento è possibile solo quando si è messo in dubbio tutto ciò che sembrava dare appagamento.
    Per scoprire, quando piccoli squarci di quel reale si aprono, che c’è molto altro.

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