Vivere pienamente il qui-e-ora [zq2]

Da: Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO
[…] Il cardine dello zazen è questo: ritornare costantemente dal lavorio mentale al qui-e-ora. La pratica è questa. Ciò che dobbiamo sviluppare è la capacità di stare intensamente nel qui-e-ora. Dobbiamo sviluppare la capacità di decidere, di fare questa scelta: “Questa volta non me la filerò”.

La pratica è una scelta ogni volta rinnovata, un bivio che ci si apre continuamente davanti. Momento per momento siamo chiamati a decidere tra il mondo meraviglioso dentro la nostra testa e la realtà. E la realtà, in una sesshin (intensivo di meditazione, ndr), è molto spesso stanchezza, noia e male alle gambe. Ciò che impariamo dal sedere tranquillamente con il disagio è così prezioso che, se non ci fosse, dovremmo inventarlo. Se avete dolore non potete filarvela. Il dolore vi costringe a stare con lui. Non ci sono altri posti in cui andare. Questo è il valore del disagio.

La pratica dello Zen mira a farci vivere con più agio. Vivere con agio significa imparare a non passare la vita a sognare, ma stare con ciò che è qui-e-ora, qualunque cosa sia. Buono, cattivo, bello, brutto, mal di testa, malattia o felicità non fa differenza.

Una caratteristica dello studente zen maturo è quella di essere ben radicato. Incontrando una persona del genere, lo avvertite. Tali persone sono in contatto con la vita reale così come si dispiega, senza perdersi in una versione di fantasia. Per questo le tempeste della vita le colpiscono senza troppi danni. Accettando le cose così come sono, nulla ci sconvolgerà troppo. Oppure, il turbamento finirà molto più in fretta.

Vediamo cosa succede nella seduta. Tutto ciò che dobbiamo fare è stare con ciò che accade in questo preciso momento. Non dovete credermi, dovete verificarlo da voi. Quando non fuggo dal presente, cosa succede? Ascolto il rumore del traffico. Mi accerto di non tralasciare niente. No, niente. Ascolto. Il rumore ha la stessa efficacia di un koan, perché è ciò che avviene in questo preciso momento. Come studenti di Zen avete un compito, un compito molto importante: condurre la vostra vita fuori dal paese dei sogni nella vera e immensa realtà che essa è.

[…] Il Buddha non è altro che ciò che siete, in questo preciso momento: udire il rumore del traffico, percepire il male alle gambe, ascoltare la mia voce. Ecco il Buddha.
Non potete afferrarlo: appena cercate di prenderlo, è già cambiato.
Essere ciò che siamo momento per momento […].

Sedendovi, non aspettatevi di trovare la vostra nobiltà interiore. Abbandonando, anche per pochi minuti, il vortice della mente e sedendo con quello che c’è, siamo una presenza simile a uno specchio. Riflettiamo tutto. Vediamo cosa siamo: i nostri sforzi per fare bella figura, per primeggiare, o per essere gli ultimi. Vediamo la nostra rabbia, la nostra ansia, la nostra alterigia, la nostra presunta spiritualità. La spiritualità vera è stare con tutto ciò. Riuscire a stare davvero con il Buddha, con ciò che siamo, ci trasforma.

In una sesshin Shibayama Roshi disse: “Il Buddha che tutti voi volete vedere, è un Buddha molto timido. È difficile che esca e si mostri”.
Perché? Perché il Buddha è noi stessi, e non lo vedremo finché rimarremo attaccati a tutte le sovrastrutture in più. Dobbiamo essere disposti a entrare in noi stessi con sincerità. Quando saremo totalmente sinceri con ciò che accade in questo preciso momento, allora lo vedremo.
Non possiamo prenderne un pezzetto, il Buddha è tutto intero.

La pratica non ha nulla a che fare con cose come: “Dovrei essere buono, dovrei essere gentile, dovrei essere questo o quello”. Io sono ciò che sono in questo preciso momento. E questo essere è il Buddha.

Una volta ho detto una frase che ha sconcertato molte persone. Ho detto: “Per praticare bene, dobbiamo rinunciare alla speranza”. Non è piaciuta. Che cosa volevo dire? Voglio dire che dobbiamo rinunciare all’idea che, se solo potessimo scoprirla, ci deve essere una vita perfetta per noi, giusta per noi. La vita è così e basta. Solo rinunciando a manovre di questo genere la vita incomincia a essere più soddisfacente.

Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO, Amore e lavoro, Ubaldini, Roma.
La prefazione al libro e la presentazione di Charlotte.
Qui puoi scaricare il libro (non so come academia.edu e l’autore del caricamento risolvano il problema del copyright).
In questo post e nei successivi sono riportati solo alcuni brani del volume.


Sottoscrivi
Notificami
guest

8 Commenti
Newest
Oldest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
Natascia

Letto.

Anna

Vivere il qui e ora è un allenamento infinito!

Quelle poche volte che veramente riesci è come penetrare quel frangente, è come lasciare alla realtà la possibilità di pervade il proprio essere e divenire un tutt’uno con essa.

Nadia

Questa pratica è lo specchio che riflette l’interiore.

maria balducci

In questa fase non sto praticando zz da seduta ma sento di viverlo maggiormente nella pratica giornaliera, nel decidere di non filare la mente arrovellata, nel non farmi portare troppo dal fare, dal troppo dire, dal troppo ascoltare. In questo continuo movimento di ritorno/risveglio credo che abbia un ruolo decisivo il disagio, il dolore, come se nello sperimentare questo sconforto sei maggiormente portato a vivere il qui ed ora.

Leonardo

Ritornare costantemente al presente: un gesto infinito e senza posa.
Ritornare al presente e stare nel presente con Ciò-che-è, al di là di ogni logica della preferenza.
Un lavoro immane che richiede dedizione, vocazione, perseveranza

Luca

Lasciar andare

Elena

Il libro è scritto con l’equilibrio della consapevolezza.
Tutto è…(se vogliamo definirlo, tutto è semplice, facile, chiaro, senza sovrastrutture).
Vedo questa consapevolezza come punto d’arrivo(…ammesso che abbia senso parlare di punto d’arrivo).
Si tolgono i veli e lo sguardo si fa chiaro.

Catia belacchi

Un ripasso di cosa significhi la pratica, davvero importante.

8
0
Vuoi commentare?x