1. Nei luoghi dove si mette in pratica la Via di Buddha[5] dall’origine in poi[6] ci sono sei sovraintendenti, [7] che sono al contempo figli di Buddha[8] e insieme compiono l’opera di Buddha.[9] Un incarico fra questi è quello del tenzo, che si occupa della preparazione dei pasti[10] della comunità.
[11] Nel Chanyuan qinggui [jap. Zennen shingi][12] è detto “Per il servizio[13] alla comunità c’è il tenzo”. Fin dall’antichità quest’occupazione è stata appannaggio di riveriti monaci dello spirito del risveglio, [14] uomini eccellenti di mente ridesta.[15] Insomma si tratta della pratica non occasionale e senza commistioni della Via.[16] Se manca lo spirito del risveglio, invano ci si affatica in patimenti, il beneficio finale non c’è.
(Versione letterale dal giapponese inedita. Scarica il testo con note)
1. Fin dal principio nelle dimore dove si pratica la Via, vi sono sei responsabili che sovraintendono [alla vita comunitaria]. Ognuno di loro è discepolo della Via e contemporaneamente opera le azioni della Via. Fra questi vi è il lavoro del tenzo, il responsabile di provvedere il cibo necessario ai monaci.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)
1. Fin da quando cominciarono a costituirsi le prime comunità stabili con l’intento di creare un luogo dove mettere in pratica personalmente la Via universale indicata da Budda, gli incarichi e le mansioni all’interno della comunità sono stati ripartiti in modo preciso e chiaramente riconoscibile.
Questo perché ogni membro della comunità è il discepolo del principio ispiratore del cammino che sta seguendo, ne è il diretto erede e portatore, e lo incarna con il proprio comportamento: ogni sua azione è un passo sulla Via e ne è l’espressione immediata.
Per questo deve essere chiaro e definito l’ambito in cui ciascuno opera, in modo che, sia lui stesso, sia gli altri membri della comunità, abbiano dei punti di riferimento su cui orientarsi.
La Via non può essere evanescente o condizionata dalle emozioni personali.
La Via è tale soltanto quando è oggettiva e viene verificata dai fatti concreti.
A questo scopo sono stati, fin dall’antichità, redatti dei testi normativi che hanno lo scopo di sostenere e armonizzare la pratica comunitaria, dando le indicazioni necessarie ai responsabili delle varie mansioni.
Le mansioni principali indicate sono sei: sono quelle mansioni fondamentali che danno forma alla vita collettiva. Uno di questi incarichi fondamentali è quello del responsabile della cucina, da cui dipende il nutrimento dei monaci e, quindi, la possibilità concreta di procedere nel ritmo della vita quotidiana.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
La lettura rimanda al senso di coerenza e all’importanza dei singoli fatti.
Tutto mi rimanda all’importanza dell’attenzione al gesto, alla responsabilità, alla prontezza.
Nella Via, non vi è spazio per l’improvvisazione e la superficialità.
Condivido pienamente il commento di Leonardo nel quale mi addentro….
Nella traduzione libera Forzani mette l’accento sulle norme che indirizzano la vita comunitaria perché la via non sia condizionata dalle emozioni e sia riscontrabile nei fatti concreti.
Credo queste norme riguardino tutti i monasteri dove si vive insieme.
Rifletto su quanto è stato difficile per noi d Sentiero, adeguarci a poche indicazioni di massima, per poterci considerare organismo.
In un monachesimo diffuso, alcune norme per poterci riconoscere ”
monaci senza religione” , sono indispensabili:la pratica, la prontezza,
la vigilanza sulle proprie azioni, la responsabilità, come ha scritto Leonardo, verso il proprio cammino ed il cammino dell’altro che, come me, cerca di incarnare la via.
“Ogni membro della comunità è il discepolo del principio ispiratore del cammino che sta seguendo, ne è il diretto erede e portatore, e lo incarna con il proprio comportamento”.
Questo passaggio è particolarmente significativo. Essere nella Via, riconoscersi in essa, è comprendere l’interrelazione di tutto con tutto: tutto è connesso, nulla è una realtà a sé, una monade.
Questo ci conduce alla questione della “responsabilità”: se tutto è in connessione, il mio gesto avrà ricadute su tutto il divenire, indipendentemente dal fatto che io ne abbia notizia.
Se sono trascurato e disattento, tale trascuratezza e disattenzione condizionerà tutta la realtà.
A maggior ragione in una comunità. La superficialità e il pressapochismo del mio atteggiamento contaminano la comunità stessa, la indeboliscono.
Ogni monaco ha una funzione e quella funzione rappresenta la Via per lui, attraverso quella funzione è nella Via e percorre la Via insieme agli altri.
Non si tratta di possedere chissà quali conoscenze o erudizioni, anzi possono interferire, piuttosto si tratta di “incarnare” il compreso, renderlo manifesto comportamento esistenziale, coerenza tra intenzione e manifestazione.
Una comunità che vive nella Via, mi risuona molto.
Un lavoro importante quello di provvedere al nutrimento della comunità…